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sabato 7 marzo 2015

ARTICOLO "LA PRECARIETA' DEGLI EDUCATORI" DA PIAZZA GRANDE DI MARZO.

“Il lavoro dell'educatore è irto di difficoltà, ma è profondamente stimolante: mi mette di fronte a realtà che mi aiutano a conoscermi e a crescere”. A raccontarlo è Martina G., una ragazza di 27 anni che da 10 anni lavora come educatrice a Bologna. A 17 anni Martina è entrata in questo settore lavorando con ANFFAS in un soggiorno estivo per ragazzi disabili. Durante il terzo anno di università – indirizzo: educatore professionale – ha svolto tirocinio presso la cooperativa Rupe nella comunità terapeutica femminile per tossicodipendenti, al termine del quale ha avuto prima un contratto per un periodo di prova, poi diversi contratti a tempo determinato a 38 ore ed infine il tempo indeterminato. “Due anni fa ho iniziato a lavorare, sempre in Rupe, nella comunità educativa per minori, dove lavoro tutt'oggi anche se adesso il mio datore di lavoro è la cooperativa Open Group, nata l'anno scorso dalla fusione di Coopas, Voli e La Rupe”. All'interno della comunità minori Martina si occupa, all'interno di una equipe di educatori, della regia del PEI – progetto educativo individualizzato – di diversi ragazzi. Il suo ruolo consiste nel sostenere i minori nella gestione della loro quotidianità e tenere rapporti con scuola, attività sportive, strutture sanitarie, servizi sociali ed eventuali organi legali. “Il nostro compito è quello di stare accanto ai ragazzi, né davanti né dietro: li accompagniamo e aiutiamo a gestire un pezzo della loro vita”. Sia all'interno della comunità minori che in femminile il lavoro è articolato su turni che devono coprire le 24 ore 7 giorni su 7. “Penso che una delle complessità di questo lavoro sia quella di ricordarsi sempre che non si è onnipotenti, che le persone che cerchiamo di aiutare sono libere di scegliere della loro vita a prescindere dai nostri consigli e che se ciò avviene non è da considerare un fallimento. Anzi, è proprio in questi momenti che bisogna continuare a stare accanto alle persone che seguiamo: dobbiamo sostenerle anche quando cadono e soprattutto essere noi i primi a credere nella possibilità di un loro cambiamento”.

Marco M. - 40 anni – ha invece smesso di lavorare per le cooperative da circa un anno. Con un'esperienza di educatore di quasi 15 anni, Marco ha lasciato due contratti a tempo indeterminato per un tempo determinato aperto dal Comune di Bologna come educatore interno ad una scuola per il centro educativo. “Negli ultimi 10 anni ho cambiato circa 6 o 7 cooperative: mantenevo il mio servizio, ma cambiava la cooperativa che vinceva l'appalto. Perchè ho lasciato due indeterminati? Erano una finta stabilità: lavoravo 9/10 mesi l'anno in contemporanea all'anno scolastico, ma per circa 2 mesi ero senza lavoro e stipendio e non potevo chiedere disoccupazione in quanto titolare di un contratto a tempo indeterminato, inoltre venivo pagato ad ore lavorate e non con un fisso mensile. Insomma ero un precario a tempo indeterminato!”.
Al pomeriggio Marco lavora al centro educativo e segue generalmente tra i 10 e 14 ragazzini delle medie ed elementari. L'attività consiste nel fare i compiti con i ragazzi e nel realizzare attività che abbiano un valore educativo. Tutti i servizi sociali fanno riferimento ai centri educativi per inserire i ragazzini che hanno diverse problematiche familiari affinchè passino ore della giornata in un ambiente protetto, educativo e stimolante. “Mi rendo conto che da un anno a questa parte ho più tempo per svolgere il mio lavoro in maniera completa: quando lavoravo con le cooperative facevo 18 ore a diretto contatto con i ragazzini e solo 2 ore di programmazione e gestione della rete intorno ai minori che seguivo. Adesso invece faccio 20/25 ore a diretto contatto con i ragazzini e 10/12 ore indirette, durante le quali ho tempo di creare una rete relazionale migliore sia con i servizi sociali sia con i genitori”.
Secondo Marco una delle maggiori difficoltà del lavoro di educatore interno alle cooperative è proprio legata ai tempi: “se vuoi fare un buon lavoro il tempo retribuito non basta. Ormai che ha preso piede la logica del dare l'appalto al miglior offerente e non al miglior servizio ci si ritrova purtroppo o a dedicare il proprio tempo libero al lavoro oppure a fare un lavoro incompleto”.



Sarah Murru


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