Visualizzazioni totali

Rassegna stampa

Postiamo dal sito zic.it:


Educatori in Consiglio comunale: “Salario per 12 mesi!”



Ieri protesta a Palazzo D’Accursio: ottenuti due incontri con la Giunta e una seduta di commissione. Usb: “Accorpare gli appalti e garantire un controllo concreto del funzionamento e della qualità dei servizi”.
Le educatrici e gli educatori impiegati nelle scuole di Bologna dalle cooperative Quadrifoglio e Pianeta Azzurro, dopo una partecipata assemblea sindacale, sono intervenuti (ieri, ndr) in Consiglio comunale per chiedere giustizia sociale e lavoro, in una sola parola il rispetto del proprio contratto. Anche questa estate infatti la maggior parte degli educatori rimarranno senza lavoro e senza salario nel periodo estivo. A causa della spregiudicata gestione degli appalti dell’amministrazione comunale e della Ies (Istituzione Educazione Scuola) che applicano la prassi dei tagli alla spesa sociale, operatori e minori sono colpiti nei propri diritti e nei propri bisogni. Gli educatori hanno ottenuto immediatamente un incontro con la vicesindaco assessore al bilancio dott.ssa Giannini, la quale è apparsa inconsapevole del problema, dall’uso dei voucher al volontariato massiccio, allo scorporamento dei servizi educativi. Quanto era poco chiaro alla vicesindaco, a noi da anni sembra francamente assurdo. Usb ha chiesto che i vari appalti vengano accorpati in un’unica soluzione, promettendo di impegnarsi con le educatrici e gli educatori in una campagna che durerà fino alla scadenza del vigente appalto scolastico.
Giovedì 26 maggio incontreremo l’assessore alla scuola Marilena Pillati per portare avanti la nostra rivendicazione e chiedere il controllo concreto del funzionamento e della qualità dei servizi. Diamo appuntamento alle 12,30 presso la sede del comune agli educatori non in servizio. Inoltre abbiamo ottenuto che nella VI commissione comunale, dalle 14 di giovedì, si discuterà dei temi che ci riguardano direttamente. Usb sarà presente e invita gli educatori a partecipare.

Usb coop sociali
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito zic.it:
Istituto Scappi di Casalecchio: 14 sospensioni per il boicottaggio delle Invalsi!

Anno dopo anno, dopo aver lanciato un forte messaggio di opposizione alle prove Invalsi, abbiamo riscontrato un alto numero di boicottaggi in tutta Italia.
Esprimere il nostro dissenso nei confronti di questi beceri test, che sono strettamente ricollegabili al fallimentare modello di “Buona Scuola” di Renzi e alla conseguente mercificazione del sapere, è legittimo ed è un nostro diritto.
Nessun professore o dirigente scolastico può minacciare i suoi studenti con sanzioni disciplinari semplicemente perché esprimono il loro parere politico contrario a delle prove che non fanno altro che categorizzare gli studenti e gli istituti di cui fanno parte.
Nonostante questo, in seguito al boicottaggio delle prove Invalsi somministrate il 12 Maggio, alcuni ragazzi dell’Istituto Alberghiero Scappi di Casalecchio si sono ritrovati ad affrontare sanzioni disciplinari imposte dalla dirigente scolastica, la quale ha arbitrariamente deciso di sospenderli con obbligo di frequenza per sei giorni senza neppure riunire un consiglio di classe.
L’unica colpa dei ragazzi è di essersi opposti a delle prove che non sono obbligati a svolgere e annullano completamente il loro pensiero critico e razionale, limitando la possibilità di esprimersi di fronte a delle sterili domande a risposta multipla.
Per far ritirare queste sanzioni disciplinari gli studenti e studentesse hanno intenzione di appellarsi al Garante degli studenti e nel caso di una risposta negativa, rivolgersi poi all’Ufficio Scolastico Regionale per fare ricorso.
Questa potrebbe considerarsi, per vie legali, come la soluzione più veloce, se solo le persone che dovrebbero rivalutare le sanzioni non fossero le stesse che hanno deciso di imporre lo svolgimento delle prove Invalsi (cioé una parte del Consiglio d’Istituto).
Malgrado queste sanzioni disciplinari, non lasceremo che questi presidi Sceriffo ci impongano di mercificare il nostro sapere e il nostro pensiero critico.
Continueremo a lottare contro al modello della buona scuola, per favorire la scuola del sapere.

Collettivo Autonomo Studentesco
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito orizzontescuola.it:


Pedagogisti ed educatori meritano rispetto, non possono essere relegati ad "animazione socio-culturale"

di redazione


di Fabio Olivieri - All'indomani dell'ultimo passaggio in VII commissione Cultura della proposta di legge sul riconoscimento delle professionalità educative in Italia, la rete del Caffè pedagogico per voce del suo fondatore Fabio Olivieri e della dott.ssa Manuela Tomao Improta, lancia l'allarme: “Il testo approvato relega le figure del pedagogista e dell'educatore ad un ruolo di pura animazione socio-culturale”.
Nella seduta del 31 Marzo, infatti, termine ultimo per la presentazione di emendamenti e subemendamenti per la proposta in questione, l'impianto normativo integrato tra le pdl 2656 e 3247 presentate rispettivamente dalle parlamentari Vanna Iori e Paola Binetti, cambia pelle.
Rispetto ai contenuti previsionali di partenza, le modifiche approvate si rivelano di ordine sostanziale e non possono passare inosservate.
Nello specifico si possono ravvisare almeno 5 nodi critici qui sintetizzati:
1. Al laureato in scienze dell'educazione non viene più riconosciuta la preparazione in ambito psicologico (art.10 c.2), che rappresenta un terzo degli esami previsti dall'attuale percorso di laurea accademico . Al suo posto fa ingresso la competenza “antropologica” di cui invece l'offerta formativa del MIUR, per i laureati in questo indirizzo, conta appena uno o due esami al massimo.
Ciò, a parere del Dott. Fabio Olivieri, può significare soltanto una cosa: “annullare l'esclusività degli educatori e dei pedagogisti da tutti gli ambiti socio-educativi nei quali compaia il prefisso “psiche”, onde evitare di essere passibili di denuncia per abuso professionale da parte degli ordini locali degli psicologi, come già avvenuto in passato per le note vicende che hanno interessato i counsellors (sentenza 10289/2011).
In questo modo si profila all'orizzonte un'ipotesi sconcertante: sarà necessaria la co-conduzione anche nell'ambito del coordinamento pedagogico dei nidi ? Perché “qualcuno” (PA, MIUR, ordini professionali,etc.) con interessi in merito, potrebbe rilevare che per educare in questo settore le competenze psicologiche siano imprenscindibili e che non essendo più annoverate tra le caratteristiche del profilo professionale dell'educatore e del pedagogista, debbano necessariamente essere delegate ad altre professionalità di tipo sanitario: qual è appunto quella psicologica.
Resta inteso che il riconoscimento delle competenze apprese durante il percorso di studi non equivale a trasformare pedagogisti ed educatori in para-psicologi - insiste Fabio Olivieri -così come l'aver studiato filosofia e sociologia non ci rende tout court filosofi e/o pedagogisti. Semplicemente richiediamo, con fermezza e chiarezza di intenti, il riconoscimento di quanto previsto dallo stesso MIUR attraverso l'istituzione delle classi di laurea in scienze dell'educazione e scienze pedagogiche. Considerando inoltre che nella recente riforma della classi di insegnamento, i laureati di questi indirizzi possono accedere all'abilitazione per ‘linsegnamento della psicologia nelle scuole pubbliche italiane, proprio in virtù dei crediti formativi maturati.”
2. La disabilità. All'art.4 lett. f), emendamento presentato dalla relatrice, leggiamo quanto segue : il pedagogista e l'educatore lavorano nei “servizi per il recupero e l'integrazione”. La definizione precedente dello stesso comma parlava esplicitamente di disabilità
. Questo vuol dire, ed è confermato dalla stessa Santerini nell'intervista rilasciata ieri (1 Aprile 2016) al quotidiano L'Avvenire, che solo il profilo dell'educatore socio-sanitario sarà autorizzato a lavorare in tutti i contesti nei quali vi siano certificazioni sanitarie. “In un Paese dove, solo 15 giorni fa è stato lanciato l'allarme sulle diagnosi facili per i DSA da parte del MIUR (si legga Il fatto quotidiano on line del 15 Aprile, articolo a cura di Alex Corlazzoli) si decide di estromettere chi possiede competenze socio-pedagogiche dal quadro generale di recupero e sostegno della didattica e della formazione in apprendimento per le disabilità.
“Un vero effettoparadosso considerando che ad oggi la maggior parte dei laureati, negli indirizzi interessati dal provvedimento, opera in ambito scolastico come sostegno ad allievi con Bisogni Educativi Speciali (cd BES), di cui gli stessi disturbi dell'apprendimento - che devono essere diagnosticati e certificati da un profilo sanitario a norma della Legge 170/2010 art. 3 c.1 - fanno parte. L'educazione diventa così sanitaria e la scuola pubblica - per parafrasare Don Milani, continua Olivieri - sempre più simili ad un immenso ospedale che cura disturbi”.
3. L'apertura verso i servizi socio-sanitari (art.3; lett. c). Pur prevedendo per i laureati SDE una parentesi di operatività professionale nei contesti socio-sanitari, che quindi amplierebbe le possibilità di impiego generali, ad un'attenta lettura del disposto normativo in approvazione, si scorge quanto segue: l'educatore e il pedagogista lavorano in questi ambiti solo con “riguardo agli aspetti socio-educativi” .
“Mi chiedo perché specificarlo? La ragione è forse - prosegue Fabio Olivieri - che se venisse generalizzato l'intervento in ambito socio-sanitario, si aprirebbe l'opportunità di istituire un'ordine professionale a livello nazionale. Ipotesi scongiurata dagli stessi ordini professionali attualmente esistenti e sempre più contrastati dalle raccomandazioni EU - ma non si tratta solo di questo - la specifica emendata, pone le PA di fronte ad una scelta. Quando queste ultime si costituiscono quali Stazioni appaltanti di un servizio socio-sanitario, dovranno decidere se far accedere il profilo socio-pedagogico (che non potrà lavorare dove siano state emesse diagnosi) ovvero quello socio-sanitario (che sarà invece abilitato dall'attuale proposta di legge e dal precedente DM 520/98).
Anche nelle più rosee delle aspettive, ponendo che la libertà venga delegata all'appaltante il servizio in questione, quest'ultimo si troverà ad effettuare una scelta tra un profilo (socio-pedagogico) con competenze limitate (senza psicologia e senza discipline di aree medica) e un altro abilitato a lavorare in ogni ambito sanitario (educatore sociosanitario). Questo vorrebbe dire costringere ogni educatore socio-pedagogico a seguire il percorso interfacoltà che doveva già essere attivato nel lontano 1998”
4. Area dei servizi per l'infanzia. Art. 4 c.1 lett. b) e c). La confusione non è mai foriera di buone intenzioni. “Il precedente testo integrato Iori-Binetti, riconosceva l'operatività del pedagogista e dell'educatore nella fascia 0-6 anni. Previsione che, in qualche modo doveva anticipare il riordino, attualmente in discussione in Parlamento, sul “Sistema integrato di educazione ed istruzione 0-6 anni.
Educatori e pedagogisti avrebbero così forse ampliato la loro area di intervento nel ciclo della scuola dell'infanzia, magari attraverso percorsi di abilitazioni ad opera degli stessi Dipartimenti di Scienze della Formazione - che abilitano anche i docenti del ciclo primario. Attualmente invece, la forbice anagrafica è stata ridotta nuovamente alla fascia 0-3 anni. Mentre per i gradi successivi il nostro intervento è previsto per attività extrascolastiche e/o inerenti ambienti di apprendimento informale, almeno così si evince dall'inutile reificazione di specifica alla lettera i) del medesimo articolo. Quando sarà approvato il disegno di legge sul ciclo 0-6 anni dovremo quindi rimettere mano all'attuale disposto normativo per correggerlo? Un'assurdità”. Alla luce di quanto sopra viene da chiedersi: che senso possa avere riconoscere una nonprofessione si chiede Fabio Olivieri. “Studiare e pagare 5 anni di contributi universitari ad uno Stato che vuole riconoscere le stesse professionalità che forma attraverso il MIUR. Una legge siffatta non serve a nessuno e non potrà essere accolta favorevolmente se non introducendo gli emendamenti necessari prima del suo approdo in aula al Senato - prevista al termine dell'esame delle altre commissioni parlamentari della Camera.

“Sarebbe la morte assoluta della professione pedagogica in Italia e sancirebbe la vittoria della medicalizzazione e della settorializzazione dell'educazione umana. Invitiamo, come rete informale del Caffè pedagogico, tutti i laureati e laureandi in scienze dell'educazione e scienze pedagogiche ad esprimere con fermezza il proprio dissenso richiedendo l'introduzione delle modifiche necessarie a restituire senso e dignità alla nostre professioni. Potranno farlo scrivendo direttamente ai membri delle altre commissioni parlamentari che dovranno esaminare la proposta. I contatti dei parlamentari sono pubblici e consultabili sul sito del Parlamento”.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito superando.it:



Ancora in catene gli studenti con disabilità della Sicilia

«Gli alunni con disabilità e le loro famiglie sono stanchi e vogliono atti concreti»: così il Vicepresidente dell’ANFFAS Sicilia ha lanciato la nuova, clamorosa iniziativa di protesta in difesa del diritto allo studio da parte di genitori e alunni con disabilità, che li ha visti – e non è stata la prima volta – incatenarsi ai cancelli dell’Ufficio Scolastico Regionale e dell’Istituto Superiore Alberghiero Francesco Paolo Cascino di Palermo

«Questa nuova clamorosa protesta rappresenta un ulteriore tentativo per rompere il sordo silenzio delle Istituzioni a dispetto dellanegazione del diritto allo studio nei confronti deglistudenti con disabilità che frequentano gli Istituti Superiori dell’Area Metropolitana di Palermo e più in generale della maggior parte delle ex Province Siciliane. In virtù di questo ritardo, infatti, l’anno scolastico 2015-2016, per la gran parte degli studenti con disabilità della nostra Regione, è cominciato a novembre».
Così Antonio Costanza, vicepresidente dell’ANFFAS Sicilia (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale), aveva presentato nei giorni scorsi l’iniziativa di protesta in difesa del diritto allo studio da parte di genitori e alunni con disabilità, che nella mattinata di oggi, 7 gennaio, su iniziativa dell’ANFFAS di Palermo, ha visto alcuni alunni con disabilità, insieme ai loro familiari, incatenarsi ai cancelli dell’Ufficio Scolastico Regionale e dell’Istituto Superiore Alberghiero Francesco Paolo Cascino, ripetendo in tal modo un’analoga iniziativa dell’ottobre scorso, promossa contro il ritardo nell’assegnazione dei servizi di assistenza di base e specialistica.
«Proprio il 7 gennaio – aveva poi aggiunto Costanza – ovvero al rientro dalle vacanze di Natale, i servizi di assistenza di base, ove non erogati dalle scuole, e di assistenza specialistica, per la parte che compete le ex Province, non saranno attivi e nella migliore delle ipotesi si dovranno attendere ancora alcune settimane. Conseguenza: ancora una volta per gli studenti con disabilità la scuola non inizierà al pari degli altri. Si tratta forse di “studenti di Serie B?».
«Gli alunni con disabilità e le loro famiglie – aveva concluso il vicepresidente dell’ANFFAS Sicilia – sono stanchi e vogliono atti concreti. Contro tale violazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, chiediamo una presa di posizione chiara e risposte, ciascuno per i propri ruoli e competenze, al sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, all’Ufficio Scolastico Regionale, al presidente della Regione Rosario Crocetta, ai decisori politici responsabili e, in ultimo, agli stessi dirigenti scolastici. Si parla infatti di servizi che costituiscono per gli alunni con disabilità una condizione imprescindibile affinché il diritto allo studio venga loro garantito». (S.B.)
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:


LEGGE STABILITÀ: ECCO GLI INTERVENTI SUI TEMI SOCIALI

 

 

Nella versione finale della legge di stabilità la conferma degli interventi contro la povertà assoluta e di quelli a favore della disabilità. E poi c'è anche una card per le famiglie numerose, adozioni, tratta, gioco d'azzardo. Ecco tutti gli interventi sui temi sociali.



Dopo due mesi di discussione è ormai definita anche nei suoi più piccoli dettagli la legge di stabilità per il 2016. Il testo approvato alla Camera torna al Senato per il suo ultimo passaggio, in tempo utile per l'entrata in vigore con l'arrivo del nuovo anno. Povertà, disabilità, famiglia sono i temi che – sul versante degli interventi di politiche sociali - qualificano il provvedimento: c'è un tentativo di avvio embrionale del Piano nazionale contro la povertà assoluta, con particolare riguardo alle famiglie con più figli minori; c'è un intervento specifico sul "Dopo di noi" con la conferma dei livelli già raggiunti quest'anno sulla non autosufficienza; c'è infine – novità introdotta in extremis – una "Carta per la famiglia" che darà la possibilità alle famiglie con almeno tre figli di avere sconti per usufruire di servizi pubblici e privati.
Lotta alla povertà
È il vero nodo qualificante, sul versante sociale, della legge di stabilità per il 2016. Il testo finale, a parte qualche lieve modifica, ricalca quello inserito fin nella versione approvata dal Consiglio dei ministri. Di fatto viene prevista per il 2016 un'estensione dell'attuale SIA su tutto il territorio nazionale, che per il 2016 viene indirizzato in particolare alle famiglie con figli, con interventi "in modo proporzionale al numero di figli minori o disabili". E tenendo conto – novità dell'ultimo minuto – anche della presenza di donne in stato di gravidanza. L'obiettivo poi, a partire dal 2017, è l'avvio di un vero e proprio Piano nazionale che sarà legato al riordino dell'intera normativa su trattamenti, indennità, assegni di natura assistenziale e prestazioni sociali in genere. Di fatto, una razionalizzazione di tutte le misure esistenti in una sola che costituisce il cardine della lotta alla povertà. Capitolo risorse: 600 milioni per il 2016, un miliardo di euro a partire dal 2017. Al fondo povertà andranno anche una parte delle risorse oggi incluse su fondi anti-disoccupazione: si parla di 30 milioni nel 2017 e di 54 milioni annui dal 2018 (niente, invece, per il 2016). Nel testo della legge c'è anche un Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile, alimentata da versamenti effettuati nell'ambito dell'attività istituzionale dalle fondazioni di origine bancaria, alla quale sarà riconosciuto un credito di imposta pari al 75%.
Disabilità
È il "Dopo di noi" la novità più rilevante della legge di stabilità 2016. Per il "Fondo per il sostegno di persone con disabilità grave prive di legami familiari" (che nascerà presso il Ministero del lavoro e delle Politiche sociali) vanno 90 milioni annui a decorrere dal 2016, per dare copertura finanziaria a interventi legislativi recanti misure per il sostegno di persone con disabilità grave prive di legami familiari. Ci sono poi 70 milioni per garantire l'assistenza per l'autonomia e la comunicazione personale agli alunni con disabilità, mentre il Fondo per la non autosufficienza, che poteva già contare dallo scorso anno su 250 milioni, viene innalzato a quota 400 milioni, confermando dunque anche per il 2016 la dotazione complessiva del 2015. Approvati poi anche altri finanziamenti minori, fra i quali si possono ricordare i 5 milioni di euro annui per il Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico e i 5 milioni di euro per il 2016 destinati al potenziamento di progetti riguardanti misure per rendere effettivamente indipendente la vita delle persone affette da disabilità grave.
Famiglia
Tra le ultime modifiche inserite nel testo finale anche una norma che riguarda le famiglie numerose: la "Carta della famiglia", che sarà destinata a famiglie con almeno tra figli, con età fino a 26 anni, residenti in Italia anche se stranieri. In base all'Isee, chi farà domanda per aderire all'iniziativa potrà avere sconti per usufruire di servizi pubblici e privati. La Carta famiglia nazionale è funzionale anche alla creazione di uno o più Gruppo di acquisto familiare (Gaf) o gruppi di acquisto solidale (Gas) nazionali, nonché della fruizione dei biglietti famiglia ed abbonamenti famiglia per servizi di trasporto, culturali, sportivi, ludici, turistici ed altro. In tema invece di conciliazione famiglia-lavoro, viene estesa anche al 2016 la sperimentazione della possibilità, per le madri lavoratrici autonome o imprenditrici, di richiedere, in sostituzione (anche parziale) del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di baby-sitting o per i servizi per l'infanzia (erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati). Il limite per il 2016 è di 2 milioni di euro.
Altri provvedimenti
Nella legge di stabilità è inserito anche un Piano contro la tratta: presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri viene stanziata una dotazione di 3 milioni di euro per gli anni 2016-2018 per lo svolgimento delle azioni e degli interventi connessi alla realizzazione del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale, attuativo del Piano nazionale contro la tratta degli esseri umani. Allo scopo di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali c'è poi l'istituzione di un "Fondo per le adozioni internazionali" con una dotazione di 15 milioni annui a decorrere dal 2016. Il testo va incontro anche alle situazioni di povertà dovute al mancato pagamento degli assegni di mantenimento in caso di divorzio: viene istituito un Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno, con una dotazione di 250 mila euro per il 2017 e di 500 mila euro per il 2017. Il coniuge in stato di bisogno che non abbia ricevuto l'assegno di mantenimento per inadempienza del coniuge può richiedere al Tribunale di residenza l'anticipazione di una somma fino all'entità dell'assegno medesimo. Inserito nella legge di stabilità anche il divieto di pubblicità per il gioco d'azzardo dalle ore 7 alle ore 22 per le tv e le radio generaliste: un primo provvedimento per limitare un fenomeno sempre più preoccupante e che, per la cura della ludopatia, vede uno stanziamento di 50 milioni di euro. Nel testo anche la cancellazione della Tasi sull'abitazione principale e il bonus cultura per i giovani diciottenni: 500 euro per musei, mostre, cinema ma anche libri. Mentre è di mille euro il contributo per acquistare strumenti musicali nuovi da parte degli studenti iscritti ai conservatori.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito lenius.it:



Quanto contano gli operatori sociali nei sistemi di welfare?


Cosa ricordate degli anni di scuola? Le riforme ministeriali che regolavano l’istruzione pubblica in Italia mentre voi eravate studenti? Le circolari del Provveditorato agli Studi che davano indicazioni sui programmi scolastici? È molto più probabile che vi ricordiate dei vostri insegnanti.
Del prof di matematica, che non vi prendeva abbastanza in considerazione, di quello di inglese, così antipatico che vi ha fatto odiare la materia, del bel rapporto che l’insegnante di italiano era riuscita a creare con la classe, anche se a Montale e Quasimodo non siete riusciti ad arrivare.
È nella relazione con chi fisicamente avete avuto davanti che si è formata la vostra idea di scuola. Ministeri, leggi, riforme, finanziamenti erano un rumore di fondo, praticamente nullo fino ad almeno le superiori.
La stessa cosa avviene per gli altri servizi di welfare. L’offerta di servizi sociali è regolata da un apparato istituzionale fatto anche qui di ministeri, leggi, riforme, enti, finanziamenti eppure alla fine l’utente si trova davanti un operatore sociale. Un professionista chiamato ad applicare leggi e regolamenti non in astratto ma a casi concreti.
Tatiana Saruis, ricercatrice sociale esperta di sistemi di welfare, ha studiato questo spazio di responsabilità, ma anche di discrezionalità, che hanno gli operatori sociali dei servizi e ci racconta i risultati delle sue ricerche, dando anche qualche spunto su come migliorare le cose. Se volete approfondire, il suo libro Gli operatori sociali nel nuovo welfare, uscito a novembre 2015 per Carocci Editore, è ciò che fa per voi.

Operatori sociali welfare: Intervista a Tatiana Saruis

1. Buongiorno Tatiana, presentati in tre righe ai lettori di Le Nius
Mi occupo di ricerca in ambito sociale da dodici anni e mi interesso in particolare di politiche sociali, processi di governance, povertà ed esclusione sociale, innovazione sociale, scuole e asili. Ho lavorato prevalentemente per l’Università di Urbino e per una cooperativa di ricercatori di Bologna.
2. Gli operatori sociali nel nuovo welfare. Chiariamo subito il titolo del tuo libro: chi sono gli operatori sociali?
Gli operatori sociali, come intesi nel mio libro, sono tutte quelle figure professionali che lavorano nei nostri servizi, dagli uffici pubblici alle cooperative e al volontariato, alle quali affidiamo ogni giorno la parte più fragile della nostra società (bambini, anziani, poveri, famiglie in difficoltà, disoccupati, persone con disabilità), perché si occupino dell’inclusione e del benessere, in fondo, di tutti noi.
3. E cosa significa “nuovo welfare”?
Il welfare è quel sistema di organizzazioni, politiche e servizi che tutelano e promuovono il benessere sociale dei cittadini. Ha cominciato da qualche decennio una fase di lunga e profonda trasformazione per tre ragioni principali: primo, si è adattato alle nuove esigenze emerse nella società, nell’economia e nella cultura; secondo, si sono messi in discussione i suoi obiettivi, i suoi mezzi e la sua stessa legittimità; e terzo, ha incluso nuovi attori (come il terzo settore) e rafforzato alcuni ruoli, soprattutto quello degli enti locali, rispetto ad altri, come lo Stato nazionale. Questo nuovo welfare è in continuo cambiamento, alle prese con nuove sfide e, per molti versi, in grande sofferenza.
4. Perché è importante studiare il ruolo giocato dagli operatori sociali nei sistemi di welfare?
Se ci pensate la posizione degli operatori sociali è cruciale: si trovano esattamente nel punto di incrocio tra la domanda e l’offerta di servizi e prestazioni. Mentre le richieste da parte dei cittadini crescono e si trasformano, le politiche e i servizi sono in discussione, alle prese con difficoltà di bilancio, nuove finalità e filosofie di intervento.
Gli operatori sociali hanno il compito di prendere decisioni che riguardano la vita di altri cittadini, spesso in difficoltà, provando a fornire risposte sensate e conciliare imparzialità ed equità, in questa situazione di grande complessità e incertezza. Inoltre, loro stessi lavorano in condizioni umane e professionali difficili (ogni giorno a contatto con la sofferenza, sono spesso precari, i loro compensi sono bassi, e così via), senza la dovuta attenzione da parte di chi su di loro ha responsabilità politiche e sociali. Eppure il loro benessere è importante per il buon esito del loro compito.
5. Quali sono i risultati più significativi della ricerca? Come cambia il ruolo degli operatori sociali?
La ricerca parte dal presupposto che gli operatori che lavorano a contatto con i cittadini hanno una certa discrezionalità nello svolgimento del proprio compito: le possibilità di accesso ai servizi, la loro qualità, la riuscita degli interventi dipende da loro decisioni e dalla loro capacità di conciliare le esigenze dei cittadini e quelle degli enti per i quali lavorano. Questi spazi di discrezionalità sono, entro un certo limite, necessari per adattare la normativa generale ai casi concreti, ma se diventano troppo ampi comportano una crescente responsabilità per gli operatori, non sempre codificata e riconosciuta nei servizi.
La ricerca ha provato a capire come questi spazi di discrezionalità e responsabilità si configurino in due contesti molto diversi, quelli di Bologna e di Copenaghen, e come gli operatori li interpretano e li gestiscono. Il senso della comparazione era quello di far emergere gli aspetti apparentemente più scontati usando ciascun caso per facilitare la lettura dell’altro.
In estrema sintesi, gli operatori sociali danesi fanno riferimento ad una normativa molto definita che usano come strumento di lavoro, anche sottomettendo le loro decisioni ad indicazioni che ritengono ingiuste. Gli operatori italiani invece, molto scoperti dal punto di vista normativo, spesso agiscono come dei veri e propri “politici”, elaborando criteri di accesso laddove mancanti, reperendo risorse sul territorio, reagendo a decisioni superiori che ritengono ingiuste. Questi esiti pongono interrogativi importanti sulla capacità dei sistemi democratici di garantire un trattamento equo e imparziale dei cittadini e di controllare gli effetti delle politiche.
6. Come hai svolto la ricerca?
La ricerca si è basata principalmente su colloqui svolti con gli operatori ed altre figure che lavorano a contatto con i servizi sociali, sia a Copenaghen che a Bologna. Agli operatori venivano presentati alcuni casi immaginari ma realistici di cittadini in difficoltà (tecnicamente si chiamano “vignette”), chiedendo loro di raccontare in che modo sarebbero stati trattati dai servizi. L’idea era quella di confrontare il modo in cui persone nelle stesse condizioni erano trattate diversamente nei due sistemi di welfare, studiando il processo decisionale per capire il ruolo degli operatori sulla loro possibilità di accedere alle prestazioni e fruire di servizi di qualità con un buon esito.
Grazie a questa ricerca ho potuto trascorrere alcuni mesi nella città di Copenaghen, vedendo da vicino uno dei più avanzati sistemi di welfare del mondo. A Bologna ci vivo, quindi approfondire la conoscenza dei suoi servizi, delle loro difficoltà e dei loro sforzi, è stato senz’altro interessante anche per me come cittadina, oltre che come studiosa.
7. Come si potrebbe intervenire sul rapporto tra livello politico-decisionale e livello operativo per migliorare la qualità dei servizi ai cittadini?
Prima di tutto coinvolgendo gli operatori, oltre che i cittadini stessi, nelle decisioni che li riguardano. C’è frammentazione tra i diversi livelli decisionali dentro e fuori dalle istituzioni pubbliche. Questa crea incoerenza nel nostro sistema di welfare, oltre che una diffusa incomprensione delle scelte che vengono effettuate, delle difficoltà e delle sfide che questo sta complessivamente attraversando.
Mancano meccanismi per comunicare le difficoltà operative a chi, dall’alto, prende decisioni che le influenzano, ma anche per valorizzare le innovazioni che nascono nei servizi e nelle organizzazioni territoriali e che potrebbero essere messe a sistema a beneficio di tutto il paese. In questo modo si creano le differenze territoriali che tutti sappiamo: anche intuitivamente si capisce che essere cittadini in difficoltà in una regione ricca o in una regione povera fa la differenza.
Infine, occorrerebbe una seria riflessione sul significato della cittadinanza, perché il welfare è ciò che la rende concreta e sostanziale. In questo momento, occorrerebbe maggiore attenzione ed investimento non solo finanziario, ma di energie e di idee, per superare le sfide e le difficoltà che a volte gli operatori affrontano in solitudine, assumendo decisioni che riguardano, in fondo, tutti noi ed il nostro modo di stare insieme.
di Fabio Colombo
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



GIORNATA DISABILITÀ: IL 70% DELLE FAMIGLIE NON USUFRUISCE DI ALCUN SERVIZIO DOMICILIARE


Il 3 dicembre viene celebrata la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Un'occasione per favorire una diffusa consapevolezza delle condizioni di vita dei singoli e delle loro famiglie e a modificare gli atteggiamenti.

Purtroppo, secoli di segregazione e di invisibilità hanno creato una immagine luttuosa e deformata della disabilità erigendo un muro di pregiudizi, anche inconsapevoli, difficili da abbattere nei sentimenti e nelle coscienze delle persone. E i pregiudizi determinano e giustificano comportamenti personali e scelte politiche e sociali discriminanti.
Oggi, a condizioni idonee le persone con disabilità studiano, lavorano, praticano sport, vanno in vacanza. A condizioni idonee le persone con disabilità frequentano cinema, teatri, musei, ristoranti. A condizioni idonee hanno amici, formano famiglie. Ma sono proprio quelle "condizioni idonee" che troppo spesso mancano o sono compresse dalla carenza o assenza di investimenti e risorse.
Secondo una recente indagine ISTAT vivono in Italia oltre 3 milioni di persone con gravi disabilità.
Di queste solo un milione e centomila fruiscono di indennità di accompagnamento.
I numeri
Oltre 200 mila adulti vivono ancora in istituto o in RSA e quindi in situazioni potenzialmente segreganti: a loro viene impedito di scegliere dove, come e con chi vivere. Molte altre persone sono segregate in casa, assieme alle loro famiglie a causa dell'assenza di supporti, di sostegni, di opportunità. L'Italia spende poco per la disabilità: 430 euro procapite (dati Eurostat), posizionandosi al di sotto della media europea (538) nella parte bassa della classifica.
La spesa media annua dei Comuni per disabile è inferiore ai 3000 euro l'anno con una spesa giornaliera di 8 euro. Profonde sono le disparità territoriali: 469 euro in Calabria, 3875 in Piemonte.
Il 70% delle famiglie con persone con disabilità non fruisce di alcun servizio a domicilio. Meno di 7 disabili su 100 contano su forme di sostegno presso la propria abitazione. Ciò significa che nella maggior parte dei casi le famiglie gestiscono da sole ciò che i servizi non offrono, rinunciando a molto, spesso anche al lavoro. E questo riguarda in particolare e ancora migliaia di donne a cui è ancora oggi delegato forzosamente quel lavoro di cura che non conta su alcun riconoscimento né formale né sostanziale. L'esclusione è più forte che mai nel mondo del lavoro: meno di un disabile su cinque lavora con ciò che ne deriva in termini di realizzazione personale e di mancato guadagno.
Non è un caso che la disabilità sia uno dei primi determinanti dell'impoverimento e della povertà. La condizione di disabilità sospinge verso la marginalità, erode giorno dopo giorno risorse alle famiglie e ai singoli.
"Abbiamo osservato evoluzioni e accelerazioni, essendone spesso i primi fautori – commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap – ma ora abbiamo una stringente necessità di avviare e consolidare compiute politiche inclusive delle persone con disabilità per migliorane la effettiva condizione di vita: lavoro, sostegni alle persone e alle famiglie, dopo di noi, autonomia personale e vita indipendente, scuola, revisione dei criteri di valutazione della disabilità... Anche queste scelte politiche sono l'indicatore della civiltà di un Paese che stiamo attendendo".
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Riprendiamo dal sito bologna.repubblica.it:




Baby vandali al nido Gaia a Bologna, ora è emergenza adolescenti


L'Istituzione scuola del Comune: "Aumentare i servizi per la fascia di età 11-14 anni". I gestori dell'asilo colpito dalle fiamme: "Quei ragazzi vanno aiutati"



Riprendiamo dal blog bolognanidi.blogspot.it:




Un titolo per educare: una proposta di legge in discussione






E' da anni che se ne parla, è da anni che si tenta di far chiarezza ma per avere una definizione della figura professionale dell'educatore, dovrà passare con ogni probabiltà, ancora del tempo. Nella giornata di ieri UniBo  esattamente Scienze dell'educazione, ha promosso un'intera giornata per parlare, raccontare e discutere del tema e presentare la proposta di legge 2656 attualmente in discussioneLa legge ha per titolo: Disciplina delle professioni di educatore e di pedagogista e l'Onorevole Vanna Iori prima firmataria del testo  era presente in una gremita aula di giovani studenti a raccontare. 

La legge 
La legge affronta più questioni. Nei primi articoli si definisce: chi è e dove interviene l'educatore, tra il quinto e l'ottavo si distinguono le competenze e i profili di educatore e pedagogista. " che convivono in un rapporto circolare" racconta la Iori. Nella proposta di legge si stabilisce anche in che campo può esercitare l'educatore, definendo ma non elecando, gli ambiti pubblici e privati. Nell'ultimo articolo si fa riferimento ad un elenco dove poter registrare i titoli. Non si fa menzione invece di un albo professionale, idea che è stata respinta a più riprese dai presenti in aula.
Perché c'è bisogno di definire la professione?
Per più motivi, molti dei quali pratici. Chi è l'educatore? dove opera? con che titoli di studio? Quanto guadagna? A queste domande ogni terriotorio risponde in modo diverso. E ci sono regioni dove si può accedere al lavoro senza alcun titolo o con brevi corsi professionali. Quando poi ci si addentra in questioni contrattuali e salariali, la faccenda si fa ancora più intricata. Negli anni ci sono stati più momenti in cui si è tentatto di normare e tutelare questa figura. Questa parte ce l'ha raccontata il Professor Alessandro Tomelli, ma i risultati sono stati vani. La discussione è cominciata nelgi anni '60 e ancor oggi siamo di fronte ad un sistema più che mai variegato da territorio a territorio, per non parlare di quando l'Italia si relaziona con l'EU.
Gli interventi delle associazioni 
Si sono susseguiti poi diversi interventi di associazioni e comitati che hanno preso parola rispetto alla legge con diversi punti di vista a volte molto diversi.
Il portavoce  dell'associazione APEI Alessandro Priscindaro ha portato l'attenzione sulle responsabiltà "Non possiamo sempre chiedere, dobbiamo anche fare. L'educatore deve saper accogliere e rispondere alle esigenze del territorio con competenza. Se facciamo bene il nostro lavoro, la nostra professione sarà automaticamente riconosciuta". L'intervento di Nicola Filippo Titta di Anep è stato di dissenso rispetto ad alcuni punti della legge. Salvatore della Capa di Educatori contro i Tagli ha richiamato l'attenzione su un punto delicato: "Sono molti oggi gli educatori che operano sul campo senza titolo di studio, circa il 70%. Crediamo doveroso riconoscere a loro la professionalità e crediamo che la legge debba equiparare l'esperienza diretta di cinque anni al titolo di laurea per poi ripartire tutti con un titolo di studio". Infine la parola è passata a Riccardo Circià della Rete Educatrici e Educatori di Bologna che ha precisato che "il ruolo dell'educatore si deve distinguere e definire anche in contesti che oggi sono zone grigie. Come ad esempio i settori definiti di pre e post scuola, o i campi solari". Luoghi spesso pensati come luoghi per passare il tempo più che educativi. Insomma il tema è denso di implicazioni e risvolti teorici e pratici. Continueremo a seguire l'andamento della legge e la sua attuazione 



---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



CALABRIA, LEGACOOPSOCIALI LANCIA STATO DI AGITAZIONE SU SALUTE MENTALE




Tensione in Calabria sul fronte della salute mentale. Legacoopsociali annunica lo stato di agitazione e in una nota lancia un lungo affondo sulle politiche socio-sanitarie: "non si può pensare di continuare a lasciare il settore della psichiatria nel silenzio dell'oblio, a piacimento di quanti, da questa situazione ne traggono interesse o addirittura profitto" (a sinistra Lorenzo Sibio, responsabile Legacoopsociali Calabria)




"Nel quadro generale dei problemi che in questo periodo attanagliano la sanità calabrese ed in particolar modo la provincia di Reggio Calabria - afferma una nota stampa della Legacoopsociali Calabria – non si può pensare di continuare a lasciare il settore della psichiatria nel silenzio dell'oblio, a piacimento di quanti, da questa situazione ne traggono interesse o addirittura profitto".
Per la coop sociali calabresi "è veramente inaccettabile e fuori da ogni logica che le richieste di ricovero avanzate presso i Centri di Salute Mentale della provincia di Reggio Calabria, per l'inserimento dei pazienti all'interno delle Strutture Residenziali Psichiatriche esistenti sul territorio vengano respinte dal Dipartimento di Salute Mentale della stessa Asp".
"Con la conseguenza che gli utenti dei servizi si vedono costretti ad 'emigrare' fuori provincia. Oltre a negare un diritto costituzionalmente garantito, – continua la nota - il diritto alla salute, si creano enormi disagi a tante famiglie che hanno di per se la sfortuna di vivere quotidianamente e direttamente sulla loro pelle le difficoltà di gestione del disagio psichiatrico in ambiente familiare. Tutto questo, paradossalmente, con grande aggravio di spese per l'azienda pubblica, che nega i ricoveri nelle strutture dove opera il proprio personale sanitario ma deve poi necessariamente rimborsare le spese sostenute altrove in strutture private .
Stato di agitazione
Eppure nonostante nei mesi scorsi tutti i soggetti interessati, cooperative sociali, associazioni dei familiari e la stessa consulta della Psichiatria abbiano espresso vibrata protesta rispetto l'iniquità del provvedimento dell'ASP 5 di bloccare i ricoveri nel proprio territorio nulla è stato fatto per la revoca dell'assurdo provvedimento, nonostante le rassicurazioni pervenute da parte della Regione. "Con la conseguenza che - continua – l'atto deliberativo dai contenuti scellerati ( n. 425/CS del 16/06/2015) che disponeva il divieto dei ricoveri per consentire, incredibilmente, il contenimento della spesa, tuttora crea enormi disagi agli utenti e porta di certo, inevitabilmente e paradossalmente ad un incremento della spesa per l'ASP 5 e per la stessa Regione Calabria".
Il mancato insediamento della triade commissariale nominata per l'ASP 5 di Reggio Cal. e
l'assenza di interlocutori "non aiuta certo a superare questo momento di forte tensione che , l'incertezza del futuro , unitamente al mancato pagamento delle spettanze dovute per le prestazioni rese , ad oggi ferme al mese di aprile 2015, alimentano nei lavoratori , nelle cooperative e negli stessi utenti e familiari. Anzi - continua - il tutto contribuisce a generare un clima ostile e di sfiducia verso la politica e verso tutti i burocrati e dirigenti del settore che appaiono inadeguati e distanti dai problemi reali del territorio e del cittadino".
"LegacoopSociali Calabria a nome delle proprie cooperative impegnate nella gestione delle Strutture Residenziali Psichiatriche ritiene che non è più tempo di attese. Ora è necessario - conclude - intervenire per regolarizzare i pagamenti delle prestazioni fin'ora rese come appare ancora più urgente la riorganizzazione che siano fissati gli obiettivi e le regole, cioè le linee guida per la riorganizzazione delle strutture alternative, da parte dell'unico Ente preposto, evidentemente la Regione Calabria da cui l'ASP stessa dipende. Nel ribadire la necessità immediata di rettifica della deliberazione n. 425/2015 CS , l'Organizzazione comunica la proclamazione dello stato di agitazione e l'attivazione di ulteriori forme di tutela presso i soggetti istituzionali, al fine di salvaguardare i diritti degli utenti, dei lavoratori e delle cooperative sociali rappresentate".
Redazione


Riprendiamo dal sito dire.it:


Sgomberi a Bologna, l’amarezza dell’operatore sociale: “Smontati progetti utili”

BOLOGNA – Finito lo sgombero, hanno eretto un muro di mattoni per chiudere l’ingresso, messo due camionette davanti e lasciato che tutti gli occupanti si riversassero nel prato di Liber Paradisus, proprio di fronte al palazzo dell’ex Telecom appena svuotato. Fino a tarda sera sono partiti pullman e autobus per condurre ognuno alla nuova, provvisoria, destinazione. Il racconto è di chi martedì 20 ottobre era in via Fioravanti e ha visto le Forze dell’ordine portare fuori uomini, donne e bambini per poi disinteressarsene, lasciando che fossero i servizi sociali a farsene carico. Dicono che in quella zona non ci sono mai stati problemi di disturbo della quiete pubblica, zero spaccio, con tutti i bimbi in età scolastica in classe e nessuna segnalazione da parte delle maestre per situazioni di disagio:“Ora sono tutti fuori, dispersi, costretti a ricominciare da capo. La loro quotidianità è spezzata, i loro rapporti anche”.

Episodi “drammatici come quelli dei recenti sgomberi in via Solferino e in via Fioravanti fanno venire meno la solidarietà e l’intesa che all’interno si era creata, grazie anche all’opera, spesso preziosa, che i collettivi portano avanti”: la constatazione arriva da un operatore dei servizi sociali bolognesi. “Mi è capitato di entrare in uno stabile occupato, e sapete cosa ho visto? Un condominio normale abitato da persone normali. Quelle occupate sono strutture vuote, non tolte a famiglie nelle liste d’attesa per edilizia pubblica. Perché non si prende la briga di trasformare queste situazioni illegali in legali? Gli sgomberi non servono a nulla, nella maggior parte dei casi distruggono progetti che funzionano: contemporaneamente, comportano più lavoro per gli assistenti sociali già sotto organico ma sovraccarichi di impegni e costano più soldi”.
Il discorso, a Bologna, cambia molto da quartiere a quartiere: San Donato, Navile, San Vitale, Porto hanno sicuramente una concentrazione più alta di casi in carico ai servizi sociali, oltre che di alloggi Erp. “Per esempio- spiega l’operatore- Santo Stefano ha sette-otto minori in strutture educative. San Donato, Navile e San Vitale ne hanno circa 50. I numeri sono confrontabili: ma il problema è di Bologna, non del singolo quartiere”. Questa situazione di disagio è stata più volte fatta presente all’amministrazione ma, dicono i diretti interessati, non sono arrivate che risposte tardive, difficoltose e arrugginite. E se per gli adulti fragili qualcosa è stato fatto, per i minori e i nuclei familiari no. “Non c’è stata la scelta di investire sul sociale- continua- sono state assunte 150 maestre e 75 vigili urbani in tre anni ma nessun assistente sociale. È normale? Le domande continuano ad aumentare, le risorse umane calano, e per nessuna decisione gli assistenti sono interpellati, salvo poi essere costretti a farsi carico di una mole assurda di impegni, complice anche il venir meno di alcuni accordi tra rappresentanti dello Stato e degli enti locali”. Qualche esempio? Il tribunale ordinario nelle separazioni conflittuali nove volte su 10 chiede ai servizi sociali di sbrigare la pratica, invece che affidarla al Ctu, il consulente tecnico d’ufficio che proprio di quello dovrebbe occuparsi. “Così, noi ci improvvisiamo consulenti matrimoniali, civilisti, psicologi: ma nessuno ha fiducia nella nostra autorità”. E ancora: “Dopo l’estinzione degli uffici di collocamento, con i Centri per l’impiego che faticano a trovare il loro spazio, chi perde il lavoro si rivolge a noi. E noi che dovremmo fare?”.
L’operatore conferma quanto raccontato ieri a ‘Redattore sociale’ da Mirella Monti, delegata Rsu Cgil funzione pubblica: maternità e malattie anche lunghe non vengono sostituite, e l’organico è molto ridotto rispetto a pochi anni fa. “A pieno regime, i quartieri sono gestibili: ma se per gestire 300, 400 colloqui mensili gli operatori vengono decimati, il tavolo salta. La situazione era ampiamente prevedibile, l’abbiamo fatto presente, ma nessuno ha mosso un dito”.

---------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito radiocittafujiko.it:


Ex Telecom sgomberata, promesso un alloggio a tutti gli occupanti


Un dispiegamento ingente di forze dell'ordine, oltre 200 agenti e 40 camionette, circondano lo stabile di via Fioravanti.


Dopo oltre 10 ore di assedio da parte di 200 agenti delle forze dell'ordine, la palazzina dell'ex Telecom di via Fioravanti è stata definitivamente sgomberata. Agli occupanti è stata promessa una soluzione abitativa. Il bilancio è di quattro feriti e un bambino portato via in ambulanza per una crisi respiratoria. Il racconto della giornata.

Cominciato alle 7 di questa mattina, l'assedio di 40 camionette e 200 agenti delle forze dell'ordine all'Ex Telecom di via Fioravanti si è concluso dopo più di dieci ore. A convincere gli ultimi occupanti rimasti sul tetto è stata la promessa della dirigente dei Servizi Sociali, che ha garantito una sistemazione per tutti gli occupanti.
In serata è arrivata anche una nota ufficiale del sindaco Virginio Merola che, sottolineando come lo sgombero sia stato voluto dalla Procura ed eseguito dalla Questura, ha garantito che per le famiglie con minori ci sarà un alloggio. Una versione leggermente discordante da quanto sostengono gli attivisti di Social Log, per i quali la sistemazione promessa riguarda anche le persone senza figli.

IL RACCONTO DELLA GIORNATA
Un ingente dispiegamento di forze dell'ordine ha cominciato le operazioni di sgombero della palazzina Ex Telecom in via Fioravanti 27, occupata a dicembre scorso da Social Log. Alla Ex Telecom vivono circa 300 persone, di cui circa un centinaio sono minori. Dopo quello di Atlantide e via Solferino, Bologna si prepara a vivere l'ennesima giornata di sgombero in poche settimane.
La Digos aveva già tentato di sgomberare la struttura lo scorso 19 maggio, dopo che a marzo il Tribunale del Riesame aveva disposto il sequestro preventivo. Il tentativo fu allora respinto.
Sono 200 gli agenti presenti, che hanno bloccato tutto il tratto di via Fioravanti davanti alla sede del nuovo Comune. Il traffico ha subito ripercussioni consistenti.
Nella strada antistante la palazzina si sono radunati gli attivisti di Social Log e i solidali, che sono stati caricati diverse volte dalla polizia. Due al momento i feriti, soccorsi dalle ambulanze solo dopo che i presidianti hanno insistito perchè il cordone di forze dell'ordine ne permettesse il passaggio, in un primo negato. Almeno cinque sono invece i contusi.
Gli occupanti si sono barricati ai piani alti della struttura. Una ventina di loro è salita sui tetti, poi altri 130 li hanno raggiunti. Gli altri, affacciati alle finestre, sbattono oggetti metallici per fare rumore. Le forze dell'ordine sono già entrate nello stabile. Anche gli assistenti sociali, questa volta, sono intervenuti nello sgombero.
A quattro ore dall'inizio delle operazioni, la polizia è uscita dallo stabile per tentare l'accesso dal retro, in via Dall'Arca.
A molte ore dall'inizio dello sgombero, si è avviata anche una trattativa nell'ufficio dell'assessore al Welfare Amelia Frascaroli, dove ci sono anche attivisti di Social Log e il procuratore dei minori. L'Amministrazione starebbe proponendo di spostare una parte degli occupanti all'ex Galaxy, recentemente riaperto, valutando situazione per situazione. Un'ipotesi che trova contrari gli attivisti di Social Log e gli occupanti, che vorrebbero invece trovare una soluzione per tutti.
A commentare la trattativa è il presidente del Quartiere Navile Daniele Ara, che si scaglia contro gli attivisti: "Questo è l'epilogo normale quando pensi di concentrare i problemi in un unico luogo. Se avessero seguito le nostre indicazioni molti sarebbero già sistemati. Questo succede quando si strumentalizzano le persone in difficoltà. Chi fa casino sul tetto non sono i disperati".
Mentre si ingrossa il presidio esterno all'ex-Telecom, in altre città si stanno organizzando presidi e piazze solidali. A 8 ore dall'inizio delle operazioni le forze dell'ordine sono entrate nell'edificio con caschi e scudi per portare fuori gli occupanti, tra cui molte donne e bambini. A piccoli gruppi, donne e bambini (alcuni di pochi mesi, dentro il passeggino) vengono accompagnati fuori dallo stabile, in lacrime, accolti dall'applauso dei manifestanti in presidio. Laboratorio Crash riferisce di un bambino con problemi respiratori portato via in ambulanza. All'uscita alcune madri hanno riferito che gli agenti avrebbero usato la forza con gli occupanti, stesse accuse che volano anche dai manifestanti barricati sul tetto. "Hanno picchiato le mamme", racconta una bimba dopo aver lasciato l'edificio. La conferma arriva da Social Log, che fa sapere che una occupante è stata colpita con un calcio che gli avrebbe procurato la frattura della mandibola.
Forze dell'ordine e vigili del fuoco sono saliti sul tetto della palazzina per convincere ad abbandonare l'edificio gli occupanti, che non hanno però alcuna intenzione di scendere e proseguono nella loro resistenza.
LE REAZIONI
"Ormai è evidente a tutti che Virginio Merola non ha, come si dice, le physique du role". Wu Ming 4 commenta ai nostri microfoni lo sgombero dell'Ex Telecom e gli altri sgomberi delle settimane scorse. "Il clima che si respira a Bologna è un clima da Gotham City, dove si sgomberano in antisommossa donne e bambini. In altri momenti storici la politica avrebbe portato avanti una mediazione, ma evidentemente non siamo più in quella fase storica e nell'Amministrazione regna il silenzio".
Lo scrittore poi mostra sconforto anche per la reazione della società civile. "Innanzitutto bisogna vedere se è ancora civile questa società, anche ora che non siamo più in epoca di vacche grasse. Gli unici che hanno mostrato solidarietà sono gli stessi collettivi che portano avanti quelle lotte".

Nella prima mattinata abbiamo raggiunto anche il consigliere comunale Mirco Pieralisi che, prima di entrare al lavoro, ha commentato lo sgombero. "Sono indignato, mi sembra una cosa ingiusta e pericolosa - afferma Pieralisi - Indipendentemente da come la si pensi sul problema abitativo, c'è un uso della forza pubblica a fini privati e di disegni politici". Il consigliere comunale esprime poi la sua "incondizionata solidarietà" alle famiglie degli occupanti e ai collettivi che li sostengono: "Li ho conosciuti, sono persone straordinarie, che al primo posto mettono la solidarietà".
E poi l'appello al sindaco: "Vada là personalmente a rendersi conto della situazione e a vedere che vengano tutelati i minori. Si interponga, come hanno fatto altri sindaci nella storia".

Il ministro dell'Interno rimuova il prefetto e il questore di Bologna, "vista l'evidenza di interventi attuati ripetutamente senza il coinvolgimento delle istituzioni locali e mettendo a rischio diritti costituzionalmente garantiti". Lo chiede Sel, in un'interrogazione firmata dal capogruppo alla Camera Arturo Scotto, dal coordinatore nazionale Nicola Fratoianni e dal deputato emiliano-romagnolo Giovanni Paglia, in merito allo sgombero dell'ex Telecom di Bologna.

"Mi chiedo dove si collochi la giustizia oggi, perché mi capita di pensare che chi cerca di fare giustizia, in realtà stia commettendo una grossa ingiustizia: spesso, chi cerca di risolvere un problema, in realtà lo crea". Lo ha detto don Giovanni Nicolini, parroco di Sant'Antonio da Padova alla Dozza e vicino all'assessore bolognese Amelia Frascaroli, commentando gli sgomberi in città. "Se da un punto di vista legale non approvo - continua don Nicolini - devo ammettere che queste iniziative forse danno vita una legalità superiore. Lì viene offerto aiuto e questo è un fatto culturale, politico e spirituale".
"Questi signori se ne devono andare, e spero che alle prossime elezioni ci sia uno scatto d'orgoglio dei cittadini bolognesi rispetto a un partito, il Pd, che si sta spostando sempre più a destra - è il commento dall'Ex-Telecom di Mauro Collina, di Rifondazione Comunista - Un partito che accetta i ricatti della Procura, altro soggetto pericolosissimo, perché c'è da stare molto attenti quando una Procura della Repubblica interviene in questi termini. Bologna non si merita una giunta di questo tipo, si merita ben altro".
"È una giornata molto difficile, si arriva al termine di una occupazione che non abbiamo mai condiviso ma che mette in evidenza un'emergenza sociale che c'è in questa città". È quanto afferma Daniele Ara, presidente del quartiere Navile: "Lavoriamo per trovare una giusta sistemazione di emergenza abitativa per donne e bambini. C'è stato un problema in questo anno nel far incontrare le persone con i servizi. Dopodiché penso si sia scelto questo posto come un luogo simbolico per fare uno sgombero che verrà ricordato, ci sono tanti errori da tante parti - continua Ara - Probabilmente anche il clima elettorale incide, il rispetto della legalità è importante, ma lo è altrettanto aprire delle opportunità alla nostra comunità. C'è un clima istituzionale che vuole favorire delle rotture - sottolinea il presidente del Navile - credo che vada costruita invece una risposta seria, perché l'alternativa è il caos, tra il qualunquismo del M5S o peggio ancora chi vuole le ruspe".
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito napolimonitor.it:


Spegnersi o ricominciare. Gli operai del sociale si raccontano



Un mese fa erano vent’anni dall’occupazione del Damm, centro sociale a Montesanto. Un luogo che ancora esiste, spinto avanti nel tempo da un’inerzia sempre più flebile. Una delle sue caratteristiche, inedita per i posti occupati a metà degli anni Novanta, era il lavoro di animazione, e in generale la vicinanza con i bambini e gli adolescenti del quartiere. Quel modo di stare con i ragazzini aveva qualcosa di antico – a cinquanta metri dal Damm era sorta la Mensa bambini proletari nei primi anni Settanta – ma anche di nuovo e promettente. Un piccolo gruppo di giovani, con scarsa preparazione in quel campo, cominciò a organizzare la propria formazione, invitando educatori e artisti a tenere dimostrazioni, spettacoli e seminari. Bruno e Rosellina Leone vennero a insegnarci come costruire burattini e guarattelle con materiali poveri, Ugo Pugliese (non) ci svelò i segreti dei giochi di prestigio e della magia, Peppe Carini ci mostrò alcuni giochi all’aperto, Francesco Silvestri l’arte di narrare le storie, Pasquale Amato alcune tecniche per i laboratori teatrali ,Linda Martinelli le danze e gli esercizi con il corpo, Felice Pignataro fece un murales con i bambini, Laura Magrassi diede un saggio dei suoi laboratori per i più piccoli, e così via. Altri ancora venivano invitati a discutere, in assemblee più allargate, su quel che stava accadendo in quegli anni nell’ambito del cosiddetto lavoro sociale: le esperienze ancora isolate in periferia, il dibattito sui finanziamenti pubblici, il rapporto con la politica e con le istituzioni.
In modo parallelo, il gruppo cominciò a mettere a frutto con i bambini quegli insegnamenti e nacquero così giochi, laboratori, scambi e inviti reciproci in altri luoghi e occasioni. Allo stesso tempo prendeva corpo una riflessione su come posizionarsi in quel panorama, che vista l’attività quotidiana nel quartiere sembrava riguardarci sempre più da vicino. Il lavoro sociale era percorso proprio allora da una sorta di frenesia e nel giro di poco tempo cambiò radicalmente volto.
Uno dei capisaldi del lavoro, in linea con la concezione che avevamo del centro sociale, era di non chiedere soldi a nessuno, né di partecipare a bandi o gare che mettevano in concorrenza le diverse cooperative e associazioni. Per quel che ci serviva, bastava l’autofinanziamento. Apprendevamo il mestiere, ma rifiutando lo status del “professionismo” che si andava stabilendo allora, a cominciare da quel lessico pieno di eufemismi e banali etichette usate come rivestimenti della realtà, a volte brutale, in cui s’interveniva: un vestito “nuovo” che da un giorno all’altro indossarono tanti coetanei e compagni d’avventura. Ci concentrammo piuttosto su come approfondire la relazione con i ragazzini e con le loro famiglie, ma anche sul tipo di responsabilità che questo comportava e sui limiti imposti da quei punti fermi a cui non volevamo rinunciare.
Forse ci facevamo troppe domande, mentre altrove si procedeva senza andare troppo per il sottile; forse eravamo poco ambiziosi, o troppo pigri, ci accontentavamo di passare dei buoni pomeriggi inventando qualche gioco insieme ai bambini, o seduti su un muretto ad ascoltarli, per chiarirci le idee su mondi che non conoscevamo affatto. Programmavamo ogni cosa, anche a lungo termine, ma ci bastavano accordi di corto raggio, con la scuola, con le famiglie, con gli stessi ragazzi, per garantirci l’incontro quotidiano, la continuità della nostra presenza. Le affinità su questo tipo di impostazione si fecero sempre più rare, ma le soluzioni a certi quesiti non potevamo trovarle da soli, certe strade bisogna percorrerle in compagnia. L’esperienza rimase ristretta a chi ne era stato direttamente coinvolto, un bagaglio buono da usare anche in altri contesti, e infatti nel giro di qualche anno ce ne servimmo un po’ tutti, ma ormai lontano da Montesanto.
Altrove si pensava in grande, ci si espandeva, si “gestivano” più soldi, e sempre più persone; l’attenzione degli adulti si spostava un po’ alla volta dai ragazzini – ma anche dai disabili, dai matti, dagli anziani – al progetto da presentare, ai parametri del bando, al mandato dell’istituzione da rispettare; la priorità divenne tenere in vita l’associazione, la cooperativa, la comunità, anche quando il senso delle proprie azioni cominciava a sfumare, e tutto convergeva verso la pura e semplice auto-riproduzione. Certo, qualcuno aveva in mente interventi innovativi, e l’ambizione di influire sulle politiche, di cambiare davvero le cose attraverso strumenti che in quegli anni acquisivano una portata mai raggiunta prima; bisognava stare al gioco, sostenevano, starci dentro fino in fondo per ottenere risultati buoni per tutti. In quegli anni era un approccio che non ci convinceva, mentre oggi possiamo riconoscerlo, e anche apprezzarne alcune realizzazioni. La realtà, però, è che oggi anche le esperienze più virtuose nate in quel periodo si sono ritratte spaventosamente; i territori conquistati a fatica sono andati perduti, e nelle retrovie c’è lo stesso sbandamento che altrove.
Il prosciugamento del welfare italiano e meridionale sta segnando di fatto la scomparsa dei mestieri di educatore, animatore, operatore sociale, e insomma di tutte quelle figure professionali emerse con la crescita abnorme del settore non profit, portandosi viale illusioni di chi aveva creduto di poter vivere con un lavoro bello, quasi nobile, e uno stipendio fisso, quasi intero – sempre con un piede dentro e uno fuori, però; nel caso di complicazioni –, e tra questi tante persone oneste e preparate, che adesso sono le prime a scivolare via, mentre i più disincantati fanno finta di niente cercando qualche appiglio, e si può stare certi che saranno gli ultimi a staccarsene.
E proprio nell’ambiente di quelli che stavano allora, o che stanno ancora, dentro o intorno ai movimenti sociali, qualche barlume di consapevolezza, forse tardivo, comincia a farsi strada, insieme alla rabbia e allo sbigottimento per le attese tradite. Non qui a Napoli, purtroppo, dove una riflessione costruttiva su quel che è accaduto in vent’anni è ancora secondaria o terziaria rispetto alla rivendicazione di denari sempre più ipotetici, o al lamento puro e semplice, senza altre prospettive. A Milano invece un gruppo di operatori si è riunito in un cantiere sul “mal di lavoro”, in cui lavoratori e lavoratrici delle imprese sociali hanno cominciato a narrare e analizzare in prima persona le esperienze fatte e quelle in corso. Il primo incontro si è svolto il 22 dicembre del 2013 nello spazio del PianoTerra, con una quarantina di persone, la maggior parte provenienti da Milano ma qualcuna anche da altre provincie e regioni del centro-nord. A quel primo incontro ne sono seguiti otto, all’incirca uno al mese, sempre nello stesso posto. Il libro La rivolta del riso. Le frontiere del lavoro nelle imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici, curato da Renato Curcio per Sensibili alle foglie (2014), è un tentativo di mettere ordine nei materiali prodotti e offrire degli spunti per andare avanti in questa esplorazione di un universo andato in frantumi, forse per decidere di abbandonarlo o per provare a ricostruirne i pezzi, ma in un modo del tutto diverso.
Le parole dei partecipanti al laboratorio definiscono dapprima il contesto, il salto enorme tra le esperienze pionieristiche degli anni Settanta, promosse da chi “aveva per così dire ‘un problema col mondo’ – nota il curatore –, con quella società capitalista che era la vera fonte del malessere individuale dei primi utilizzatori di quegli improvvisati servizi”, e le odierne imprese sociali, che, racconta un operatore,“ti dicono che il problema non è nel mondo ma nella persona…”.
Da queste premesse, tra le tante conseguenze, la guardia bassissima tenuta dalle imprese sociali nei confronti dell’istituzione che affida il servizio, che spesso è un’istituzione totale e come tale preme per subordinare gerarchicamente tale lavoro. “Sempre più – scrive Curcio – le comunità orientate verso la libera accoglienza vengono considerate inaffidabili. Le pressioni del Servizio sociale istituzionale sugli operatori della comunità affinché garantiscano turni di notte, vigilanza continua e fax di denuncia pongono a chi gestisce queste imprese una domanda: siete abbastanza affidabili o dobbiamo rivolgerci ad altri? Una domanda insidiosa che allude apertamente anche a un ricatto economico”.
Le storie individuali tracciano così il profilo paradossale di un lavoratore che si muove in ambiti estremamente differenziati, dai centri estivi per bambini ai penitenziari, dalle comunità di accoglienza per minori agli ospedali psichiatrici, spaziando tra compiti educativi e di animazione, fino a quelli di sorveglianza, contenimento e controllo, alle prese con una umanità variegata e con esigenze, codici di condotta, abilità richieste sideralmente differenti tra loro. Eppure, con il passare del tempo, tale profilo è andato suo malgrado uniformandosi, e sempre più sbiadendo: l’attitudine flessibile, la natura polifunzionale e intercambiabile, al di là di ogni eventuale qualificazione (anche se le nuove norme, fuori tempo massimo, insistono su titoli e certificazioni); la disponibilità a lavorare senza protezione normativa, talvolta senza contratto, con salari bassi o bassissimi, spesso differiti nel tempo; e poi la confusione ipocrita con il militante di una causa, di una missione di vita, operata dai superiori, ma talvolta dagli stessi operatori pur di non interrompere il lavoro; questi e altri fattori compongono un’identità incerta, lontana dai sindacati e soprattutto da quella “sicurezza di rappresentanza” che dovrebbe caratterizzare ogni lavoro dignitoso.
Per quale obiettivo ultimo agisce l’operatore sociale, quello di integrare le persone nelle istituzioni esistenti oppure di metterle in conflitto con le istituzioni stesse? Come deve comportarsi quando i cosiddetti utenti si oppongono al suo intervento, perché evidentemente non lo desiderano, non lo ritengono adeguato alle proprie esigenze o lo considerano addirittura punitivo e umiliante? Vengono prima i valori che l’operatore considera propri o quelli imposti dal ruolo e ribaditi dal mandato dell’impresa che lo impiega e dell’istituzione che lo delega a operare?
Somigliano molto alle domande che ci facevamo un tempo e che ci lasciavano sempre qualche angolo scoperto, come una coperta troppo corta, ma sono anche le stesse che ritornano nelle testimonianze, talune ai confini della realtà, snocciolate in questo esperimento di “socio-analisi narrativa”, come la definisce il curatore. Episodi in cui tali dilemmi sono portati al parossismo, in un crescendo di tensione che coinvolge colleghi e superiori, insegnanti, assistenti sociali, dirigenti dell’impresa o altri referenti, e che quasi sempre generano compromessi al ribasso, frustrazione, accettazione pura e semplice delle condizioni date, quasi mai un rifiuto; al massimo un’uscita di sicurezza per resistere in qualche modo senza rischiare il posto.Si tratta spesso di strategie di sopravvivenza basate sulla dissociazione, sullo sdoppiamento dell’identità,in cui la militanza politica o il lavoro intellettuale si riducono a miseri alibi per credersi ancora integri, diversi, accettabili prima di tutto a se stessi; un autoinganno che permette di affrontare pratiche e complicità che in condizioni normali sarebbero decisamente rifiutate. Fino al ricorso estremo, quello di “spegnersi” (“Io mi sono spenta!”, racconta una delle partecipanti, segnalando una forma dissociativa tipica di chi opera in contesti estremi, come carceri o manicomi).
Alla fine del libro spunta anche qualche esperienza di opposizione, di sindacalizzazione quasi clandestina, di condivisione creativa, di festa. Il tono generale però resta pesante, connotato dalla riproposizione di scelte drammatiche alle quali non si sa come sfuggire. Questa sorta di accumulo aiuta a mettere in chiaro che siamo al punto di non ritorno, e quindi la necessità di cambiare rotta. Eppure, la nostra esperienza a queste latitudini prevede anche esempi di accomodamenti, che pur nello sfacelo, nella disfatta totale delle premesse e degli obiettivi, consentono di mandare avanti la baracca, tenendo sotto il livello di guardia le nevrosi e le tensioni. Fatto sta che gli esempi finali sollecitano qualche domanda sul futuro, sull’alternativa. Vengono prefigurate così “comunità cooperanti a partire dai luoghi in cui si svolge la propria vita quotidiana, come controtendenza allo smantellamento del sistema di protezione sociale istituzionale”. Rispunta la possibilità di un’alleanza tra utenti e operatori, o per dirla con parole più vere, l’incontro tra persone al di là di ruoli e gerarchie, oltre l’ipocrita “distanza” professionale; un’alleanza che richiede di mettersi profondamente in gioco, di pronunciare dei chiari rifiuti e di lanciarsi senza paura in ambiti non ancora definiti.
Passati vent’anni, il cerchio si chiude. Si ricomincia dai principi alla base di tanti centri sociali di un tempo. Niente di eclatante: il piccolo gruppo, l’apertura verso l’altro, lo scambio mutuo, la costruzione di alternative. Forse, in tanti potevano pensarci per tempo. In ogni caso, non sembrano esserci più alternative all’isolamento. E allo “spegnimento” definitivo.(luca rossomando)
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito disabili.com:


I genitori con figli disabili non sono da compatire, ma da ascoltare



"Vorremmo più considerazione, siamo genitori, genitori alla massima potenza, quasi marziani, non involucri vuoti senza cervello"

Nel quotidiano imbattermi su pagine e profili sui social network dedicati alla disabilità, mi capita sempre più spesso di accorgermi di come un nuovo soggetto si stia muovendo in maniera sempre più forte, coordinata e organizzata. Si tratta dei famigliari - in particolare dei genitori - di persone con disabilità.

Si tratta, dicevo, di un "soggetto" che spesso - ma non sempre - si muove al di fuori di formule associative, ma fa gruppo, appunto, attraverso i social network per confrontarsi, cercare consigli, ma anche organizzare azioni di protesta. A leggere con attenzione i post di questi genitori, ci si accorge che si tratta di una piccola grande miniera di informazioni, di conoscenze "dal basso" che, se legittimate della giusta attenzione, se messe a frutto, se chiamate in causa nei dovuti spazi istituzionali, apporterebbero un contributo di conoscenze ed esperienze che spesso oggi manca proprio in quei tavoli.

Che le famiglie siano quella spina dorsale che è l'assistenza e il supporto alle persone con disabilità in Italia è un dato riscontrabile non solo nella nostra esperienza quotidiana (penso ad esempio alla sezione Genitori insieme del nostro forum), ma è anche certificato dai numeri.
L'esperienza di un genitore a contatto con la disabilità lo trasforma spesso in un esperto di leggi, in un quasi infermiere, in un costruttore di ausili.  Mi capita spesso di imbattermi in genitori che ne sanno molto più di me sui loro diritti, sulle procedure da seguire per questa o quella pratica, e capisco che le loro conoscenze sono il frutto di prove ed errori e dolore, molto, e confronti - ma molto spesso di scontri  - con amministratori ed istituzioni, con questo o quell'assessore, con questo o quel preside, con questo o quel terapista. Ora, non credo affatto che questo significhi che il genitore voglia sostituirsi al terapista, al preside, all'amministratore, ma che questa presa di coscienza ed azione sempre maggiore siano la normale conseguenza di esperienze che spesso portano il genitore a doversi documentare per interpretare leggi e battere i pugni per vedersi riconosciuti non solo diritti, ma a volte, addirittura, il semplice ascolto.

Parlando di genitori, per noi è impossibile non citare l'esempio di Marina Cometto, la "nostra" Mamma Marina,  madre di una ragazza con grave disabilità, che molto conosce delle difficoltà che questo comporta, anche solo sul fronte dei diritti, della burocrazia, delle leggi talvolta assurde, talvolta mal applicate. Nel tempo Marina  è diventata un punto di riferimento per genitori di persone con disabilità, ed è sul suo profilo Facebook che qualche settimana fa trovo una sorta di "vademecum": uno sfogo per punti, una serie di precisazioni rivolte idealmente agliamministratori e, più in generale, alla politica purtroppo spesso lontana dai genitori di questi bambini, di questi ragazzi e infine di questi adulti che non possono essere invisibili.

Scrive così Marina:
I genitori con figli disabili non  sono da compatire, ma da ascoltare: imparereste tanto. Ma voi che siete ai vertici del potere politico e delle istituzione e spesso non per meriti (…), perché trattate sempre i genitori con figli disabili come degli imbecilli non in grado di valutare e conoscere molto più di voi la patologia dei propri figli?
Non siamo sempre e solo genitori devastati dal dolore, ma spesso è proprio questo dolore che ci da l'opportunità per essere più attenti, informati e perfettamente in grado di combattere la burocrazia a cui tenete tanto;
- siamo genitori addolorati è vero, ma questo non ci impedisce di ragionare con logica, e attenzione a 360°;
- siamo genitori addolorati è vero, ma spesso molto più preparati, informati e con voglia di conoscere, conosciamo le leggi meglio di molti di voi;
conosciamo le patologie nei minimi particolari, e alcuni salvano anche la vita ai propri figli intervenendo spesso ostacolando le vostre decisioni.
Vorremmo più considerazione, siamo genitori, genitori alla massima potenza, quasi marziani, non involucri vuoti senza cervello.

-----------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito radiocittadelcapo.it:


Minori non accompagnati. Gli arrivi raddoppiano, ma pochi gli affidi

Bologna, 28 set. – Nel 2015 ogni giorno un minore non accompagnato viene segnalato ad Asp Città di Bologna dalle forze di polizia o da altri servizi sociali. A volte sono due. Lo ha detto il direttore generale dell’Azienda pubblica di servizi alla persona Elisabetta Scoccati, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede di via del Pratello 53, che riunisce i servizi ai minori e il centro per le famiglie, finora operativi in sedi distinte.
Nel 2014 sono stati 448 i nuclei familiari seguiti da Asp, 114 quelli presi in carico ex novo. Fra questi ultimi, ben 70 erano costituiti da minori soli. E la stima di Asp è che aumenteranno, se sarà confermata la tendenza dell’anno in corso. Contro ogni facile aspettativa, non si tratta degli effetti dei flussi migratori in corso da paesi coinvolti in conflitti aperti o latenti, perché i ragazzini soli arrivano a Bologna soprattuto dall’Albania e da alcuni paesi asiatici come Pakistan e Bangladesh (e non dalla Siria o da paesi coinvolti nei conflitti africani).
La maggior parte ha più di 10 anni. Due su tre restano in città o in provincia, gli altri vanno a vivere in altri comuni della regione. Asp prova a capire se possono essere riaccompagnati alla famiglia di origine, anche perché, se dovessero essere tutti presi in carico “la spesa sociale sulla città sarebbe spropositata”, spiega Scoccati, che chiarisce: “Proviamo prima a contattare la famiglia, cerchiamo di capire chi sono tramite le ambasciate. Poi li aiutiamo e li inseriamo nella nostra comunità”.
Gli affidi, però, sono molto pochi. Nel 2014 sono state 38 le pratiche avviate a questo scopo, ma solo 24 quelle concluse; 25 le coppie che si sono rivolte ad Asp per intraprendere il percorso di affidamento. 75, invece, sono state le coppie che si sono rivolte ad Asp per l’adozione e 15 le adozioni avviate. “Il nostro obiettivo è far crescere la sensibilizzazione verso l’affido, a cominciare dalla nostra azienda di 450 dipendenti, tutti potenziali affidatari”, conclude Scoccati. All’inaugurazione di via del Pratello 53 c’era anche Giovanna Cosenza, presidente del Corecom, docente universitaria e autrice del blog Dis.amb.iguando, che ha raccontato la sua esperienza di madre affidataria di una bambina di 11 anni. Cosenza aiuta i genitori della ragazzina e li assiste nella sua crescita: “Dopo i primi colloqui con psicologhe e assistenti ho incontrato la bambina e la sua famiglia. È stata magia, un colpo di fulmine reciproco”.
Dopo nove mesi di rinnovo dei vecchi uffici di proprietà della stessa Asp, “adesso è un luogo positivo che unisce le relazioni e diventa un ritrovo funzionale e amministrativo”, ha detto l’amministratore unico Gianluca Borghi inaugurando l’edificio. Per il garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza Luigi Fadiga questa è la risposta alla “polverizzazione degli interventi e dei servizi”.
“Gli assistenti sociali stanno superando le difficoltà con determinazione”, ha detto il sindaco Virginio Merola, facendo riferimento al blocco delle assunzioni per le amministrazioni pubbliche. Per Fadiga, il contesto regionale rimane ancora un’eccellenza nel panorama italiano, ma “è vero anche che si può fare molto di più e che le istituzioni centrali e il governo dovrebbero ricordare che i minori hanno la priorità”.


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:


LEGACOOPSOCIALI RISPONDE AL PREFETTO GABRIELLI: "BASTA ATTACCHI INDISCRIMINATI"


"È un sistema criminogeno". Così aveva dichiarato ieri il prefetto Franco Gabrielli il 5% degli appalti alle cooperative sociali che fanno inserimento lavorativo. È un affondo senza precedenti a una materia disciplinata da una legge dello Stato.
Oggi è arrivata la risposta di Legacoopsociali che si rivolge allo stesso prefetto: "Il Prefetto Gabrielli ha comunicato all'opinione pubblica, ai cittadini di questo paese, che il più efficace strumento in Europa per promuovere l'inclusione socio-lavorativa delle persone in difficoltà è criminogeno. La legge 381/91 è criminogena. La cooperazione sociale di inserimento lavorativo, che dà occupazione ai lavoratori disabili e svantaggiati in misura 25 volte superiore alle altre imprese ed alla stessa Pubblica Amministrazione è criminogena".
Secondo Legacoopsociali "migliaia di cooperative sociali, di soci, di lavoratori sono criminogeni". "Questo attacco generalizzato e sconsiderato, talora prossimo alla diffamazione – continua la nota - non è più comprensibile né accettabile. Non ci interessano "riserve di caccia", perché non siamo cacciatori. Chiediamo da sempre regole di trasparenza del mercato, chiediamo che le amministrazioni le applichino correttamente, chiediamo che chi è deputato a vigilare lo faccia fino in fondo, perché questo aiuta anche noi a vigilare che le regole che ci siamo dati a tutela della legalità e della correttezza siano con coerenza osservate".
Infine: "Quando sono cooperatori e cooperative sociali a comportarsi in modo illegale ci costituiamo contro di loro come parte civile in giudizio, come a Roma per Mafia Capitale. Le cooperative ed i cooperatori sociali, il loro lavoro quotidiano, meritano rispetto. Additarli non come risorsa, quali sono, ma come il problema, in un paese che ha i livelli di corruzione e di malaffare dell'Italia, vuol dire ingenerare una confusione che non fa bene a nessuno, e fa certamente molto male alle persone più fragili ed esposte al rischio di esclusione", conclude il comunicato dell'associazione nazionale delle coop sociali di Legacoop.
Redazione 

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal Corriere di Bologna:


BEFFA EDUCATORI, ASSUNTI MA SOTTO-INQUADRATI

La protesta della F- Cgil contro le coop quadrifoglio e pianeta azzurro.


Assunti e beffati. Le stabilizzazioni annunciate (da 35 a un minimo di 48) dalle coop che hanno in appalto dal Comune i servizi educativi scolastici, cioè Quadrifoglio e Pianeta azzurro, in soli quattro giorni si trasformano in problema. La F- Cgil che aveva salutato favorevolmente la conquista delle assunzioni per gli operatori, ha scoperto infatti che Quadrifoglio e Pianeta Azzurro "non stanno riconoscendo l'inquadramento contrattuale corretto ad una parte del personale neo assunto". Nello specifico, hanno assunto con il livello D1 del contratto coop sociali chi aveva titoli specifici come i corsi di laurea in Scienze dell'educazione e della formazione, e Medicina. Ma "la prassi sul nostro territorio e soprattutto il contratto nazionale delle cooperative sociali indicano con chiarezza che queste lavoratrici e lavoratori debbono essere inquadrati al livello superiore D2, che prevede una retribuzione giustamente maggiore, per un lavoratore a tempo pieno la differenza è di circa 80 euro", protesta in una nota la Fp-Cgil.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:




Con 440 euro di retta mensile, la Valle d'Aosta è la Regione italiana dove l'iscrizione di un bimbo all'asilo nido comunale è più costosa. La Calabria, con 164, è la meno cara, ma ha conosciuto un incremento sulle rette del 18%.
In media, gli italiani spendono ogni mese oltre trecento euro per usufruire del servizio pubblico degli asili nido: un costo che incide del 12% della spesa delle famiglia, anche se i prezzi variano notevolmente da provincia a provincia.
In base all'ultima indagine condotta dall'Osservatorio nazionale prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, nell'ultimo anno solo quattordici province hanno aumentato le rette: l'incremento record a Cosenza (+117,3%), quello minimo a Trieste (+0,5%). Lecco è la provincia più cara con i suoi 515 euro mensili, mentre Catanzaro la meno cara (100 euro).
"Chiediamo di rilanciare nel dibattito pubblico italiano l'adeguamento alle esigenze, anche economiche, delle famiglie italiane del servizio educativo per la prima infanzia", ha dichiarato Tina Napoli, responsabile delle politiche per i consumatori di Cittadinanzattiva, "alla luce anche di quanto raccomandato dalla Commissione Europea nel 2013 con il documento Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale, con cui raccomandava agli Stati membri di adottare politiche dedite anche a promuovere l'accesso a servizi di qualità a un costo sostenibile.
"È necessario", ha continuato Napoli, "prevedere una maggiore flessibilità per i servizi, una revisione degli orari, un'offerta integrata con le molteplici ma disomogenee esperienze di welfare aziendale e di soluzioni alternative. Ripensare il modello di servizio è urgente per permettere di frequentare l'asilo ad un maggior numero di bambini e a costi sostenibili."
Fra liste di attesa e mancata copertura del servizio, infatti, sono ancora tanti i bambini che non frequentano l'asilo nido. Secondo gli ultimi dati Istat, usufruisce del servizio di asilo nido comunale poco meno del 12% dei bimbi fra 0 e 2 anni; il dato, però, varia però dal 24,8% dell'Emilia Romagna al 2% della Campania. Inoltre, uno su cinque resta in attesa di un posto nel nido comunale, con punte del 67% in Basilicata e del 51% in Valle D'Aosta.
Disparità notevoli ci sono anche sulle ore di frequenza: l'87% dei capoluoghi garantisce il servizio a tempo pieno, mentre città come Potenza, Matera, Bari, Brindisi, Lecce, Cagliari, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa, Crotone garantiscono solo l'orario ridotto di sei ore.
Per quanto riguarda i prezzi delle rette, si registra che le città più costose sono tutte situate al Nord: Lecco, Sondrio, Belluno, Cuneo, Alessandria, Imperia, Cremona, Trento, Aosta e Mantova.
La Regione che spicca per il più elevato numero di nidi pubblici è l'Emilia Romagna (619 strutture e 28.388 posti disponibili) seguita dalla Lombardia che conta anche il maggior numero di asili e posti privati. Complessivamente, in Italia il 42% dei nidi sono pubblici e il 58% privati.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------



Riprendiamo dal sito contropiano.org:


Bari. Lettera di una lavoratrice: noi operatrici sociali senza stipendio da un anno


Pubblichiamo volentieri la lettera di una lavoratrice di una cooperativa di Bari. La sua storia è simile a quella di tanti altri lavoratori che abbiamo conosciuto in questi anni: il Comune che paga a rilento, la cooperativa che sfrutta i tempi della burocrazia per ritardare ancora di più la corresponsione degli stipendi e che poi fa sparire pure il rimborso IRPEF, infine la cooperativa che finisce in liquidazione lasciando i lavoratori senza gli stipendi arretrati dell'ultimo anno.
Questa situazione ci permette poi di mettere in luce un altro problema che spesso colpisce i dipendenti delle cooperative: l'isolamento. Spesso questi lavoratori si trovano soli ed hanno difficoltà a far fronte comune con altri lavoratori che magari versano nelle loro stesse condizioni, sia per le specifiche condizioni di lavoro - "la tipologia del lavoro che svolgiamo (l'assistente domiciliare lavora spesso da sola nelle case degli utenti) e la mancanza di riunioni tra colleghi/e comporta che sia davvero difficile avere contatti con gli altri lavoratori" - , sia per la paura ad esporsi che colpisce chi lavora sotto il particolare regime delle cooperative.
Sono in sciopero. Sciopero sociale. Non pagherò né ticket sanitari, né tasse comunali o regionali, ad oltranza. Lo faccio perché sono una operatrice sociale che non recepisce lo stipendio da un anno.  Lo faccio perché voglio sapere che fine hanno fatto questi soldi e li voglio, questi soldi.
Voglio sapere come è possibile che una lavoratrice non abbia alcun diritto né strumento per denunciare penalmente mesi di lavoro non retribuito e sfruttamento.
Ho lavorato per una cooperativa che ora è in liquidazione coatta. Io e altre colleghe non percepiamo stipendi da un anno nonostante vari solleciti indirizzati ai nostri datori di lavoro. Alle cooperative vengono corrisposti i soldi dei nostri stipendi dall'assessorato al welfare.  Ma per tutto l’anno la cooperativa ci ha detto che non poteva pagarci perché il Comune non corrispondeva i soldi per i lavoratori.
Dopo i primi mesi a contratto a prestazione occasionale e i primi ritardi nella corresponsione degli stipendi ho cominciato a “pretendere” un contratto indeterminato e che mi si pagasse per il lavoro svolto. Prima a voce poi con lettere. Il tutto sempre individualmente perché la tipologia del lavoro che svolgiamo (l'assistente domiciliare lavora spesso da sola nelle case degli utenti) e la mancanza di riunioni tra colleghi/e comporta che sia davvero difficile avere contatti con gli altri lavoratori che probabilmente, per diversi motivi, preferiscono non esporsi. Ma in qualche  modo fare la voce grossa, anche da sola, ha funzionato: mi hanno fatto un contratto indeterminato e hanno cominciato a pagare i mesi arretrati, uno per volta. La notizia della liquidazione coatta è arrivata proprio mentre la cooperativa ha ricominciato a pagarci.
Dopo la chiusura della cooperativa sono andata personalmente all'assessorato al welfare, dove ho scoperto che per un anno, mentre noi non percepivamo lo stipendio, il Comune di Bari invece pagava regolarmente la cooperativa, seppur a 60 giorni, per le sue competenze e servizi.
La mia ultima busta paga è datata agosto 2014, ma né la cooperativa né il Comune sanno dirci che fine hanno fatto gli stipendi di più di 60 lavoratori. E non solo gli stipendi, ma persino il rimborso IRPEF,  il sussidio per chi ha un reddito vicino alla soglia di povertà. Il mio ex-datore di lavoro ha nelle sue mani persino questo sussidio.
L’unica cosa certa era che almeno gli ultimi tre stipendi non corrisposti e il TFR, dovevano venirmi accreditati dall’Inps, di regolamento, dato che la cooperativa ha subito la liquidazione coatta. Tuttavia fino ad oggi né io né i miei colleghi abbiamo percepito alcunchè. L’unica motivazione che mi è stata data è che è dovuto a problemi di “lentezza burocratica”.
Altro dispositivo di soccorso sociale facilmente eluso.
Ora lavoriamo per un'altra cooperativa che ci ha riassorbito tutte, naturalmente, dopo tre mesi dalla nostra assunzione, dei nostri nuovi stipendi nemmeno l’ombra! Questa volta è perché è prassi che il Comune invece di pagare a 60 giorni, paghi le cooperative a distanza di tre, quattro mesi. Su questi ritardi nei pagamenti molte cooperative ci marciano, come avrete capito, triplicando spesso le tempistiche del comune.
Sommando il tutto il risultato è che da un anno lavoriamo senza percepire stipendio.
E questo è un fatto diffuso tra i lavoratori delle cooperative di diverse tipologie, fatto di cui sono parimenti responsabili sia quelle cooperative colpevoli di malagestione, che il Comune, responsabile di avere dei tempi burocratici che non tengono conto della vita delle persone e di promuovere spesso bandi al ribasso (cioè : i bandi li vincono le cooperative che offrono servizi al minor costo). Questo comporta che gli  operatori percepiscono stipendi da fame nonostante svolgano un lavoro di grande responsabilità e diluiti in tempi biblici. Tutto questo va a discapito anche delle persone disabili, che usufruiscono del servizio, e delle loro famiglie: per quanto una possa essere professionale, ma ve lo immaginate con quale stato d'animo si va a lavorare se non percepisci lo stipendio da un anno?
Quindi, poichè non ho i soldi per garantirmi neanche la visite mediche (ma neanche il pranzo) di cui ho bisogno, per motivi molto spesso legati al tipo di lavoro che faccio,
ho deciso di:
- dichiararmi esente dal pagamento del ticket. Anche se l’esenzione ticket è garantita solo ai disoccupati, io lo sono di fatto. Purtroppo la categoria del lavoratore sfruttato e non pagato non è contemplata nella lista di chi ha diritto all'esenzione.
- di non pagare titoli di viaggio.
- dichiararmi esente da ogni altra tassa comunale e regionale, perchè lo stipendio che non ricevo da un anno in fondo proviene da un pagamento comunale, quindi considero il mio non pagare le tasse un risarcimento minimo.
Invito le colleghe/i, lavoratrici e lavoratori, disoccupati/e tutti/e coloro che versano in condizioni simili alla mia ad unirsi a questa battaglia.
da http://clashcityworkers.org/
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal siti nelpaese.it:




Agci, Confcooperative e Legacoop a sottoscrivono con Cgil, Cisl e Uil l'accordo interconfederale sulla rappresentanza. Un passo importante anche per potenziare ulteriormente la contrattazione di secondo livello, contrastare le false cooperative e il dumping contrattuale



Semplificare la rappresentanza dando voce e credito alle organizzazioni legittimate dal consenso e dalla fiducia in esse riposte da imprese e lavoratori. È l'obiettivo che ha portato Agci, Confcooperative e Legacoop a sottoscrivere con Cgil, Cisl e Uil l'accordo interconfederale sulla rappresentanza. Un passo importante anche per potenziare ulteriormente la contrattazione di secondo livello, contrastare le false cooperative e il dumping contrattuale e arrivare a quella legge sulla rappresentanza che il Governo ha proposto alle parti sociali come una delle priorità per i prossimi mesi.
Il documento contiene norme per la misurazione, la certificazione e la regolamentazione della rappresentanza nelle aziende. Al negoziato per il CCNL potranno così partecipare le organizzazioni sindacali che abbiano ottenuto una rappresentatività non inferiore al 5%. In assenza di piattaforme unitarie il negoziato si avvierà sulla base della piattaforma presentata dalle sigle sindacali che vantano una rappresentatività complessiva pari almeno al 50% + 1.
I Ccnl sottoscritti da organizzazioni sindacali con questa percentuale di rappresentatività, dopo una consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza semplice, saranno efficaci ed esigibili per tutti i lavoratori e le organizzazioni. Si tratta di un'innovazione di grande portata per il sistema contrattuale italiano, che dà certezza applicativa agli accordi contrattuali.
L'intesa stabilisce alcuni principi per la contrattazione di secondo livello, sia aziendale sia territoriale, definendo le modalità in base a cui potrà derogare o modificare norme del Ccnl. Nella fase transitoria questo potrà avvenire, infatti, sia per aderire alle esigenze di specifici contesti produttivi sia per gestire crisi aziendali o investimenti, limitatamente però alle parti dei Ccnl che disciplinano aspetti organizzativi (prestazioni lavorative, orari, organizzazione del lavoro) e a condizione che gli accordi siano sottoscritti con le rappresentanze sindacali presenti in azienda e d'intesa con le organizzazioni sindacali territoriali.
In particolare, per la contrattazione territoriale, i contratti approvati da associazioni sindacali che sul territorio vantino una rappresentatività pari al 50% + 1 saranno efficaci per tutto il personale e vincolanti per tutte le organizzazioni sindacali espressione delle confederazioni firmatarie. Questi accordi, per avere effettivi, dovranno però essere approvati a maggioranza semplice da una consultazione certificata tra i lavoratori. I contratti aziendali saranno efficaci, invece, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle Rsu o dalle Rsa che raccolgano la maggioranza delle deleghe sindacali a condizione che nessuna delle organizzazioni sindacali firmatarie dell'accordo e/o da almeno il 30% dei lavoratori non venga chiesto entro 10 giorni dalla stipula del contratto di svolgere un referendum.
L'accordo contiene procedure e regole condivise per eventuali successive adesioni da parte di altri soggetti sia sindacali sia datoriali. Tra le compatibilità richieste la rinuncia a contratti collettivi con costi inferiori a quelli sottoscritti dalle parti firmatarie dell'intesa. Si rafforza anche così un'azione congiunta tra le tre centrali cooperative – oggi riunite nell'Alleanza delle Cooperative Italiane – e i tre sindacati confederali contro il dumping contrattuale e la cooperazione spuria.
Redazione
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito globalproject.info:

Ancona - "No ai tagli al fondo sociale" Presidio in Regione

Martedì 21 luglio mobilitazione al Consiglio Regionale per il ripristino immediato del Fondo Sociale



Ritroviamoci in Regione per il ripristino immediato del Fondo Sociale 
34 - 33 =1 
La sottrazione non è mai un'equazione!

Con questa operazione, in milioni di euro, la Regione Marche ha tagliato il finanziamento al Fondo Sociale per il 2015.
Questa è la manovra di bilancio, manovra capestro, deliberata dalla scorsa legislatura dell'Ente Regionale guidata dal Governatore Spacca. Il Governatore Ceriscioli eletto alle ultime elezioni regionali, nel corso della campagna elettorale ha promesso ai Comuni marchigiani che si trovano impossibilitati a garantire i servizi sociali essenziali ai propri cittadini, il ripristino almeno parziale del Fondo chiedendo di fidarsi degli impegni presi (...): ad oggi, però, non c'è ancora un minimo di piano economico concreto che possa garantire un euro. 
Intanto, tra promesse ed aspettative, siamo arrivati a Luglio: a Settembre nessuno sa come gestire la riapertura degli asili nido, il sostegno alle famiglie per l'assistenza agli anziani non autosufficienti o come garantire la presenza degli educatori per il sostegno scolastico degli alunni diversamente abili. 
Il Fondo sociale infatti, finanzia anziani e non autosufficienti, disabilità e salute mentale, infanzia ed adolescenza, invalidità civile, sostegno alle famiglie e alle nuove povertà, dipendenze patologiche, detenuti ed ex detenuti, immigrazione e inclusione sociale, disagio giovanile, sostegno al reddito e diritto all'abitare, strutture sociali e terzo settore: con l'azzeramento di questa voce del capitolo di bilancio, si cancella un pezzo importantissimo del welfare regionale.
I Comuni marchigiani, schiacciati dal Patto di Stabilità e dalle manovre di finanza pubblica, dovranno far fronte ai bisogni sociali della popolazione che sotto il peso delle politiche di Austerity stanno crescendo con velocità, usufruendo dei soli fondi in arrivo dallo Stato.
Ma proprio sul fronte delle politiche socio-sanitarie e socio-assistenziali le conseguenze della progressiva demolizione del welfare italiano hanno dato i frutti più marcati.
Un dato eclatante è quello legato all’andamento del Fondo per le politiche sociali, istituito nel 1997 per garantire risorse aggiuntive agli Enti locali e consentire la strutturazione di servizi a supporto di anziani, disabili, infanzia, famiglie in difficoltà, che testimonia il progressivo ed importante ridimensionamento dell’impegno pubblico nel finanziamento di queste politiche, nonostante il parziale recupero degli ultimi due anni. 
"Le risorse assegnate al Fondo sono passate da 1,6 miliardi di euro nel 2007 a 435,3 milioni nel 2010, per poi scendere a soli 43,7 milioni nel 2012 e infine recuperare in parte negli ultimi due anni fino ai 297,4 milioni del 2014 - sottolinea il Censis -. La riduzione e' stata dell'81% nel periodo 2007-2014, gli anni della crisi. Anche il Fondo per la non autosufficienza e' passato dai 400 milioni di euro del 2010 al totale annullamento nel 2012, per poi risalire a 350 milioni nell'ultimo anno" (ITALPRESS).
Se il Fondo Sociale Regionale non verrà ripristinato, quindi, le conseguenze saranno veramente drammatiche.
Manovre finanziarie e piani di assestamento di bilancio criminali stanno letteralmente strangolando il mondo del sociale.
I Tagli, che colpiscono il livello territoriale, sono risorse sottratte agli enti locali e di conseguenza a tutte quelle realtà del pubblico e del privato sociale che con essi collaborano.
Le Cooperative Sociali e i lavoratori impiegati nell'assistenza rappresentano l'altro aspetto delle drammatiche prospettive in cui ci proietta la perdita di progetti e servizi per le fasce deboli: tante le realtà che saranno costrette a chiudere, gli interventi soppressi, gli operatori che perderanno il proprio posto di lavoro.
L'ADL, Associazione Diritti dei Lavoratori, sta dando l'allarme sul fronte occupazionale che in questo settore è già caratterizzato da precarietà e da difficili condizioni di lavoro. 
Le numerose associazioni dei familiari degli utenti che hanno dato vita alla Campagna " Trasparenza e diritti" hanno già manifestato l'urgenza della propria condizione e invitato tutti a solidarizzare e a far sentire la propria voce.
Radio Senza Muri (una radio web comunitaria nata da un progetto che ha voluto creare un punto di incontro per persone che sono normalmente definite "aventi un disagio sociale" e persone che si usa definire "normali", trasmettere insieme), ha sottolineato da tempo un importante ulteriore rischiodi ricaduta che il taglio economico potrà determinare: quello di "sanitarizzare" sempre più l'assistenza, spostarla verso le situazioni più gravi e ridurne i contenuti più propriamente "sociali", di accompagnamento, promozionali, ambientali. Di rinunciare insomma a tutto ciò che è prevenzione e contributo alla giustizia sociale, per intervenire solo sull' "emergenza". Con costi - economici e umani - ben più alti.
Una comunità misura il suo grado di civiltà a partire dal livello di solidarietà e rispetto dei diritti che riesce a praticare, da come riesce a prendersi cura di chi ha più bisogno, dei soggetti più fragili.
Se vogliamo scongiurare di ritrovarci a breve nella barbarie è necessario che i soggetti sociali si uniscano in un'azione comune a difesa dei più deboli.
Tutti insieme, il 21 LUGLIO, ore 10.30, al palazzo della Regione Marche dove si riunirà il Consiglio Regionale, ci mobiliteremo perchè il fondo Sociale Regionale deve essere da subito ripristinato!
Centri Sociali Marche
ADL (Associazione Diritti Lavoratori)
Radio Senza Muri
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito repubblica.it:


MIGRANTI, ESPLODE LA VIOLENZA FASCISTA. E IL SISTEMA ACCOGLIENZA NON FUNZIONA


Scontri, violenze e odio razziale da Treviso a Roma contro migranti e rifugiati. In entrambi i casi c'è la presenza neofascista di Forza Nuova e Casa Pound con il benestare della Lega Nord di Matteo Salvini. E ad essere arrestati sono invece gli attivisti che proprio a Treviso hanno protestato contro questa violenza. Sullo sfondo un sistema di accoglienza inefficiente e ciclico nel fomentare la pancia razzista del Paese che, secondo i numeri, non dovrebbe vivere alcuna emergenza immigrazione.
"E' vergognoso quello che sta accadendo in queste ore a Roma e Treviso. E' chiaro che c'è una volontà politica, da parte di alcuni gruppi, di sfruttare le tensioni presenti nella società italiana, ma questa strumentalizzazione è intollerabile". Lo sottolinea Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr, in merito alle proteste anti immigrati esplose nelle due città italiane. Ieri a Quinto, in provincia di Treviso, dopo il trasferimento di circa 100 profughi, la palazzina in cui erano appena stati accolti è stata presa d'assalto. A guidare la spedizione alcuni residenti della zona e militanti di Forza nuova e Lega Nord. Scene simili si sono viste anche questa mattina a Casale San Nicola, a nord di Roma, dove un gruppo di abitanti e militanti di Casa pound ha manifestato contro l'arrivo, previsto per oggi, di un centinaio di profughi. Il sit in è ancora in corso e ci sono state anche cariche da parte della polizia.
"Queste manifestazioni di intolleranza vanno valutate per quello che sono: servono solo da un punto di vista politico e si basano sulla disinformazione – continua Sami – cioè sul far credere che chi scappa da una guerra o da una situazione di persecuzione venga accolto con maggiori privilegi rispetto a quelli che hanno gli italiani. Si fa pensare alla gente che la presenza dei rifugiati possa togliere qualcosa, mentre bisognerebbe spiegare chequeste persone non solo non hanno nessun privilegio ma hanno situazioni terribili alle spalle. Inoltre, alcune volte possono anche rappresentare un'opportunità per noi: pensiamo solo ai tanti cittadini italiani impiegati nei centri di accoglienza". La portavoce dell'Unhcr ricorda inoltre che i rifugiati e i richiedenti asilo hanno "diritto di essere accolti". "La maggior parte di chi è soccorso dall'Italia se ne va – aggiunge – sono tanti i transitanti, queste paure non hanno ragione di esistere".
Sdegno per le proteste a Roma anche da parte dell'assessore capitolino alle Politiche sociali Francesca Danese, che esprime innanzitutto solidarietà ai rifugiati "assediati nel loro difficile cammino verso una vita migliore". "Le immagini che arrivano da Casale San Nicola non rappresentano Roma, la nostra città è un'altra e si sta preparando a un modello di accoglienza diverso – spiega Danese – . Purtroppo, però, ci sono gruppi che strumentalizzano la situazione e intossicano la grande solidarietà che esiste nella Capitale. Non dobbiamo dimenticare – aggiunge – che i profughi sono persone che scappano da guerre e da situazioni di vita pesanti, sono quindi persone vulnerabili e non persone pericolose come si vorrebbe far passare. Si portano dietro un dolore inenarrabile, non a caso hanno bisogno di un'accoglienza e di un'assistenza a 360 gradi".
L'assessora si dice inoltre vicina alle persone che abitano a Casale San Nicola, al presidente del municipio e al poliziotto ferito durante i tafferugli di questa mattina, tra i manifestanti e le forze dell'ordine. Intanto da poco i richiedenti asilo sono entrati nella struttura di Casale San Nicola. "Dopo le difficoltà riscontrate questa mattina, le forze dell'ordine sono riuscite a far entrare i cittadini stranieri all'interno della struttura a loro riservata. Al momento, quattro agenti di polizia risultano feriti a seguito dei tafferugli", fa sapere la Questura di Roma.
L'ASGI condanna con forza le violenze contro i richiedenti asilo avvenute sia a Treviso che a Roma, dove gruppi di dichiarata ispirazione neofascista hanno abilmente strumentalizzato le paure e il disagio della popolazione residente: "Se nessuna violenza contro persone giunte nel nostro Paese in fuga da guerre e persecuzioni può essere mai tollerata, gli episodi accaduti a Roma e Treviso, pur nella loro diversità, vanno comunque tenuti in considerazione perché mettono in luce le gravi carenze del sistema di accoglienza vigente.
Occorre ricordare che la Costituzione italiana, le norme internazionali e dell'Unione europea impongono di garantire il diritto alla vita e il diritto all'incolumità personale di chiunque e il diritto di asilo nel territorio della Repubblica degli stranieri ai quali nel loro Paese non sono effettivamente garantite le libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana."
"Per costruire un effettivo sistema di accoglienza integrata – aggiunge l'Asgi - è necessario un maggiore coraggio riformatore. In tal senso va anche l'orientamento del Governo, contenuto nello schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva 2013/33/UE(accoglienza). Sostenere sistemi territoriali di accoglienza integrati attraverso la partecipazione degli enti locali è una strada positiva da sempre sostenuta da ASGI e ripresa nei giorni scorsi nel parere espresso su tale schema dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica".

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito repubblica.it:


Gli psichiatri dell'Ausl: "Poca sicurezza" nella struttura che ospita i pazienti dell'ospedale psichiatrico

La denuncia in una lettera firmata da 41 medici. Il direttore: "La residenza è sicura, ma non è un carcere e non lo sarà mai"

Una lettera firmata da 41 psichiatri dell'Ausl per denunciare le insufficienti misure di sicurezza nella "Rems" della città, ovvero la “Casa degli svizzeri” in via Terracini a Bologna che ha aperto le porte a 14 ospiti dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio, considerati "i soggetti ad alta pericolosità" a cui devono garantire l'assistenza. Spedita attraverso un avvocato a Giancarlo Pizza, presidente dell'ordine dei medici (che a sua volta l'ha girata al prefetto), la lettera sottolinea, in primo luogo, "l'assoluta inopportunità" della struttura (una casa colonica su due piani), che "non consente un controllo del reparto". I medici denunciano anche l'inadeguatezza della dotazione di due operatori durante il turno di notte. Infine, segnalano che "il turno di reperibilità del personale medico, potendo essere temporalmente coincidente con la reperibilità in altre strutture, è potenzialmente foriero di un vuoto di tutela." In particolare, si legge, "in materia di sicurezza occorre, come condizione imprescindibile, che vengano emesse linee guida dettagliate sul comportamento degli operatori in caso di emergenza".

La Rems di Bologna, aperta il 27 marzo come conseguenza dell'obbligo di chiusura degli Opg, oggi ospita 14 pazienti giudiziari (la quota massima) ed è una struttura provvisoria in attesa della realizzazione della Rems di Reggio Emilia. È diretta da Claudio Bartoletti, che respinge le accuse: "Quello della sicurezza è un problema affrontato: c'è
 un sistema di videosorveglianza, una guardia giurata presente 24 ore su 24, una recinzione. È una struttura naturalmente più sicura di un qualsiasi reparto psichiatrico, ma non è un carcere. Non lo è e non lo sarà: la legge prevede che le persone in Rems scontino la loro pena in maniera riabilitativa. Senza dimenticare che le residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sanitaria sono misure, come dice il nome, socio-sanitarie".
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:




Presentata in Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per contrastare le false cooperative. Quali sono gli obiettivi? La riflessione di Andrea Bernardoni su secondowelfare.it


Nelle scorse settimane l'Alleanza delle Cooperative Italiane ha depositato in Corte Suprema di Cassazione la proposta di legge di iniziativa popolare per contrastare le false cooperative. Dal momento del deposito in Cassazione i promotori hanno sei mesi di tempo per raccogliere almeno 50 mila firme che verranno poi consegnate al Parlamento. In questi giorni in tutto il territorio nazionale si susseguono pertanto momenti di sostegno all'iniziativa, con un significativo impegno di tutto il movimento cooperativo.
Con questa proposta di legge l'Alleanza delle Cooperative chiede al Parlamento di approvare una legislazione più severa ed incisiva per contrastare il fenomeno delle false cooperative, imprese che utilizzano strumentalmente la forma giuridica della cooperazione perseguendo finalità estranee a quelle mutualistiche. Situazioni diffuse in tutto il territorio nazionale nelle quali non c'è democrazia interna e spesso i lavoratori sono sfruttati e malpagati. Si crea così un oggettivo danno a tutte le imprese sane, a partire dalle imprese cooperative, che devono competere con concorrenti che non rispettano le leggi ed i contratti di lavoro e praticano, in modo sistematico, un vero e proprio dumping sociale, a volte con la complicità dei committenti, pubblici o privati, interessati a ridurre il costo dei servizi e delle prestazioni acquistate. In particolare, la proposta di proposta di legge popolare prevede: la cancellazione dall'Albo delle Cooperative e la conseguente perdita della qualifica di cooperativa, per le imprese che non siano state sottoposte alle revisioni/ispezioni;
definizione di un programma di revisioni, in via prioritaria, per quelle cooperative che non siano state sottoposte da lungo tempo alle revisioni o alle ispezioni, così come per le cooperative appartenenti ai settori più a rischio; tempestiva comunicazione dello scioglimento delle cooperative all'Agenzia delle Entrate per contrastare il fenomeno di cooperative che nascono e cessano l'attività nel giro di pochi mesi accumulando debiti nei confronti dell'Erario; creazione di una cabina di regia al Mise che coordini i soggetti chiamati a vigilare sulle cooperative evitando sovrapposizioni e duplicazioni di adempimenti attraverso intese che consentano di coordinare revisori provenienti anche da altre Amministrazioni.
Il contrasto alle false cooperative è collegato in modo più ampio a percorsi di emersione del lavoro nero e si lega indissolubilmente alle politiche di regolazione messe in campo dagli attori pubblici al fine di garantire il rispetto delle leggi e dei contratti di lavoro.
Nel settore del welfare, inoltre, quello del "lavoro" è uno dei temi centrali. A fronte dei crescenti bisogni sociali legati, in primo luogo, al progressivo invecchiamento della popolazione, in presenza di importanti programmi pubblici incentrati sui trasferimenti monetari gestiti direttamente dall'Inps e vista la contrazione delle risorse pubbliche destinate a finanziare i servizi del "welfare sociale" si è sviluppato in Italia un importante mercato delle assistenti familiari (Catanzaro e Colombo 2009), che in alcuni casi è legato all'informalità ed alimenta un vero e proprio "mercato nero" del lavoro.
Contemporaneamente è cresciuta la pressione sul versante dei costi da parte degli attori pubblici nei confronti dei fornitori privati di servizi sociali e socio-sanitari, in primo luogo le cooperative sociali, ai quali è stato chiesto un continuo efficientamento che è stato ottenuto puntando sulle economie di scala e comprimendo il costo del lavoro che rappresenta per molte organizzazioni anche il 90% dei costi totali (Bernardoni e Picciotti 2013). A titolo di esempio, frequentemente nei casi di cambio appalto l'impresa subentrante, che spesso ha vinto la gara effettuando un importante ribasso sulla base d'asta, scarica sui lavoratori neo assunti e sui beneficiari finali del servizio, il costo del ribasso effettuato.
In questo contesto sono utili interventi di policy capaci di orientare la domanda privata delle famiglie e la domanda pubblica di servizi sociali e socio-sanitari in modo da rafforzare il mercato privato dei servizi di welfare, regolare in modo innovativo quello pubblico ed innalzare il livello di tutele e diritti dei lavoratori del sociale. A tal fine si ritiene utile: superare il divieto per gli assistenti domestici ad esercitare il proprio lavoro in forma cooperativa, in modo da sostenere percorsi di professionalizzazione e di auto imprenditorialità capaci di generare benefici per l'intera comunità;
vincolare parte dei trasferimenti monetari erogati alle famiglie dall'Inps all'acquisto di servizi di cura forniti da parte di fornitori accreditati, introducendo un incentivo implicito all'emersione del lavoro nero ed uno stimolo al rafforzamento del mercato privato dei servizi di welfare; superare lo strumento delle gare di appalto per la selezione dei fornitori dei servizi di welfare riconoscendo le specificità di questa tipologia di servizi e puntando su modelli di regolazione innovativi del mercato dei servizi di welfare che in alcune aree del paese già rappresentano una realtà; prevedere, nei casi in cui l'appalto deve essere mantenuto, il superamento del massimo ribasso, vietando in modo esplicito i ribassi sul costo del lavoro.
Andrea Bernardoni – presidenza nazionale e responsabile Legacoopsociali Umbria
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



A quasi tre mesi dalla decisione del governo di non concedere più proroghe per la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), sono almeno trecento le persone che vivono ancora all'interno di queste strutture (secondo i dati forniti dal Ministero della salute all'Adnkronos). 



Si tratta di cinque Opg sparsi sul territorio nazionale: Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. In base a quanto dichiarato dal sottosegretario alla salute Vito De Filippo, il governo starebbe valutando il commissariamento delle Regioni inadempienti.
La data del 31 marzo 2015 era stata individuata come termine ultimo per il trasferimento delle persone (circa settecento) internate negli Opg nelle Residenze per l'esecuzione di misure di sicurezza (Rems). Ad oggi, però, non tutte Regioni si sono adeguate alla legge 81 del 2014.
Il Veneto e il Piemonte, in particolare, sono quelle a maggior rischio di commissariamento. Ma secondo Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, "se c'è qualcuno da commissariare è il governo pasticcione", che avrebbe dovuto occuparsi del trasferimento "fin dal 2012, e che si è ben guardato dal farlo sino al marzo scorso, quando sono stati resi effettivamente disponibili i promessi finanziamenti nazionali per realizzare le necessarie strutture".
Per quanto riguarda il Piemonte, invece, la situazione rimane critica sia per i nuovi ingressi che per l'attivazione delle nuove Rems, che è prevista per il prossimo 1 settembre.
"Siamo sicuramente preoccupati da questi ritardi", ha detto il sottosegretario De Filippo all'Adnkronos. "Sin dall'inizio abbiamo detto che non si sarebbe trattato di un trasferimento simultaneo di pazienti perché per ogni singola persona è necessaria un'autorizzazione dell'autorità giudiziaria e una valutazione clinica e terapeutica".
E' una casistica diversa", ha precisato De Filippo, dato che in alcune Regioni "i Comuni dove era stato individuato il luogo per le Rems hanno fatto ricorso per diversi motivi ai tribunali amministrativi, i quali hanno accolto in alcuni casi il ricorso e disposto quindi le sospensive. In altri casi oggettivamente ci sono ritardi rispetto al piano che era stato comunicato dalle Regioni il 15 marzo 2015".
La campagna StopOpg, che lo scorso 17 giugno ha partecipato a un incontro con il sottosegretario De Filippo, ha lanciato un appello per "chiudere davvero gli Ospedali psichiatrici" e "chiedere più servizi e non Rems". La legge 81/2014, come ricorda il comitato, prevede infatti la costruzione di una soluzione alternativa: la presentazione alle Regioni, tramite le Asl, di progetti individuali di cura e riabilitazione da adottare in sostituzione delle Rems, su cui si pronuncia la magistratura.
I ritardi e le incongruenze nella chiusura degli Opg e nell'attuazione della legge 81/2014 sono certamente dovuti a inadempienze di alcune Regioni, che abbiamo chiesto siano commissariate", ha detto il comitato StopOpg. "Ma richiamiamo il ruolo, e la necessaria collaborazione, della magistratura, nel dare attuazione alla nuova legislazione".

Giovanna Carnevale

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito piazzagrande.it:


MAFIA CAPITALE, I MIGRANTI LE PRIME VITTIME


L’ennesimo scandalo di corruzione e rapina, messo in scena dalle cinematografiche intercettazioni dell’operazione Mafia Capitale, mostra come i fondi destinati all’accoglienza dignitosa di chi fugge da guerra e persecuzioni, vengano invece deviate verso le tasche di politici e gestori corrotti.
I migranti sono le prime vittime di questo business. Quante volte, dalla partenza dalla loro terra, nelle tappe del loro percorso migratorio incerto e pericoloso, vengono munti? Anche gli operatori sociali che lavorano con onestà in progetti di accoglienza sani, vengono attaccati. Perché le gare d’appalto sulla gestione dei progetti di accoglienza vinte a colpi di mazzette e ricatti impongono un modello dove l’affare sulla pelle degli ultimi prende il posto della ricerca di buone pratiche e di modelli virtuosi e sostenibili di accoglienza, gettando discredito su tutto il mondo della cooperazione e creando un cono d’ombra dove prosperano gli sciacalli come Salvini.
Questo sistema criminale si regge su procedure che lo permettono. Vi è un flusso di denaro continuo ed ininterrotto gestito con logiche di emergenza permanente che produce situazioni di stress che impongono de facto la logica della deroga. Deroga ai controlli sui bandi, deroga ai controlli sulle pratiche, deroga ai controlli sulla gestione dei fondi.
E’ sicuramente vero che gli sbarchi sulle coste meridionali siciliane e calabresi si impennano in primavera ed estate dando vita ad un flusso migratorio ogni anno maggiore a causa delle situazioni di povertà e conflitti incancreniti in diverse aree del Medio Oriente e dell’Africa, ma questo si sa, e con certezza, mesi o anni prima. Non è un terremoto inaspettato. E’ facile indicare che, se continuerà la guerra in Medio Oriente, se i giovani Eritrei continueranno a fuggire da un dittatore che impone una leva potenzialmente infinita, se nel nord della Nigeria continueranno gli attentati jihadisti, se in Africa si continuerà a morire di fame e malattia, la prossima primavera gli sbarchi aumenteranno ancora. A meno che qualcuno non pensi che la soluzione sia davvero bombardare i barconi negando il motivo che spinge le persone alla fuga.
Non può essere considerato emergenza una dinamica conosciuta e dagli sviluppi prevedibili. A meno che dietro l’emergenza non si ci voglia nascondere. Basta osservare il modello di accoglienza tedesco, per fare un esempio, che accoglie molti più richiedenti asilo dell’Italia, e che non funziona su una logica di emergenza. Si prevede per tempo l’affluenza, si predispongono gli strumenti e le procedure per la gestirla.
Detto per inciso, la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia (più della metà degli sbarcati) fuggono immediatamente (solo 66 mila su 170 mila sbarcati si sono fermati in Italia) proprio verso la Germania.
L’Italia è lo Stato che ha ricevuto maggiori finanziamenti dall’Unione Europea per far fronte alle politiche di accoglienza, anche come contropartita all’egoismo degli Stati europei che hanno finora imposto, attraverso i diversi regolamenti di Dublino, che i migranti debbano richiedere asilo nel Paese di primo arrivo e lì rimanere. I soldi ci sono, ma vengono spesi male. Ogni euro che finisce nelle tasche dei Carminati, è un euro tolto alle politiche di integrazione.
E’ questa logica dell’emergenza come sistema che produce mega strutture disumanizzanti come appunto il CARA di Mineo, contestato da sempre dagli attivisti antirazzisti. Luoghi dove i migranti vengono ammassati e spogliati della loro dignità per essere trasformati, per l’ennesima volta nella loro vita migratoria, in business.
E’ questa logica che trasforma profondamente la natura della cooperazione sociale, perchè qui le cooperative diventano scatole cinesi flessibili, utili a creare le zone grige in cui prospera il malaffare e funzionali per sottopagare i propri lavoratori e dequalificarne i ruoli. La cooperazione sociale si trasforma nel proprio contrario.
Le buone pratiche di integrazione e di accoglienza esistono, sono tesoro frutto di un accumulo decennale di esperienze di cooperazione sociale. LoSprar (Sistema di Protezione per il Richiedente Asilo e il Rifugiato), per esempio, si basa su progetti di accoglienza diffusa e decentrata e con una relazione sostenibile nel rapporto tra operatori, richiedenti asilo e territorio e che impongono un controllo normale, quotidiano dei progetti, degli strumenti messi in campo e delle risorse utilizzate.
di Filippo Nuzzi
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Educatori e assistenti sociali in sciopero: “Uniti contro tagli e precarietà” 



È la spina dorsale del welfare cittadino a scendere in piazza. Educatori, assistenti sociali, insegnanti delle scuole d’infanzia. Ognuno ha un proprio motivo per dire basta. Centinaia di persone hanno presidiato questa mattina Palazzo d’Accursio, gridando il proprio disagio a fronte dei continui tagli al welfare. I manifestanti hanno cercato di consegnare una lettera di richieste al Sindaco, ma a loro è stato negato l’ingresso. Successiavente il corteo ha sfilato per via Indipendenza per confluire poi in via Irnerio, ed infine concludersi in via Filippo Re.
Le richieste dei manifestanti sono molteplici: gli assistenti sociali contestano il passaggio dell’omonimo servizio da gestione comunale ad Asp Unica (attualmente in passivo di oltre 500mila euro). Un trasferimento che i sindacati di base leggono come un’ anticamera di esternalizzazione.
Sul chi vive ci sono anche educatori ed educatrici dei nidi d’infanzia. Dall’anno prossimo infatti i 1500 operatori in capo all’Istituzione Scuola vedranno l’apertura di quest’ultima ai fondi privati e alle donazioni: “Questo inciderà, sarà ovviamente una forma di privatizzazione” spiega un’attivista di Usb “se entra ad esempio Legacoop con dei fondi vorrà pure pezzi di servizio indietro”. Il timore è quello della comparsa di logiche aziendali dentro un servizio alla persona delicato, come l’educazione dei minori.
Più in generale è l’intera categoria degli educatori ad avercela con la gestione appaltata da Palazzo d’Accursio. “Stipendi miseri, improvvisi vuoti di salario a dispetto dei contratti firmati” si legge in un comunicato a firma ‘Rete educatrici ed educatori Bologna’ e ‘Usb Bologna’ “la rinuncia alla programmazione e alla formazione degli educatori della scuola negli interventi educativi, sono alcune delle prassi a cui ci opponiamo”. Nel mirino ci sono i bandi a offerta economicamente più vantaggiosa. “Con tali bandi – prosegue il comunicato – le istituzioni si agevolano nel taglio della spesa sociale e del personale, favorendo le imprese in grado di garantirela migliore ottimizzazione economica”.
Un’educatrice di un centro giovanile che opera al Pilastro è lapidaria: “Stiamo facendo i salti mortali, l’anno scorso avevamo un fondo cassa per le attività, ma quest’anno dobbiamo animare dei ragazzini adolescenti, che altrimenti passerebbero la giornata nei parchetti a fare altro, con 30 euro al mese! 30 euro! E a ogni bando è sempre peggio”. Il corteo ha terminato il suo percorso nei giradini di via Filippo Re, sede dei dipartimenti di Scienze dell’Educazione, la cui frequenza dell’omonimo corso di laurea diverrà presto abilitante per chiunque vorrà esercitare la professione di educatore. L’abilitazione del titolo taglierebbe così fuori tutti quei lavoratori, circa 1500, che hanno alle spalle anni di lavoro nei servizi educativi, ma con lauree e titoli non riconosciuti. “Abbiamo scelto di terminare qui la nostra giornata” scandiscono dal megafono “perché le nuove leve sappiano quali sono i problemi che incontreranno una volta terminati i loro studi”.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito milanoinmovimento.com:

Operatori del Sociale verso il 6° incontro nazionale. 23-24 Maggio ad Ancona


Come preannunciato si svolgerà ad Ancona il 6° Incontro Nazionale degli Operatori Sociali presso la Casa delle Culture Ancona in via vallemiano, 46.
La “Rete Diritti Operatori/trici Sociali” di Ancona sta lavorando da mesi per l’organizzazione e a poche settimane dall’inizio dei lavori è già tutto pronto.
Leggendo il programma  si nota sin da subito una novità. La Rete Nazionale Op.Soc. ha predisposto un ampio spazio di tempo per incontrare e incontrarsi con i lavoratori del territorio anconetano e delle altre città che prenderanno parte all’assemblea per la prima volta . “Nei precedenti incontri ci siamo trovati ad avere poco tempo per i ragionamenti attorno alla piattaforma e al suo utilizzo, cosa che sentiamo ormai urgente e necessario. Questo succedeva perchè l’incontro nazionale veniva usato dalla realtà ospitante come possibilità di mettere in contatto i lavoratori del territorio con la rete nazionale cosa che, come ovvio, necessitava di molto tempo per l’ascolto delle diverse situazioni lavorative e di lotta ” racconta Cinzia degli EducatoriSenzaDiritti di Monza. ” Abbiamo pensato collettivamente di valorizzare questo momento perchè possa diventare una risorsa e un punto di forza della rete stessa invece che un impedimento. Sappiamo bene infatti quanto sia importante che i lavoratori abbiamo occasioni di incontro e di scambio di saperi. Nella giornata di sabato ci saranno due spazi per fare ciò. Uno alla mattina e l’altro alle 18 con la preziosa presentazione del libro “La Rivolta del Riso. Le frontiere del lavoro nelle imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici” grazie alla presenza dei colleghi della rete OperatoriSociali Milano che insieme a molti altri hanno curato la stesura del testo”.
Cuore dell’incontro saranno le discussioni sull’utilizzo della Piattaforma e sul senso o meno di portarla in Parlamento ma non da meno sono gli sforzi dei lavoratori per far convergere le loro lotte su due temi caldi quali il riconoscimento dei titoli e la questione del lavoro estivo.
Sul riconoscimento dei titoli di studio gli ‘Educatori uniti contro i tagli’ di Bologna si stanno battendo da mesi. “Quello che chiediamo è di riconoscere la nostra professionalità – spiega Salvatore – Faccio questo lavoro da 11 anni ho una laurea e un master di specializzazione eppure sono considerato un educatore senza titolo. È davvero assurdo”. Mancano 200 firme alla petizione alla quale gli educatori invitano a partecipare! in chiusura di articolo trovate il link.
Il secondo tema è riferito alla ” non garanzia di reddito per i mesi estivi, ovvero per quel periodo dell’anno in cui i servizi sono sospesi causa chiusura delle scuole. Un altra delle folli regole non scritte del lavoro educativo. D’estate non c’è l’utenza quindi noi non veniamo pagati!” commenta così Stefania di Monza.
Insomma tanta carne al fuoco. Staremo a vedere cosa ne verrà fuori.
Stay tuned!
Il link della petizione:
---------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito parmatoday.it:


Integrazione, ripristinato il bando. Gli educatori: 'Preziosa lezione di memoria sociale"


L'Assemblea Educatori Parma commenta la storica vittoria dei Comitati dopo mesi di lotta contro i tagli e l'Amministrazione Pizzarotti: "In questi lunghi mesi, ci sono stati quelli che hanno lavorato e lottato, quelli che hanno guardato, quelli che hanno assecondato il potere e quelli che l’hanno criticato"

"Il Consiglio Comunale di martedì pomeriggio -si legge in una nota dell'Assemblea Educatori Parma- ha approvato una mozione congiunta comprendente le richieste per le quali noi educatori del servizio d’integrazione scolastica , insieme in particolare alle famiglie dei nostri ragazzi, ci stiamo battendo da 6 mesi. Punto principale del documento è il ripristino del bando come strumento di pianificazione lavorativa che garantisca la continuità e stabilità  e che verrà emesso per un anno e che dovrà essere rinnovato l’anno successivo.
Dunque, quando vedremo pubblicato il bando, potremo dire che il Servizio è salvo: i nostri bambini saranno con noi e noi con loro. Abbiamo giocato questa lunga e faticosa partita con l’amministrazione che ha raggiunto un’importante meta: far comprendere ai consiglieri comunali quanto sia culturalmente e socialmente fondamentale garantire il rispetto e i diritti dei più deboli. Ora, al di là della gioia e del sollievo che in tanti proviamo, dobbiamo dire che comunque, oltre a tanti vincitori e protagonisti positivi di questa lotta ci sono anche dei vinti. Perchè un esame di realtà dobbiamo farlo, per coerenza, e perchè il risultato raggiunto rimanga autentica scelta e non mezzo per il consenso cittadino.
Non permettiamo dunque che si dica che abbia vinto altro se non l’umanità, la capacità d’incontro e dialogo, il senso di responsabilità di chi si è adoperato per il bene di tutti. Tra questi ultimi purtroppo non ci sono coloro che avrebbero dovuto incontrare, ascoltare e avvicinarsi per primi, a chi portava loro interrogativi, bisogni e diritti. In questi lunghi mesi, ci sono stati quelli che hanno lavorato e lottato, quelli che hanno guardato, quelli che hanno assecondato il potere e quelli che l’hanno criticato, quelli che hanno cavalcato l’onda e quelli che ci hanno creduto.
Certo è valsa la pena di lottare: sicuramente per i ragazzi che nei prossimi due anni andranno a scuola sapendo che qualcuno li aspetta e sicuramente per i loro genitori che saranno sereni sapendo che in quelle classi non saranno soli e parcheggiati. La lotta, la gigante ragnatela di relazioni intessuta quotidianamente e la condivisione (essenziale per ogni cambiamento) hanno fatto vincere la città intera e portato alla luce la sua parte più limpida e bella.
Ciò che è successo martedì, dovrebbe rimanere come una preziosa lezione di memoria sociale, scritta dall’unione di persone, idee, differenze che hanno capito quanto l’obbiettivo finale fosse essenziale da raggiungere, senza pelose mediazioni o senza accordi da azzeccagarbugli, senza finzioni o giochi al ribasso.I sorrisi, gli abbracci, le lacrime che hanno caratterizzato la giornata di martedì sono il metro di comprensione di questa vicenda, e dunque grazie di cuore a tutti coloro che hanno con la loro azione, sia essa piccola o grande, avvicinato la nave di un diritto al proprio porto.
Si è mostrata l’immensa forza e capacità che hanno le persone quando insieme pensano e partecipano. Abbiamo visto che i consiglieri comunali, che si confrontavano con noi educatori e con le mamme dei bambini disabili, hanno dimostrato, con le loro azioni, che sentivano come dovere il cercare una soluzione adeguata e giusta affinchè anche per solo un giorno la cosa pubblica ritornasse ad essere di tutti. Davvero di tutti.

Si è aperta una porta al dialogo e alla costruzione di pensieri che deve rimanere perta per riprendere la strada che porta alla difesa dei diritti di tutti. Da parte nostra continueremo a porre domande sul mondo della disabilità, della scuola e che sul tipo d’ integrazione che vogliamo, chiedendo il rispetto, oltre che la comprensione, per il nostro ruolo di educatori di cui il bando promesso deve essere la prima tappa. Continueremo le nostre iniziative di sensibilizzazione e a distribuire umanità perchè quello che abbiamo contribuito a costruire con questa sinergia e armonia di voci diventi la  prassi senza la quale non ci può essere un cambiamento
-----------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito radiocittadelcapo.it:

Trasporto bimbi disabili. Arriva lo sciopero contro i 34 licenziamenti


Bologna, 16 apr. – Nessun accordo tra Croce Azzurra e Cosepuri, rispettivamente la coop uscente che negli ultimi anni ha gestito il servizio di accompagnamento dei bimbi disabili per il Comune di Bologna, e il consorzio di padroncini vincitore della gara con cui Palazzo d’Accursio riassegnerà il servizio da settembre. Il risultato è che lo spettro dei licenziamenti si fa più vicino. Cosepuri l’ha detto fin dall’inizio delle trattative: nessuno dei 34 accompagnatori di Croce Azzurra sarà assunto a settembre, quando ci sarà il cambio di guardia. Per questo la Cgil ha deciso di indire lo stato di agitazione, il primo passo per arrivare allo sciopero.
“Non ci hanno lasciato altra strada – spiega il sindacalista Simone Raffaelli – I lavoratori sono amareggiati e hanno deciso di mobilitarsi. Questo è anche un problema politico, tutte le parti devono capire che le clausole sociali si rispettano, sempre”. La discussione, ovviamente, è tutta sulla clausola sociale, e cioè il vincolo che imporrebbe al vincitore del bando di riassorbire i lavoratori del vecchio gestore. Per Croce Azzurra (e per la Cgil) la clausola sociale c’è, ed è da applicare. Per Cosepuri no. Il Comune di Bologna per il momento non si è espresso. In mezzo a questo scontro “interpretativo” ci sono i lavoratori. “Non possiamo permettere – dice un comunicato Cgil – che si crei un precedente di questo genere, ovvero che una gara d’appalto si concluda con decine di esuberi, in un territorio in cui fino ad oggi le imprese avevano applicato patti consolidati, che rischiano di andare in frantumi”.
Intanto anche la politica inizia ad attivarsi per affrontare il problema. I consiglieri comunali Francesce Errani (Pd) e Mirco Pieralisi (indipendente eletto nelle liste di Sel) hanno richiesto un’udienza conoscitiva sulla questione alla commissione attività produttive del Comune di Bologna. “A seguito dell’aggiudicazione del servizio – scrivono i consiglieri – sono state espresse preoccupazioni da parte dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali in merito al mantenimento dell’attuale organico e delle attuali professionalità impiegate in un servizio particolarmente delicato. Chiediamo siano presenti in udienza, oltre alle rappresentanze sindacali, l’Assessore Lepore, la Vice Sindaco Giannini, l’Assessore Pillati e i tecnici dei settori, in quanto il tema tocca trasversalmente le materie della Commissione da Lei presieduta, le ricadute occupazionali e gli aspetti educativi e pedagocici”. Durante il question time di venerdì Errani presenterà anche una domanda alla giunta per chiedere  all’amministrazione quali provvedimenti “intende adottare per il capitolato d’appalto dove non compare la scritta clausola sociale a garanzia della tutela e della qualità del lavoro”.
“Il 26 marzo – commenta Errani – il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno che chiede di dare priorità negli appalti di Palazzo d’Accursio agli aspetti sociali, ambientali e di qualità del lavoro. Le parole del sindaco durante la grande manifestazione di Libera a Bologna hanno confermato la voglia di andare in questa direzione. Ora mi aspetto che la politica sia più forte della burocrazia. Dato che gli appalti pubblici sono lo strumento per governare la città, e dato che noi abbiamo deciso di puntare su una città più sostenibile e attenta alla tutela del lavoro, credo che gli uffici tecnici che scrivono i bandi debbano andare in questa direzione. Nel caso specifico del trasporto handicap bisogna sedersi attorno ad un tavolo e trovare una soluzione per garantire i lavoratori e la qualità di un servizio essenziale e pubblico”. G. Stinco
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito legacoopsocialisardegna.it:

Il profilo dell'educatore: un groviglio che si può sciogliere

Pubblichiamo un contributo della redazione sulla complicata questione del riconoscimento dell'educatore senza titolo, nello scenario riaperto dall'Accordo tra Stato, Regioni e Province autonome dell'11 febbraio 2011.


Nel corso del recente dibattito in Consiglio regionale sull’approvazione della legge del 14 luglio 2011 sul personale, la Giunta regionale della Sardegna ha depositato un emendamento sul profilo dell’educatore che - per quanto abbiamo capito -  se posto in discussione e approvato, avrebbe determinato un blocco nel lavoro di numerosi servizi sociali e la messa a rischio di centinaia di posti di lavoro. 
In sintesi, l'emendamento della Giunta (in allegato), fortunatamente non portato in votazione, prevede che gli educatori non provvisti dello specifico titolo possano lavorare solo fino al 31 dicembre 2015 e  “solo nella struttura socio-assistenziale o nel servizio territoriale  in cui si svolge l’attività lavorativa alla data dell’approvazione della presente norma.”
Vogliamo sperare che la mancata messa in votazione dell’emendamento sia il sintomo di un ripensamento, seppure tardivo e non, invece, di un differimento solo tattico, magari suggerito dalle asprezze del confronto instauratosi sul tema della stabilizzazione dei precari.
Avendo ascoltato l’opinione di alcune imprese sociali, dirigenti di associazioni cooperativistiche e sindacalisti del settore pubblico, emerge la ragionevole e condivisa certezza che l’unico effetto di tale normativa, se introdotta, sarebbe il caos nella gestione di numerosi servizi educativi e la messa a repentaglio del lavoro degli educatori “senza titolo”, senza alcun beneficio sotto il profilo del perfezionamento del loro profilo professionale.
Con queste righe desidero fornire un contributo sulla questione, confidando di contribuire alla conoscenza di un groviglio che francamente dura da troppo tempo.
Sarà poi il lettore a decidere se e come questa materia possa essere assunta come un emblema della difficoltà del nostro sistema formativo e di riconoscimento professionale nell'affrontare situazioni complesse. 
Nello specifico, la condizione attuale è data dal fatto che l'educatore è formato attraverso due percorsi universitari paralleli, affidati uno al corso di laurea in Scienza della Formazione (“classe L 19 – Scienze dell’educazione e della formazione”)  l'altro alla Facoltà di Medicina e Chirurgia (“classe 2 – professioni sanitarie della riabilitazione”), con l’effetto di un inevitabile problema di coordinamento, normativo e pratico, nello sbocco dei due profili nel mercato del lavoro. Un problema minimizzato in Sardegna per il semplice fatto che il corso in medicina da noi non è mai stato attivato: minimizzato ma non assente, se qualche ASL, nel recente passato, ha indetto gare d’appalto che indicavano il titolo rilasciato da medicina (di fatto non reperibile in Sardegna !) per il fabbisogno del profilo dell’educatore nei servizi oggetto d’appalto.
Nei grandi numeri, prima che il profilo dell'educatore assurgesse alla dignità del titolo di laurea, gli operatori sono stati formati attraverso percorsi diversi.
Percorsi variamente modellati a seconda dell'esperienza maturata sul campo,  nella concreta partecipazione ai servizi socio-educativi  magari accompagnata da intense seppure non sistematiche o non riconosciute attività formative "aziendali", passando  per  corsi regionali di formazione professionale, di durata e consistenza variabile, fino ai corsi attivati in passato da qualche USL.
In sostituzione dell’educatore si è fatto largamente ricorso anche al profilo del pedagogista, in taluni specifici casi a quello dello psicologo nonchè a svariati altri profili di laureati o diplomati, se accompagnati da titoli particolari (per esempio, l'abilitazione all'insegnamento) o, soprattutto, da prolungate esperienze maturate sul campo.
Quindi una gamma di percorsi e di profili, riconosciuti e non riconosciuti, adattatasi nel corso di trent'anni alle evoluzioni normative e della domanda dei servizi, nella cui vicenda si sono consumati molti silenziosi processi di esclusione, realizzate svariate alchimie contrattuali (la più esplicita rappresentata dalla distinzione tra educatori con e senza titolo nei principali contratti di lavoro del settore a partire dal CCNL delle Cooperative sociali (link), impiegate ingenti risorse destinate a diverse attività di formazione professionale di incerta finalità ma sempre motivate dalla spinta degli educatori al conseguimento di un riconoscimento definitivo dei propri status professionali.
Un processo segnato da centinaia di capitolati d'appalto di orientamento talvolta contraddittorio, per non dire delle differenti giustificazioni date da numerosi Comuni e da qualche Provincia alle proprie scelte di convenzionamento diretto e poi di “stabilizzazione” degli educatori precari.
Su tutto ciò si proietta l’ombra lunga della mancata attuazione dell’art. 12 della legge 328/2000 ("Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali")  che affidava la definizione dei profili delle figure professionali sociali ad un successivo decreto del Ministro per la solidarietà sociale, mai emanato dai Governi di diverso segno che da allora si sono succeduti.
Ad evitare appesantimenti non necessari, grazio i lettori di questa nota di ogni approfondimento della norma per il riconoscimento dell'equipollenza tra i vari titoli e profili (disponibile in allegato).
Così come, per quanto riguarda l’intreccio con i temi del riconoscimento di altri profili professionali di area sanitaria, rinvio alla lettura delle principali elaborazioni dei sindacati di settore (www.fpcgil.itwww.fp.cisl.it,www.uilfpl.it).
In questo complicato scenario, il mio convincimento è che la soluzione stia nell’attuazione del  meccanismo del “riconoscimento dell’equivalenza ai diplomi universitari dei titoli del pregresso ordinamento”,  previsto lo scorso 10 febbraio  2011 con un Accordo della Conferenza tra Stato, Regioni e Province autonome.
Si tratta, in sintesi, di un dispositivo (già previsto da un’analogo Accordo del  dicembre 2004,   anche quello mai applicato) che, se e quando attuato, permetterà  agli operatori che possano vantare un certo periodo di esperienza professionale e/o idonei titoli di formazione di vedere valutata, esclusivamente ai fini dell'esercizio professionale autonomo o subordinato, l’equivalenza del proprio profilo ai titoli universitari oggi richiesti per lo svolgimento della funzione di educatore professionale.
Tutto ciò sulla base dei criteri e delle procedure chiaramente individuati dall’Accordo stesso (segnatamente agli artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 7), con un ruolo attivo della Regione nell’istruttoria delle istanze individuali e nella valutazione dei corsi di formazione previsti dai precedenti ordinamenti, in forza di un decreto che dovrà essere emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 10 del medesimo accordo.
Dovremmo auspicare che questo dispositivo, dopo essere  stato condiviso dalla Regione sarda - che dobbiamo presumere sia parte attiva e propositiva del processo istituzionale che si sviluppa nell’ambito della Conferenza unificata - possa essere concretamente portato ad una rapida attuazione.
Chi scrive, essendosi occupato in una vita precedente della definizione di un accordo sindacale in materia (in allegato, vedi art. 8), aveva tentato di portare ad attuazione il dispositivo, già presente nel precedente accordo del 16 dicembre 2004, purtroppo senza un risultato risolutivo.
Non mi è dato capire perché quell'impegno non sia stato mantenuto, peraltro non potendosi sostenere che la Regione, nella scorsa legislatura, sia stata indifferente all’esigenza del rafforzamento delle competenze professionali degli operatori del Terzo settore.
Infatti, nel 2008, attraverso una qualificata iniziativa di formazione professionale (programma Auxilium), è stata realizzata un’impegnativa  azione formativa, che prevedeva anche  misure specifiche rivolte agli educatori, rivolta a “contribuire all’aggiornamento degli operatori del Terzo Settore e alla creazione  di alcune condizioni culturali e organizzative tali da garantire un governo del sistema sociale efficace, integrato e coerente con le politiche regionali attraverso lo sviluppo di competenze professionali funzionali allo sviluppo della programmazione e valutazione delle politiche sanitarie e sociali, alla crescita organizzativa, alla modernizzazione e all’integrazione dei  servizi e al miglioramento della qualità assistenziale”
Resta il fatto che, naturalmente, la partecipazione degli educatori “senza titolo” a quel percorso non potesse produrre il conseguimento di alcuna qualifica professionale.
Anche per questo, nel 2009 è stata introdotta con l'articolo 15 della Legge regionale 7 agosto 2009, n. 3Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale”, una norma (elaborata dall’allora Dirigente delle politiche sociali, autorevole ed esperto quindi tempestivamente accantonato dall’attuale Giunta) con la quale, nelle more di una più ampia risoluzione del problema, si stabiliva che gli educatori di ruolo e non di ruolo e i titolari di servizi educativi per la prima infanzia, in possesso di diploma di scuola media superiore anche ad indirizzo non educativo che hanno maturato, alla data di entrata in vigore della presente legge, almeno cinque anni di esperienza lavorativa nei servizi territoriali socio-assistenziali e/o sanitari pubblici e privati nello svolgimento delle funzioni di educatore nei settori sociale e sanitario.” 
In questo scenario, si è affacciato in Consiglio regionale questo emendamento della Giunta che si colloca nella vicenda con la stessa armonia con cui un gruppo di mamuthones prenderebbe il sole ad agosto nel nostro Poetto.
Allora, con tutti questi presupposti, ai quali si può aggiungere la constatazione dell’assoluta sterilizzazione del processo di riforme avviato dalla precedente Giunta e, in particolare, dall’Assessore Nerina Dirindin, il sommesso suggerimento che verrebbe da avanzare alla nostra Giunta regionale è di “quieta non movere” e di attendere il DPCM di cui all’art. 10 dell’Accordo del 10 febbraio 2011.
Potrebbe bastare, insomma, che questa nostra Amministrazione continui a non dare mostra di attivismo e che - per favore – non si muova, accantoni definitivamente quell’orribile emendamento, promettendo con un solenne giurin giuretto di non infilarlo in nessuna legge di prossima discussione.
Si attenga, insomma, alla regola di quel tale che raccomandava Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.
Tuttavia, nonostante tutto, da tempo ritengo che sia necessario non solo un presidio ma un rilancio delle politiche sociali in Sardegna.
E, quindi, se la Giunta fossa assalita da un tremito di ottimismo della volontà, allora potremmo immaginare che si impegni a realizzare qualche misura condivisa, compresa un’azione di accompagnamento all’Accordo del 10 febbraio e di preparazione della Conferenza dei servizi che dovrà essere indetta dal Ministero della Salute sulla base dell’art. 7 comma 5 dell’Accordo medesimo. 
Un’azione che potrebbe consistere perlomeno in tre misure:
- una valutazione ed un monitoraggio complessivo dei pregressi titoli formativi rilasciati dalla formazione professionale e attualmente rilasciati dai canali di formazione universitaria, utili per lo svolgimento delle funzioni riconducibili  alla figura dell’educatore professionale nel settore dei servizi sanitari, socio-assistenziali e socio-sanitari;
- un monitoraggio preliminare degli educatori senza titolo residenti nella regione, potenzialmente interessati all’attuazione dell’Accordo del 10 febbraio 2011;
- un’iniziativa di sensibilizzazione delle Università degli studi di Cagliari e di Sassari, rivolta alla successiva attivazione del  “percorso di compensazione formativa”, in base ai criteri che devono essere individuati dal Ministero dell'istruzione, dell'università' e della ricerca.
Mi limito a constatare l’involontaria ironia insita nell’immagine del nostro Presidente del Consiglio chino e pensieroso sui problemi degli educatori, per cui nelle more dell’emanazione dell’atteso DPCM,  tra vidiri e svidiri, suggerirei anche che la Regione, d’accordo con le Università degli Studi di Cagliari e di Sassari, contribuisca alla realizzazione di condizioni di facilitazione didattica ed organizzativa per il conseguimento, da parte degli educatori senza titolo che ne avanzino richiesta, della laurea in Scienza dell’educazione, fondato sul pieno riconoscimento dei crediti formativi derivanti dalle esperienze professionali maturate e dai titoli formativi posseduti (per i cultori della materia, secondo le previsioni dell’art. 5, comma 7, del D.M. 270/2004- Modifiche al regolamento sull’autonomia didattica degli Atenei).
In quest’ultimo modo, praticamente, l’Amministrazione regionale - non potendo garantire che il Governo nazionale, come in mille altri casi ben più eclatanti, attui per davvero gli impegni che pure ha già sottoscritto con le Regioni e con le Province autonome - avrebbe l’onestà di avvertire tutti gli educatori del  fatto che, pur assumendo in pieno l'obiettivo di accompagnare il riconoscimento dell’equivalenza, c’è un interesse generale a porre la parola fine a questa interminabile vicenda.
Essendo chiaro a tutti che il fabbisogno di educatori oggi può e deve essere sopperito, al meglio delle potenzialità del sistema, attraverso il percorso universitario vigente.
Da parte mia, auguro a tutti gli educatori (con e senza titolo) un buon periodo di studio e lavoro, in preparazione di tempi migliori.
Giorgio Pintus
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

OPG, DOMANI LA CHIUSURA: "STOP A LOGICA MANICOMIALE"

Chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, Antigone annuncia un monitoraggio sull'applicazione della legge 81/2014 che ne stabilisce la chiusura definitiva il 31 marzo. Per l'associazione si tratta di "una decisione importante frutto del lavoro di molti, di indagini e denunce partite da lontano", ma è necessario non creare "allarmismi come fanno alcuni. Non c'è rischio sicurezza. Finalmente può ridiventare centrale la salute".
Attualmente gli Opg sono sei, spiega l'associazione. Gli internati, invece, circa 700. "Molto è stato fatto - spiega l'associazione -. Molto c'è da fare. Noi monitoreremo questo processo. Già domani e martedì gli osservatori dell'associazione Antigone si recheranno in questi luoghi per verificare lo stato delle cose, come procede il trasferimento degli internati e se, per il 1 aprile, gli Opg saranno effettivamente vuoti". Ai direttori, inoltre, spiega Antigone, verrà chiesto se il ministero e i provveditorati competenti stanno facendo valutazioni in merito all'utilizzo futuro di queste strutture. Le date delle visite sono le seguenti: si parte da Castiglione Delle Stiviere, Aversa, lunedì 30 marzo 2015. Poi Napoli, martedì 31. Le altre visite verranno stabilite e rese note al più presto.
"Condivisibili le dichiarazioni del sottosegretario De Filippo che esclude con fermezza la proroga alla chiusura degli OPG e che annuncia commissariamenti per le regioni che non sono pronte". Questo il commento del comitato nazionale StopOpg a quanto dichiarato da Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute nei giorni scorsi. "Il Governo dopo anni ha assunto una linea netta - ha detto il sottosegretario -: no a proroghe per il superamento degli Ospedali Psichiatrici. E' una storia desueta, intollerabile per un Paese come l'Italia". Secondo il sottosegretario, inoltre, "per i territori dove non verranno superati gli Opg, saranno attivate procedure commissariali". Per StopOpg, infatti, "difficoltà e ritardi non possono arrestare una riforma di questa portata. Ora inizia nuovo percorso, per ridurre drasticamente le Rems e attivare percorsi di cura nel territorio fuori da ogni logica manicomiale. E per cancellare il trattamento speciale destinato ai "folli rei" voluto dal Codice Rocco".
Campana: "nuovi strumenti giuridici"
"Martedì scadrà il termine per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e la maggior parte delle regioni sono pronte al cambiamento. Ma a questo momento epocale dobbiamo affiancare nuovi strumenti giuridici in grado di adattarsi alle molteplicità di situazioni che si interessano l'inabilitato". E' quanto rileva in una nota Micaela Campana, componente della commissione Giustizia e responsabile nazionale Welfare, terzo settore, diritti del Pd. "L'interdizione - aggiunge - è uno strumento rigido e che mal si adatta alla mutevolezza delle condizioni, per questo nei prossimi giorni chiederò che inizi la discussione della mia proposta di legge recante norme per le "Modifiche al codice civile e alle disposizioni per la sua attuazione, concernenti il rafforzamento dell'amministrazione di sostegno e la soppressione degli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione".
Per Campana, è "fondamentale rafforzare l'istituto dell'amministrazione di sostegno in un momento come questo, dove molte persone, per le cause più disparate, non ce la fanno da sole nella gestione della quotidianità. Non dobbiamo quindi pensare a chi oggi è dentro gli Opg, ma fare riferimento, più ampiamente, alle 'persone indebolite', ovvero a tutti coloro che figurino poveri di cittadinanza, precari, segregati o isolati, abbandonati a se stessi - continua Campana -. In tale ottica, finisce per smarrire centralità sul terreno applicativo la tradizionale nozione di 'capacità d'intendere e di volere' e dei relativi strumenti a sostegno delle persone in difficoltà"
Redazione (Fonte: Redattore Sociale)

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito repubblica.it:


Integrazione disabili, Pd: garantite le risorse necessarie


Torna in Consiglio la questione dell'assistenza ai disabili mentre educatori di sostegno, maestre e sindacati proseguono le loro iniziative. La mozione è stata elaborata dal gruppo Pd con il concorso di educatori, associazioni dei disabili, docenti ed è stata poi sottoscritta dagli altri gruppi di minoranza (Pdci, Ap, Pu, Cp) ma non dal M5S a cui è stata comunque sottoposta.
Obiettivo della mozione è tenere alta l'attenzione sul tema e sollecitare la Giunta a bandire la nuova gara senza stravolgere o ridurre il servizio, ma anzi cogliendo l'occasione per migliorarne la qualità e il modello organizzativo. "Vogliamo che venga discussa nella commissione welfare che abbiamo chiesto di convocare anche per audire genitori e educatori" scrivono i capigruppo firmatari dell'atto.
Nel documento - che vede come primi firmatari il capogruppo Pd Nicola Dall'Olio, Alessandro Volta, Pierpaolo Scarpino e Maria Teresa Guarnieri - viene chiesto al sindaco Federico Pizzarotti e alla Giunta di impegnarsi a "garantire le risorse necessarie per l'erogazione del servizio di integrazione scolastica dei disabili sulla base dei fabbisogni stabiliti dai piani educativi individualizzati";
- "provvedere entro l'estate a bandire la nuova gara per l'affidamento del servizio prevedendo una durata triennale della convenzione secondo il calendario scolastico e non quello solare, a partire dall'annualità 2015-201";
- "perseguire la massima collegialità e condivisione nella predisposizione del nuovo bando di gara e nella successiva gestione del servizio dando concreta attuazione a quanto previsto dall'Accordo di programma provinciale e dal Patto per la scuola attraverso il coinvolgimento attivo di tutti gli attori dell'integrazione scolastica (Asl, Scuola, famiglie, educatori) e la ricerca della massima sinergia con gli altri Comuni che erogano il servizio ad alunni iscritti nelle scuole del Comune di Parma";
- "impostare, nel contesto di condivisione e confronto di cui al punto precedente, un approfondito studio di settore per un nuovo modello di gestione dei sostegni e delle risorse che soddisfi i bisogni educativi e di integrazione sociale dell'alunno con disabilità e valorizzi al contempo il lavoro e la professionalità degli educatori, assicurando stabilità e continuità lavorativa, formazione continua e livelli di retribuzione adeguati";
- "promuovere, nell'ambito dell'Ufficio di Piano distrettuale, tavoli di lavoro multi-professionali per progettare, sperimentare e monitorare nel corso del triennio modalità innovative e integrate di erogazione del servizio tese a migliorare la qualità del servizio e ad ottimizzare l'utilizzo delle risorse e degli educatori fermo restando il principio dell'affiancamento individualizzato;
- "garantire la continuità educativa nel periodo estivo";
- "rafforzare l'integrazione con le politiche di sostegno alla disabilità al di fuori dell'ambito scolastico, oltre che nel periodo adulto post-scolastico, secondo un approccio basato sul Progetto di Vita;
L'atto ripercorre le tappe dell'affidamento del servizio integrativo scolastico di assistenza ai disabili ricordando che i minori con certificazione di disabilità frequentanti le scuole dell'obbligo nel Comune di Parma sono supportati dagli insegnanti di sostegno per le attività didattiche e dagli educatori per la promozione delle autonomie, della socializzazione e della integrazione". "Ogni minore con certificazione in base alla L.104/92 è accompagnato da un Piano Educativo Individualizzato (PEI) che permette di personalizzare l'intervento di sostegno e di mettere in rete le diverse figure professionali coinvolte". Da parta sua il Comune- viene sottolineato- ha "sottoscritto l'Accordo di Programma Provinciale per il coordinamento e l'integrazione dei servizi di cui alla citata Legge 104/1992" e lostesso Comune di Parma, nell'ottobre 2014, "ha sottoscritto un accordo di programma biennale ("Patto per la scuola") con gli istituti comprensivi nel quale, all'art. 14, sono definiti obiettivi e modalità di erogazione del servizio integrativo per i disabili".
In particolare, nel "Patto per la scuola" si specifica che le parti "si impegnano pertanto alla realizzazione delle azioni che coinvolgano tutti i soggetti interessati (genitori, insegnanti, insegnanti di sostegno dell'anno scolastico in corso e dell'anno precedente, educatori scolastici con funzioni educativo-assistenziali, dirigenti
scolastici e referenti con funzione strumentale per l'integrazione) che a vario titolo interagiscono con l'alunno con disabilità, favorendo la conoscenza reciproca e il confronto".
L'attività degli educatori - è scritto nella mozione - viene svolta attraverso cooperative sociali in base a una convenzione con il Comune di Parma scaduta a fine 2014 e va inoltre considerato - concludono i gruppi di opposizione in Consiglio comunale - che la programmazione dell'attività educativo-didattica ha come riferimento temporale il calendario scolastico e non l'anno solare.
Per cui la gestione organizzativa degli interventi educativo-assistenziali finalizzati all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità "non può essere improvvisata, ma richiede una attenta programmazione articolata in tempi adeguati e certi e l'aumento delle richieste di sostegno e la riduzione delle risorse economiche disponibili impone di progettare nuove modalità di erogazione del servizio, in accordo con i diversi attori interessati (genitori, dirigenti scolastici, insegnanti, educatori, pediatri e neuropsichiatri)".
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

Aspettando Papa Francesco, Napoli si divide tra disagio, fede e proteste

La visita del pontefice in Campania, fissata per domani, ha risvegliato le speranze, la fede e le richieste di ascolto di moltissime realtà. Un’indagine rivela che i ragazzi del sud ripongono in lui una fiducia totale. E questa mattina i disabili hanno protestato davanti al Duomo, chiedendo l’intervento di Bergoglio a sostegno della loro battaglia


NAPOLI - La figura pubblica che ispira maggiore fiducia tra i giovani del Sud: è Papa Francesco e Napoli si prepara ad accoglierlo proprio mentre il Pontefice vede il 75,6% dei consensi dei ragazzi del Mezzogiorno secondo il “Rapporto Giovani” promosso dall'Istituto Toniolo. Ma le aspettative, le attese e le speranze nel Pontefice coinvolgono l’intera città. 

Realizzata in previsione della visita di Bergoglio a Napoli e diffusa nella mattinata del 20 marzo, l’indagine è partita da un panel di 5000 ragazzi tra i 19 e i 32 anni. Portata avanti in collaborazione con l'Università Cattolica e il sostegno della Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo dice che molti ragazzi del Sud considerano Papa Francesco quasi un membro della famiglia - la fiducia riposta in lui viene solo dopo quella in se stessi (91,8%) e nei parenti più stretti (89,9%) -  ma a Napoli la visita del Pontefice, il suo tour che parte da Pompei per arrivare a Napoli e toccare Scampia, Piazza del Plebiscito, il carcere di Poggioreale, il centro storico con il Duomo e la Chiesa del Gesù e, infine, il Lungomare Caracciolo, ha risvegliato le speranze, la fede e le richieste di ascolto di moltissime realtà. La simpatia e la fede nel carisma e nella passione di Papa Bergoglio sembrano dunque inserirsi in un processo di sfiducia nelle istituzioni pubbliche.
È accaduto ancora prima del suo arrivo, questa mattina: un gruppo di cittadini che ha visto sfumare la possibilità di avere udienza dal Pontefice, si è portato sul sagrato del Duomo per fare comunque appello a lui. Il ”Coordinamento campano delle famiglie, dei cittadini per i diritti dei disabili” che unisce diverse associazioni ha recitato il “Padre Nostro” e chiesto l’intervento di Bergoglio a sostegno della loro battaglia, quella per il ritiro del decreto 108 che prevede la sospensione dei fondi per i centri diurni da parte della Regione Campania, tagliando di fatto la possibilità per quasi 1500 persone disabili di svolgere le necessarie attività di riabilitazione e inclusione sociale. Una manifestazione laica, durante la quale sono stati presentati anche i quasi 200 ricorsi al Tar contro il provvedimento, dicono gli organizzatori, eppure il Papa è una figura di riferimento in una città nella quale i problemi sociali sono sempre più sentiti e più comuni. (www.napolicittasociale.it)
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito milanoinmovimento.com:

Rete Nazionale Operatori Sociali: si riparte da Ancona e da Rimini! Breve aggiornamento su un’identità in via di definizione e nuovi compagni di ventura



Dopo l’incontro di Venezia del 25 Ottobre 2014, che aveva sancito l’inizio di un nuovo anno di attività della Rete Nazionale degli Operatori Sociali, i lavori non si sono mai fermati nelle tante realtà locali di cui è animata la rete.
Torino, Napoli, Milano, Monza, Bologna, Venezia, Genova hanno continuato in questi mesi a dar vita ad una serie di iniziative tra cui una campagna per il riconoscimento della professionalità dell’educatore senza titolo a Bologna e a Milano la pubblicazione del libro “La Rivolta del Riso”. Le frontiere del lavoro nelle imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici. (Sensibili alle foglie). 
Ma il 28 Febbraio 2015 c’è stato un inatteso e frizzante appuntamento ad Ancona:la sala Anpi di via Palestro era gremita di lavoratori e lavoratrici. Un grande risultato per la prima assemblea pubblica della neonata “Rete Diritti Operatori/trici Sociali” di Ancona che, insieme agli “Educattivi” di Rimini,sono entrati con entusiasmo nella Rete Nazionale. In questa occasione i diversi interventi hanno ribadito con forza la necessità di uscire dalla solitudine e la ricerca di un’identità collettiva che sia in grado di tornare a riaffermare e difendere i propri diritti. Alcune proposte concrete sono state messe sul piatto: una campagna per il riconoscimento della professionalità che vada oltre il titolo di studio, una battaglia per il riconoscimento del lavoro estivo, l’unificazione dei diversi contratti che regolano il mondo del sociale, la diffusione della Piattaforma Nazionale della Rete…Insomma un incontro molto positivo che rilancia il percorso su scala nazionale e che si arricchisce di nuovi compagni di strada. Avanti tutta!


Di stefania, Pubblicato il 4 marzo 2015 alle 19:29
--------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito Rossoparma.com:

Tagli ai Servizi Educativi, dalle lavoratrici e dai lavoratori il grido di dolore rispetto alle decisioni di Pizzarotti


Ordine del giorno dell'assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori delle scuole d'infanzia e dei nidi del Comune di Parma

Al Sindaco
All'assessore Paci
Alle famiglie dei bambini delle nostre scuole

Noi lavoratrici/tori delle scuole e dei nidi di Parma siamo preoccupati, perchè nonostante lettere, solleciti e richieste d'incontro, a oggi ancora non abbiano certezze sul futuro dei servizi educativi della nostra città e sul futuro del nostro lavoro.
Ognuna/o di noi svolge quotidianamente con impegno e professionalità il proprio ruolo nella consapevolezza di contribuire allo sviluppo di tutta la collettività, ma in questo momento temiamo che altre logiche (tagli di bilancio, priorità di altre scelte) possano portare l'Amministrazione comunale a disinvestire sulle scuole d'infanzia e sui nidi.

Noi lavoratrici/tori dei servizi educativi crediamo che investire sull'educazione dei bambini fin da piccolissimi significhi investire sul futuro di tutti e che questo sia un tema di forte interesse pubblico.
La gestione diretta dei servizi è pertanto un valore, e in quanto tale, non negoziabile.
Il controllo pubblico non lo si esercita solo attraverso questionari, ma quando si gestisce in modo diretto si ha la possibilità di conoscere i problemi, le difficoltà e pertanto si possono ideare soluzioni di prospettiva capaci di tenete insieme le priorità educative, di tutela del lavoro, di attenzione alle fasce più deboli con le esigenze di risparmio e flessibilità.
Per questo, noi lavoratrici/tori chiediamo che le scuole e i nidi attualmente a gestione comunale rimangano tali, all'interno di un sistema integrato che funziona e che può continuare a costituire un elemento di qualità per tutti.
I servizi educativi da zero a sei anni sono un pezzo importantissimo di welfare, una conquista delle donne, e devono conciliare il sostegno alle famiglie e all'occupazione femminile con il diritto dei bambini ad avere un'educazione.
Noi lavoratrici/tori dei servizi educativi operiamo spesso in condizioni molto difficoltose, e abbiamo sempre accettato situazioni anche disagiate per favorire la sostenibilità del servizio, spesso senza alcun riconoscimento.
Siamo sempre stati disponibili a sostituirci tra noi, accettando negli anni mobilità e riorganizzazioni.
Nelle scuole dell'infanzia, abbiamo accolto 28 bambini per sezione (mentre il CCNL ne prevede 25) per azzerare le liste di attesa. Ora che pare esserci (il condizionale è d'obbligo, visto l'assenza di dati definitivi) un calo della domanda sarebbe logico a nostro parere, ripristinare il corretto rapporto numerico.
Riteniamo molto grave che in tutta questa fase di incertezza, l'Amministrazione non abbia mai coinvolto gli operatori, non abbia mai fornito alcuna informazione e abbia sempre preferito rapportarsi con gli organi di stampa.
Chiediamo pertanto che si aprano i tavoli deputati con i rappresentanti dei lavoratori per affrontare i problemi dando legittimità ai punti di vista diversi e alle competenze e professionalità che sono presenti nel servizio.
Noi lavoratrici/tori non accetteremo una riorganizzazione al ribasso,
non accetteremo che si taglino posti di lavoro nè nei servizi comunali nè in quelli in convenzione, perchè in un periodo di profonda crisi economica è dovere dell'Amministrazione comunale investire e non tagliare, è dovere creare e favorire l'occupazione anzichè cercare di risparmiare sui posti/bambino e sul costo del lavoro.

L'assemblea dei lavoratori del 24 febbraio 2015

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Riprendiamo dal sito disabili.com:

Diritto allo studio degli studenti disabili: Fish a confronto con il Governo



La Fish - Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap - torna sulla questione scuola. Ad essere messa sul tavolo è la tematica delle competenze istituzionali sul fronte scolastico relativamente al diritto allo studio delle persone con disabilità, ora che la Legge 7 aprile 2014, n. 56 ha soppresso le Province. In sostanza la Fish si chiede ora chi si occuperà dei compiti che prima erano assolti dalle Province (secondo il decreto legislativo 112/1998 art. 139, comma 1 c), relativamente agli assistenti educativi e della comunicazione  - supporti fondamentali per gli alunni sordi, non vedenti, ipovedenti o con pluriminorazioni. Inoltre, aggiunge la Fish, le stesse Province dovevano assicurare (gratuitamente) il trasporto scolastico alle persone con disabilità nelle scuole superiori.Ora che è stata determinata la soppressione delle Province, a chi spettano questi compiti? Chi assicurerà questi servizi agli alunni con disabilità?

"Queste competenze al momento sembrano scomparse. Non è ben chiaro se siano di competenza delle Regioni, dei Comuni o delle Città metropolitane. Questa incertezza sta già generando non pochi problemi di garanzia di un diritto costituzionale e causando una forte preoccupazione e disagio nelle famiglie". Questo l'appunto di Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap che ha chiesto e ottenuto ieri un incontro con Gianclaudio Bressa, Sottosegretario di Stato agli Affari regionali. Oltre all'avvocato Salvatore Nocera, esperto FISH sui temi dell'inclusione scolastica, erano presenti al confronto anche l'onorevole Elena CarnevaliMicaela Campana (Responsabile PD per welfare e terzo settore) e Raffaele Ciambrone (MIUR - Direzione generale per lo studente, l'integrazione, la partecipazione e la comunicazione - Ufficio Disabilità).

La FISH - fa sapere in una nota - ha evidenziato la preoccupazione e il disappunto delle famiglie delle persone con minorazioni della vista e dell'udito che in precedenza contavano sull'assistenza dalle Province nelle scuole di ogni ordine e grado e di alunni con altre disabilità che fruivano di tali supporti e del trasporto scolastico nelle scuole superiori.

La mancata previsione nelle leggi regionali che avrebbero dovuto esplicitare a chi riassegnare tali competenze, ed erogare i corrispondenti finanziamenti - dichiara  la FISH - sta comprimendo in molte parti d'Italia il diritto allo studio di tantissime migliaia di alunni con disabilità che rischiano di rimanere - o in alcuni casi rimangono - a casa.

La FISH ritiene siano stati violati dei livelli essenziali del diritto allo studio degli alunni con disabilità, costituzionalmente protetto. La richiesta netta è che il Governo intervenga in sostituzione delle Regioni inadempienti. In mancanza di un intervento normativo, la FISH intende depositare presso le Procure della Repubblica delle Regioni inadempienti altrettante denunce per interruzione di un pubblico servizio. Ciò in forza anche di una ampia e consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti.

La situazione è ancora più urgente  - continua la nota - perché anche le Regioni che hanno provveduto, hanno ridotto i finanziamenti con il devastante effetto che dal 1° marzo sono limitati anche in esse i servizi di trasporto gratuito e di assistenza alla comunicazione.
Il Sottosegretario Bressa ha assicurato che riferirà al Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio la drammatica situazione e riferirà alle associazioni possibilmente entro fine febbraio.

Conclude la Fish: "Ci rassicura l'espressione di volontà del Governo e dei parlamentari di porre in sicurezza il tema della disabilità, nella fase di adempimento degli obblighi previsti dopo l'approvazione della legge 56/2014. Ma nell'attesa di una risposta, che ci si augura positiva, stiamo perfezionando gli strumenti per le eventuali azioni legali che si rendano comunque necessarie."

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nel paese.it:

CHIUSURA OPG: ALLARME DI PSICHIATRIA DEMOCRATICA


Chiusura Opg entro il 31 marzo, Psichiatria democratica lancia l'allarme sulla situazione nelle regioni che ospitano i manicomi criminali. "Mentre si avvicina sempre più la data per la chiusura definitiva degli attuali Opg – scrive l'associazione in una nota - nonostante l'ottimismo esternato dal Sottosegretario De Filippo sulla concreta possibilità di rispettarla, i segnali che giungono dalle Regioni destano allarme e giustificate preoccupazioni".
Il programma di ridimensionamento delle Rems, annunciato nel seminario al Senato, nel novembre scorso, "sta scontando dei ritardi nella sua attuazione e le Regioni cominciano ad avanzare dubbi sulla possibilità di attivare le nuove soluzioni residenziali", per quanto "provvisorie", entro i termini di legge. Psichiatria Democratica ha già denunciato la situazione in Toscana e anche in Veneto sembra essere in ritardo mentre in Emilia Romagna "l'attivazione delle Rems provvisorie sembra incontrare difficoltà, specie con i familiari dei pazienti che dovrebbero lasciare il posto agli ex internati".
Anche a Sud non mancano inoltre segnali diversamente allarmanti e assai gravi: "la decisione della Sicilia di attivare la Rems nell'area del vecchio opg di Barcellona Pozzo di Gotto: è evidente che una simile soluzione va respinta con forza non rispondendo certamente allo spirito della legge 81, non realizzando una reale territorializzazione ma una continuazione, sotto altro nome, del vecchio internamento (stesso luogo, stessi reparti per quanto ammodernati) come pure non è accettabile la soluzione adottata in Lombardia che prevede più moduli accorpati, anche qui, nell'Opg di Castiglione delle Stiviere".
Psichiatria Democratica ritiene che "si debbano rifiutare queste scorciatoie per un formalistico rispetto del termine di chiusura e ribadisce che solamente l'attuazione di veri programmi individualizzati di presa in carico territoriale degli attuali internati dichiarati dimissibili (la grande maggioranza dei presenti secondo le stesse stime ministeriali) possono conseguire l'obbiettivo della legge; solo in questo modo, insieme ad un atteggiamento proattivo dei Servizi e della Magistratura di sorveglianza per prevenire i nuovi invii in misura di sicurezza detentiva, si ridurrà il numero di posti letto nelle Rems facilitandone la realizzazione e, se ancora il termine per la chiusura non dovesse essere rispettato si ricorra, come prevede la legge, al commissariamento delle Regioni inadempienti".
Redazione

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Riprendiamo dal sito radiocittafujiko.it:

Servizi educativi, ancora un appalto al ribasso

La denuncia di Cgil sull'appalto per la gestione dei servizi educativi del Comune di Bologna.

di Alessandro Canella

prima-infanzia-liguria.jpg
Nonostante i tanti problemi generati dagli appalti al massimo ribasso, il Comune ha appena affidato la gestione dei servizi socioeducativi ad una coop di Fabriano che ha tagliato dell'11% i costi. La protesta della Cgil: "Difficile garantire qualità dei servizi e diritti dei lavoratori".
Gli appalti al massimo ribasso costituiscono un problema e la "letteratura" a riguardo è purtroppo molto nutrita. Le conseguenze più frequenti sono una contrazione dei salari e dei diritti dei lavoratori o l'interruzione di servizi pubblici scaturita dal fallimento delle societàche si trovano a gestirli a prezzi stracciati. A Bologna si possono citare i casi di Coopertone, che gestiva un subappalto di Atc per la gestione della sosta; il caso di Palazzo Paleotti, dove l'appalto di Coopservice con l'Università portava a paghe orarie per i lavoratori che si fermavano a 2,7 euro; o ancora il caso del Cie, dove i lavoratori del Consorzio L'Oasi che gestiva la struttura non hanno percepito lo stipendio per diversi mesi.
Nonostante ciò sia, le Amministrazioni pubbliche continuano ad inseguire anzitutto il risparmio della spesa come criterio più importante per l'assegnazione degli appalti.

A finire nel mirino della Cgil, ora, è il Comune di Bologna che ha appena assegnato la gestione dei servizi educativi alla cooperativa sociale "Mosaico" di Fabriano, che ha battuto la cordata bolognese composta da Csapsa 2, Open Group, Società Dolce, Il Pettirosso, Arci e La Carovana (che già avevano operato una riduzione dei costi del 6%) grazie ad un taglio dei costi pari all'11%. Sono 620 mila euro su un anno e mezzo le risorse investite da Palazzo D'Accursio per la gestione dei servizi.
"Dalle informazioni che abbiamo - scrive la Fp Cgil in una nota - gli attuali gestori avrebbero ottenuto un punteggio superiore per quanto riguarda la qualità del progetto, ma evidentemente non è bastato, perché ha pesato molto di più il ribasso economico".
Il sindacato, inoltre, getta dubbi sulla qualità del servizio che, con un ribasso considerevole, potrebbe non essere garantita.

"Le conseguenze - mette in guardia la Cgil - potrebbero essere molto gravi: se si assegnano appalti ad aziende che propongono un prezzo inferiore del 5-6% a quello dei concorrenti, la garanzia di far sì che i lavoratori impegnati su questi servizi abbiano diritti e un lavoro degno di questo nome è molto debole".
Per questo motivo, il sindacato ha intenzione di chiedere all'Amministrazione un incontro nel più breve tempo possibile, per individuare le responsabilità di queste scelte. Non solo: c'è l'intenzione anche di verificare la legittimità degli atti e contestualmente incontrare i lavoratori.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

CAMPANIA: "LA REGIONE TAGLIA SERVIZI PER DISABILI"


Sono oltre 1600 le persone che dal primo febbraio resteranno senza il servizio diurno. Parla Daniele Romano presidente della Federhand/Fish Campania in un'intervista rilasciata all'agenzia stampa Redattore Sociale: "Ci stanno tagliando tutto e stiamo arrivando alla disperazione". Il 21 gennaio manifestazione davanti alla sede della giunta regionale.



La Regione Campania sta per tagliare l'assistenza a 1600 disabili delle strutture semiresidenziali e, naturalmente, le associazioni si mobilitano. Per il 21 gennaio è prevista una manifestazione presso palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale. A usare parole durissime contro la giunta di Stefano Caldoro è Daniele Romano presidente della Federhand/Fish Campania in un'intervista rilasciata a Redattore Sociale.
"Con il decreto 108 del 10 ottobre 2014 il governatore Caldoro – a dichiarato Romano all'agenzia stampa - a partire dal 1 febbraio negherà l'assistenza a 1616 persone con disabilità, nella gran parte dei casi persone con disabilità intellettiva. Dall'analisi delle tabelle del decreto citato emerge che la politica della Regione è di riconvertire le risorse destinate a queste utenze in regime diurno in 84 posti letto in RSA (Residenze sanitarie assistitenziali), quindi la scelta della giunta Caldoro è verso l'istituzionalizzazione, in netto contrasto con la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, che il consiglio regionale ha fatto propria. Secondo questa scelta la giunta regionale abbandona 1600 disabili per risparmiare circa 42 milioni di euro. In realtà per queste persone i servizi sono già carenti, cancellandoli in gran parte si trasferisce sulle famiglie il carico assistenziale più elevato e con una probabile utenza che non è di 84 posti,come così prevista dalla regione. In realtà i servizi diurni per queste esigenze dovrebbero essere offerti dagli Ambiti Sociali, ma la regione si è ben guardata dal reinvestire queste somme nelle politiche rivolte alle persone con disabilità. Questa cosa fa rabbrividire e di più il fatto che ancora una volta questa amministrazione regionale agisce secondo logiche di bilancio e non secondo logiche di garanzia e rispetto dei diritti delle persone con disabilità".
E poi ha aggiunto: "La situazione attuale delle persone con disabilità nella nostra regione è alquanto drammatica, non ci sono servizi a sufficienza e quei pochi che ci sono non sono adeguati alle esigenze delle persone disabili e dei loro familiari. La Campania è all'anno zero o peggio ancora all'anno sotto zero delle politiche rivolte alle persone con disabilità. E' stato istituito l'osservatorio regionale, ma che ad oggi ancora non è stato convocato e qui ci sarebbero molte cose da dire, perché come al suo solito la politica ha strumentalizzato anche questo organismo".
Redazione 
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:


Scuola, attacco al sostegno: "Si può ridurre in tempi di crisi". Protesta la Fish

Due sentenze del Tar Sicilia e del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana sovvertono il principio del diritto allo studio per i disabili: le ore di sostegno possono essere ridotte per ragioni di bilancio

09 gennaio 2015
ROMA – E’ un cambio di passo clamoroso che sovverte di fatto i principi basilari sui quali fiumi di sentenze in questi anni hanno riconosciuto agli alunni con disabilità il diritto ad avere tutte le ore di sostegno scolastico necessarie alla loro condizione. Una sentenza del Tar Sicilia e una successiva sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) della Regione Siciliana mettono a rischio il principio del diritto allo studio, di fatto ammettendo che esso possa essere limitato per ragioni di bilancio. La Fish parla di un “gravissimo rischio per i diritti delle persone con disabilità”, visto che in Sicilia l’amministrazione scolastica sta già proponendo numerosi appelli contro le sentenze finora favorevoli agli alunni con disabilità: “Agiremo in tutte le sedi adeguate per rintuzzare questo violentissimo attacco contro i diritti civili”, dice il presidente Vincenzo Falabella.
La vicenda nel dettaglio. Fish ricorda che la giurisprudenza prevalente negli ultimi anni si è adeguata alle indicazioni della Consulta sul fatto che il sostegno scolastico vada garantito al massimo delle ore necessarie agli studenti con grave disabilità e alle famiglie vada riconosciuto il danno patrimoniale comprovato come pure l’eventuale danno non patrimoniale.
Un primo sovvertimento di questo stato di fatto c’è stato con una sentenza del Tar Sicilia (369/2014) che stabilisce che non sia dovuto il risarcimento del danno patrimoniale e non. Successivamente una sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) della Regione Siciliana (Sentenza n. 617 del 17 novembre scorso) che conferma l’indirizzo del Tar.
Il Consiglio – spiega la Fish – non li limita a negare il diritto al risarcimento per danni, ma mette in dubbio anche l’assolutezza del diritto costituzionale all’istruzione. Testualmente: “Se è vero – si legge nella Sentenza del CGA della Sicilia – come periodicamente ribadito anche dalla giurisprudenza, che la ‘educazione ed istruzione’, piuttosto che la ‘salute’ quale ‘diritto fondamentale dell’individuo’ […], specie se riferiti […] alla cura dei minori handicappati, costituiscono altrettanti diritti personali e sociali oggetto di tutela rafforzata, è anche vero che la tutela c.d. ‘incondizionata’ della salute, ribadita dal primo Giudice per concedere il sostegno nella misura richiesta dai genitori – depurata dalla forte caratura ideologica che ne ha accompagnato la sua rappresentazione politica e giuridica (anche nella cit. sentenza n. 80/2010 della Corte Costituzionale), oltre che mai realizzata nei fatti, sia in termini di prevenzione che di cura – non può per altro verso non subire oscillazioni, specialmente in tempi di crisi finanziaria acuta, come accade per la stagione attuale di finanza pubblica, che inevitabilmente si riverberano sulle scelte dell’Amministrazione, ogni qualvolta questa è chiamata a dover ponderarne la misura”.
Si tratta secondo Fish di “gravissime considerazioni verso la Corte costituzionale” (l’accusa di forte caratura ideologica è rivolta alla Consulta) che cambia le carte in tavola: nella sostanza alcuni diritti non sarebbero “indiscutibili”, ma condizionati nella loro esigibilità dalla crisi finanziaria. E dunque legittimamente l’amministrazione potrebbe limitare il sostegno scolastico a causa della crisi finanziaria.
Ma c’è un altro passaggio critico, quello in cui si dice che “l’assistenza pubblica ai minori, in tutte le forme con cui questa può essere prestata, è da reputare in via di principio ‘sussidiaria’, o, comunque, non sostitutiva rispetto agli obblighi di assistenza ed educazione che prioritariamente incombono sui genitori che su di essi esercitano la potestà”. Come a dire, spiega la Fish, che quello del sostegno scolastico paradossalmente è un compito della famiglia in cui lo Stato interviene in modo solo sussidiario, e che quindi le famiglie potrebbero essere chiamate a farsene carico materialmente ed economicamente.
I primi effetti di tale sentenza – fa sapere Fish - già si fanno sentire: l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo ha iniziato a notificare numerosi appelli avverso le sentenze del TAR Palermo con le quali già è stato riconosciuto il diritto all’integrazione delle ore di sostegno e al risarcimento del danno. “La prevedibile emulazione che tale grave sentenza innescherà sarà una rinnovata causa di esclusione di molte persone con disabilità. – commenta con preoccupazione Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap – È necessaria una forte sensibilizzazione dei Consigli forensi, una forte unità dei legali che fino ad oggi hanno seguito i contenziosi attivati da migliaia di famiglie, ma soprattutto è necessaria una Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per rendere omogenee le successive sentenze e per censurare le pesanti affermazioni del Consiglio di Giustizia siciliano. Fish agirà in tutte le sedi adeguate per rintuzzare questo violentissimo attacco contro i diritti civili.”

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



Continua il dibattito lanciato da nelpaese.it sui fatti di Roma. Ecco l'intervento dI Stefano Clemente, socio lavoratore della coop sociale La Carabattola


Leggiamo e ascoltiamo da autorevoli fonti: Nessuno poteva immaginare ! Nessuno poteva controllare ! Nessuno sapeva ! Se le Cooperative Sociali considerate di successo e modelli vincenti d'impresa sono....
Quando numerose solide e grandi cooperative sociali, o un loro consorzio, vengono guidate da 20 o più anni dallo stesso medesimo Presidente, o in alternanza dalla moglie, possiamo raccontarci che i soci lo hanno liberamente rieletto per 4 o 5 mandati consecutivi, grazie al sistema democratico e partecipativo proprio dell'impresa cooperativa, o piuttosto ci vengono in mente le perenni rielezioni dei Mubarak e dei Putin ?

Quando in cooperative sociali con 200 o 500 o 1000 soci lavoratori si svolge solo un' assemblea di bilancio annuale, con inoltre un tasso di partecipazione inferiore al 50%, possiamo raccontarci che la partecipazione attiva dei soci e la cogestione cooperativa sono processi reali e qualificanti che ci distinguono e ispirano?

Quando il presidente ("a vita"?) di un medio consorzio di piccole cooperative sociali, festeggiando il decennale di attività in pompa magna in un teatro cittadino davanti ad autorità varie, apre il suo intervento esibendo sul grande schermo il diagramma dell'impennata milionaria del suo fatturato, dobbiamo intendere che il volume d'affari è primo indice di valore cooperativo e di successo sociale ?

Quando il "presidente" factotum ("a vita?") di una grande cooperativa sociale viene plaudito e ringraziato da un Sindaco di sinistra su un palco cittadino davanti al popolo e alle Tv nazionali, in quanto ha donato 300.000 € della "sua" cooperativa sociale per sponsorizzare una singola tappa di una importante corsa ciclistica..e quando gli anni successivi ripete di tasca sua sponsorizzazioni ancor più ricche, dobbiamo domandarci e domandargli qualcosa in merito a cosa e come si impiegano gli attivi di gestione o a proposito delle diseguaglianze retributive ed economiche nella cooperazione sociale?

Quando in una grande cooperativa sociale del Centro Italia, il CdA decide di espandersi nel Nord-Ovest,,ed allora fa piombare improvvisamente suoi manager in giacca e cravatta su berline di servizio a centinaia di km di distanza, per partecipare a pioggia ad appalti-concorsi, nel tentativo di subentrare nella gestione di servizi affidati da tempo a onlus radicate in quei territori, dobbiamo interrogarci sul significato di diffusione della cultura cooperativa o di radicamento con la comunità locale, ecc, ecc?

Quando blasonate e grandi cooperative sociali sono strutturate con le stesse scale gerarchiche, lo stesso accentramento dei processo decisionali su figure "apicali", sul carrierismo interno, su differenze retributive e di benefit quali strumenti primi di riconoscimento e incentivo, cosa intendiamo per impresa sociale, per nuova dignità del lavoro, per modello economico alternativo, per controllo e potere assembleare ?

Come fa una cooperativa sociale a promuovere il protagonismo, l' inclusione, l'esercizio pieno ed effettivo dei diritti, la cittadinanza attiva e l'autogestione, l'uguaglianza e la giustizia economica delle fasce più marginali e deboli della popolazione se prima (e durante.. e sempre) non le ha già concretamente realizzate e praticate al suo interno per/con i suoi soci-lavoratori ( grazie a modelli e pratiche culturali e gestionali, aziendali, retributive, formative veramente alternative – cooperative- egualitarie – ecc.).
Se in una cooperativa sociale i soci-lavoratori vengono considerati e trattati alla stregua di dipendenti per di più non-sindacalizzati, dobbiamo permetterle di conservare lo status di coop sociale-onlus?

E proprio quelle grandi e solide cooperative sociali , e loro consorzi, che hanno assimilato il vocabolario delle imprese profit, e le loro strategie e logiche di business, di marketing, di finanza, di management, di espansione, di sponsorizzazioni mediatiche e "politiche" (e quindi anche la collusione, concussione e corruzione che sorreggono e sottendono quel mondo affaristico) sono tutte tranquillamente associate alle Centrali della Cooperazione Sociale: molte si muovono con i loro manager e presidenti negli uffici centrali con grande disinvoltura ed apprezzamento, sovente citate ad esempio e portate in palmo di mano durante convegni e congressi, senza che nessun Ispettore in nessun verbale di Revisione annuale abbia da denunciare che i principi e gli scopi statutari non siano concretamente realizzati, in primis per i propri soci-lavoratori...e che quindi non siano in realtà cooperative sociali!

E poi ci lamentiamo se la Costituzione Italiana è rimasta una pura enunciazione di principi incompiuti o negati?! E potremmo andare avanti per ore.. E i soci-lavoratori della Coop 29 Giugno oggi non hanno niente da dire sul loro Presidente e CdA , che teoricamente hanno liberamente eletto ? O hanno paura di essere licenziati? O sono stati assunti per vie clientelari o nepotistiche e quindi tacciono ? O godevano di una gestione non-cooperativa ? O non possono neanche oggi farsi valere e sentire per altri motivi?

Stefano Clemente – socio lavoratore cooperativa sociale La Carabattola



---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo da ilfattoquotidiano.it:


Reggio Emilia, la Provincia taglia i progetti per l’assistenza disabili a scuola

A causa della riforma Delrio e delle sforbiciate che il governo ha imposto a Regioni, Provincie e Comuni, la copertura finanziaria è saltata: a partire dall’anno scolastico in corso, Tutor e Tutor Dsa sono stati sospesi. E ora centinaia di ragazzi rischiano di dover saltare un giorno di scuola

di Annalisa Dall'Oca | 13 dicembre 2014

Fino a pochi mesi fa i due progetti finanziati dalla Provincia di Reggio Emilia per favorire l’integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità erano considerati un fiore all’occhiello. Denominati Tutor e Tutor Dsa, infatti, affiancavano ai giovani portatori di handicap, iscritti alle scuole superiori di tutto il territorio reggiano, studenti universitari appositamente formati per aiutarli nelle attività scolastiche ed extrascolastiche, supplendo, almeno in parte, alla mancanza cronica di insegnanti di sostegno che affligge ormai da anni il sistema scolastico nazionale. Tuttavia, sia a causa della riforma Delrio, che ha trasformato le Provincie in enti di secondo livello (che però in Emilia Romagna, per via delle elezioni regionali e del cambio di giunta, sono ancora senza deleghe), sia in seguito ai tagli lineari che il governo ha imposto a Regioni, Provincie e Comuni, la copertura finanziaria per portare avanti i due progetti è venuta meno. Così, già a partire dall’anno scolastico in corso, Tutor e Tutor Dsa sono stati sospesi. E ora centinaia di ragazzi con disabilità rischiano di dover saltare un giorno di scuola.
“Siamo in difficoltà – racconta Sabrina Montanari di Fa.ce, Famiglie Celebrolesi, una delle associazioni reggiane che ha denunciato il problema attraverso la Gazzetta di Reggio – se i tutor in origine erano stati formati per seguire i ragazzi disabili iscritti alle superiori nella fascia pomeridiana, e quindi extrascolastica, quando le scuole si sono rese conto che gliinsegnanti di sostegno non erano sufficienti hanno iniziato a introdurli anche la mattina, altrimenti gli studenti sarebbero dovuti uscire prima da scuola, o rimanere un giorno a casa. Ora, con la sospensione del progetto, questo è ciò che accadrà”.
Gli oltre 300 tutor formati dai due progetti finanziati dalla Provincia di Reggio Emilia con circa 200 mila euro l’anno, infatti,non sono insegnanti, pertanto non possono sostituire in toto i docenti di sostegno. Tuttavia, spiegano le mamme e i papà iscritte alle associazioni Fa.Ce e Gis, Genitori per l’inclusione sociale, “aiutavano”. “Ogni anno – racconta Marisa Buratti, vicepresidente di Fa.Ce – chi ha un figlio disabile deve fare i conti con l’incertezza: quante ore di sostegno avrà mio figlio a scuola? Per quanti giorni, quindi, potrà studiare? Tutto questo perché lo Stato non fa il suo dovere e continua atagliare fondi all’istruzione, trasformando il diritto allo studio in un privilegio. E sempre più spesso noi genitori ci troviamo costretti a bussare alla porta dei presidi dei singoli istituti per chiedere se c’è qualche insegnante che possa seguire i nostri figli”.
Ora che anche i tutor verranno meno, quindi il problema si aggrava. “Reggio Emilia – spiega Ilena Malavasi, assessore all’Istruzione della nuova Provincia – assieme a Modena è la provincia emiliano romagnola con la percentuale più alta di ragazzi disabili iscritti alle scuole superiori, e questo è un dato positivo, perché significa che continuano a studiare. Tuttavia la mancanza di organico di sostegno, a fronte di un aumento costante di studenti che ne avrebbero bisogno, sta generando una difficoltà grave”.
Dieci anni fa la Provincia aveva provato ad andare incontro alle esigenze di scuole e famiglie con il primo progetto Tutor, che coinvolgeva più di 200 studenti universitari, o neolaureati, e altrettanti ragazzi disabili, e successivamente, vista la carenza di insegnanti di sostegno, aveva deciso di implementarlo con Tutor Dsa, nato per supportare i ragazzi dislessici. “Quest’anno però, tra itagli lineari che il governo ha imposto agli enti locali, la Provincia di Reggio, ad esempio, si è vista togliere 30 milioni di euro in tre anni, e l’incertezza determinata dalla riforma Delrio, è venuta a mancare la copertura finanziaria, e siamo stati costretti a sospendere tutte le spese non obbligatorie” racconta Malavasi. In pratica, la Provincia ha lasciato a bilancio solo le uscite necessarie a evitare il dissesto finanziario dell’ente. “Il resto è stato depennato – continua l’assessore – purtroppo siamo ridotti all’osso. Tanto che se la legge di stabilità dovesse imporre nuovi tagli al nostro ente non avremo nemmeno il denaro per pagare il riscaldamento nelle scuole”.
Difficile, quindi, dire se i progetti Tutor e Tutor Dsa saranno riattivati in futuro. “Stiamo tentando, con l’Università di Modena e Reggio, di capire se c’è una via alternativa che non incida sui bilanci dell’ente” spiega Malavasi. Intanto, però, le famiglie guardano a quest’anno scolastico con preoccupazione. “Studiare dovrebbe essere un diritto per tutti i ragazzi – sottolinea anche Elvira Meglioli, segretaria provinciale della Flc Cgil – a prescindere dalla loro condizione, ed è inaccettabile che nel 2014 in Italia ci sia ancora qualcuno che quel diritto se lo debba veder negato. Lo Stato si assuma le sue responsabilità”.
---------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal Giornale di Sicilia:


GIORNALE DI SICILIA 09/12/2014 - LA LOTTA DEGLI ASSISTENTI AI DISABILI SLAI COBAS S.C. PALERMO


Istituti superiori. L'allarme dei sindacati: "Restano le ultime due settimane di lavoro e ancora non abbiamo notizie". Sarebbe la seconda interruzione in due mesi
Scuole, da gennaio niente fondi per i disabili
Le risorse a disposizione garantiranno il servizio fino a dicembre e ad oggi nessuna riprogrammazione è stata fatta
Lo Slai cobas: "Il nuovo commissario straordinario dell'ex Provincia Manlio Munafò si è impegnato a convocare per la prossima settimana un incontro con la nostra organizzazione sindacale e l'assessore Lo Bello".

Il nuovo anno in arrivo porta con sé il rischio di un'ulteriore interruzione dell'assistenza scolastica per gli studenti disabili degli istituti superiori di Palermo e provincia.
L'allarme è lanciato dai sindacati: "Restano le ultime due settimane di lavoro – avverte lo Slai cobas – e ancora non abbiamo notizie delle risorse per gennaio. Temiamo che il servizio non riparta".
I fondi che hanno permesso di assicurare fino a dicembre le attività di assistenza ali alunni diversamente abili delle scuole superiori palermitane stanno per terminare. E a oggi le risorse gestite dall'ex Provincia, prossimo Libero Consorzio, su trasferimenti regionali, non sono ancora state riprogrammate. Motivo per cui, "a gennaio, al rientro dalle feste natalizie, i ragazzi disabili rischiano di non poter frequentare le lezioni, una seconda volta a distanza di due mesi. Così come, anche le varie figure professionali previste per le diverse tipologie di assistenza temono di restare senza lavoro" avverte lo Slai cobas, che, in occasione della cerimonia di insediamento del nuovo commissario straordinario dell'ex Provincia, avvenuta giovedì scorso, ha indetto un sit-in di protesta davanti a Palazzo Comitini per riportare sotto gli occhi dell'appena nominato Manlio Munafò la vicenda dell'assistenza scolastica agli studenti con disabilità. "Il commissario ha condiviso la necessità di una soluzione definitiva del problema e per questo – fanno sapere dal sindacato -, preso atto dei nostri precedenti incontri con l'assessore regionale alla Formazione, Mariella Lo Bello, sia per il reperimento dei fondi necessari anche da gennaio che per la riqualificazione di tutto il personale assistente igienico-personale, si è impegnato a convocare per la prossima settimana un incontro tra la nostra organizzazione sindacale, la Lo Bello e la stessa Provincia".
Se non verranno stanziati a breve nuovi fondi, insomma, il rischio di un nuovo stop del servizio c'è tutto. Il contratto degli operatori professionali è valido, infatti, sino a fine dicembre e poi, conclusa la pausa natalizia, dovrebbero – risorse permettendo – tornare al lavoro con nuove forme contrattuali, "si spera fino a giugno" spiegano.
Il servizio prevede al suo interno diverse attività: dall'assistenza igienico-sanitaria e alla comunicazione e il trasporto, fino ai laboratori e centri extrascolastici diurni per la riabilitazione e il doposcuola dei giovani disabili.
A preoccupare gli operatori igienico-sanitari, inoltre, è l'introduzione del più recente assistente all'autonomia. Una figura riconosciuta da alcune sentenze dei giudici emesse dopo i ricorsi al Tar da parte di alcuni genitori che l'hanno richiesta e che, di fatto, ha mansioni simili a quelle degli operatori igienico-sanitari: "C'è il timore – aggiungono gli operatori dello Slai Cobas – che le risorse prima destinate agli igienico-sanitari vengano ora destinate a queste nuove figure. Ma queste ultime, arrivate nelle scuole in via del tutto sperimentale, non possono adesso cancellare le altre. Piuttosto occorre garantire entrambe."

Il Giornale di Sicilia  9 dicembre 2014

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Parma, possibili tagli a servizi disabili. Pizzarotti: ‘Problema creato da Roma’























































Centinaia di famiglie ed educatori sul piede di guerra contro l'ipotesi di riduzione dei finanziamenti dall'anno prossimo. Presidio sabato 6 dicembre sotto il Municipio. E il sindaco attribuisce la responsabilità alla legge di stabilità


Mentre i riflettori della stampa nazionale sono tutti puntati suParma e sull’incontro Cinque stelle del 7 dicembre organizzato da Federico Pizzarotti, cittadini e forze di opposizione riportano l’attenzione del sindaco sui problemi che riguardano la comunità parmigiana. Centinaia di famiglie ed educatori da giorni promettono guerra al primo cittadino per i tagli che dal prossimo anno potrebbero interessare i servizi di integrazione scolastica perdisabili.
Il bando per l’affidamento del servizio era già stato pubblicato ad agosto dal Comune, ma il settore Welfare dell’amministrazione ha ritirato la procedura a causa della mancanza di risorse. L’amministrazione aveva previsto infatti una spesa complessiva di oltre 4,5 milioni di euro per il 2015 e il 2016, ma a metànovembre tutto si è bloccato. A causa della legge di stabilità 2015 in discussione a Roma, spiega il direttore del settore finanziario delComune, non è possibile procedere a stipulare contratti che poi potrebbero non avere copertura. A confermare il taglio è stata l’assessore al Welfare Laura Rossi, che però ha promesso che l’appalto che ora garantisce i servizi sarà prorogato per alcuni mesi.
Le famiglie però non ci stanno e in vista di previsioni ancor più nere per il futuro hanno organizzato insieme ailavoratori che si occupano diintegrazione scolastica un presidio per sabato 6 dicembre sotto il Municipio per “difendere i diritti”. Da gennaio, spiegano, “potrebbe essere interrotto il servizio, lasciando le famiglie con disabili prive di supporto e decine di educatori di sostegno senza lavoro”. Alla protesta si sono aggiunti i sindacati e i lavoratori dei servizi educativi del Comune e della società Parma Infanzia, che ha unappalto decennale in scadenza con l’amministrazione, che chiedono di aprire un tavolo di confronto sul futuro. Qualcuno minaccia addirittura di protestare durante l’incontro dei Cinque stelle di domenica, nel quale sono attesi oltre 300 eletti delMovimento da tutta Italia, tra parlamentari, consiglieri e sindaci.
Pizzarotti da parte sua scarica le responsabilità su Roma e sulla nuova legge di stabilità, che toglierebbe al bilancio del Comune di Parma circa 20 milioni di euro, “mettendo a serio rischio i servizi essenziali alla persona”, come quello dell’integrazione scolasticaper gli alunni con disabilità. Il sindaco ha incontrato i sindacati e ha spiegato che l’obiettivo è quello di mantenere il servizio, promettendo incontri con educatori, insegnanti e famiglie il prossimo gennaio.
“Vogliamo risolvere un problema che, come al solito, viene creato aRoma, ovvero lontano dai bisogni reali dei parmigiani. Quando denuncio i continui tagli del governo – fa sapere Pizzarotti, chiedendo alle famiglie e ai soggetti coinvolti di fare fronte comune – Non lo dico tanto per dire, ma per lanciare un allarme: la scure si abbatte sui servizi essenziali alla persona, cancellando pezzo dopo pezzo tutti i diritti acquisiti in questi anni”.
L’opposizione e i sindacati però non la vedono così: “E’ troppo comodo scaricare le colpe sugli altri, prendendosela con i tagli del governo, quando invece si tagliano i servizi essenziali revocando un bando” accusa il segretario del Pd cittadino Lorenzo Lavagetto Pizzarotti, mentre Roberto Ghiretti di Parma Unita ha suggerito di togliere da altri progetti meno urgenti le risorse che mancano al servizio disabili. “Meglio sarebbe – aggiunge il neo consigliere regionale Lega Nord Fabio Rainieri – che Capitan Pizza invece di voler insegnare come si fa a governare il territorio agli altri, si mettesse seriamente a risolvere i problemi della città e a non crearne altri, come invece sta facendo”.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:


Mafia capitale, bufera coop sociali. Legacoop sospende Buzzi e altri 4

Paola Menetti e Pino Bongiorno, responsabili nazionale e laziale di Legacoopsociali parlano di offesa a tutto il mondo delle cooperative: “Chiediamo alla magistratura di accertare rapidamente e fino in fondo ogni responsabilità”

03 dicembre 2014
ROMA – Bufera nel mondo delle cooperative sociali dopo la notizia dall’inchiesta “Mafia Capitale”, che coinvolge molti degli attori impegnati nel mondo dell'associazionismo e in particolare nell'accoglienza ai migranti. Secondo l'indagine, portata avanti dal procuratore Giuseppe Pignatore, a Roma esiste una vera e propria organizzazione mafiosa, che oltre all'estorsione e all'usura è dedita al business nato intorno all'emergenza immigrazione. In particolare, in un fascicolo dell'indagine, che parte da Massimo Carminati, ex Nar e a capo, secondo gli inquirenti di una vera e propria cupola, si fa il nome di Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa 29 giugno, aderente a Legacoop e fondata da un gruppo di ex detenuti di Rebibbia nel 1985. Sarebbe stato lui a prendere ordini da Carminati e a fare da tramite con le istituzioni per la spartizione del business dell'accoglienza. In un'intercettazione è il presidente della 29 giugno a dire candidamente : “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”.
Questa mattina Legacoopsociali ha deciso di prendere le distanze dai responsabili coinvolti nell’indagine della magistratura e di sospendere tutti gli operatori. InnanzituttoSalvatore Buzzi, presidente della 29 giugno, ma anche Carlo Maria Guarany, Alessandra Garrone, Paolo Di Ninno e Franco Cancelli, di cooperative collegate alla 29 giugno, nel mirino degli inquirenti. Tutti sono arrestati e indicati come organici all’associazione a delinquere di stampo mafioso che emerge dall’inchiesta romana. Ma il colpo per tutto il mondo della cooperazione sociale è durissimo. In un comunicato congiunto Legacoopsociali nazionale e Legacoopsociali Lazio esprimono “sdegno e sgomento dei cooperatori sociali per quanto va emergendo a Roma”. “I fatti che gli organi di informazione stanno riportando sono di  gravità intollerabile - dichiarano Paola Menetti, Presidente di Legacoopsociali nazionale e Pino Bongiorno, Presidente di Legacoopsociali Lazio -Riaffermiamo la distanza della cooperazione, dell’idea cooperativa, dell’esperienza della cooperazione sociale da tutto questo cumulo d’illegalità. Confermiamo e ribadiamo l’impegno che ci ha portato a sottoscrivere il “Patto per la legalità e il contrasto all’economia criminale”.
Mentre si attende di sapere i nuovi particolari dell'inchiesta, Legacoopsociali chiede alla magistratura "di accertare rapidamente e fino in fondo ogni responsabilità. Simili fatti, ove confermati, non sono compatibili con l’essere cooperatori sociali, e offendono in primo luogo la realtà quotidiana, faticosa ed onesta  delle cooperative sociali che a Roma come in tutto il Paese svolgono un ruolo fondamentale e preziosissimo di servizio e di solidarietà, e non possono vedere ingiustamente lesi la reputazione e l’onore. Con lo stesso spirito, il nostro pensiero e il nostro sforzo va a sostegno degli oltre mille soci-lavoratori e delle loro famiglie che sono occupati nelle cooperative coinvolte”.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo articolo dal sito superando.it:

L’inclusione va garantita, non c’è scarsità di fondi che tenga!

Lo ha sancito una Sentenza della Corte di Cassazione, che respingendo il ricorso di un istituto scolastico e del Ministero dell’Istruzione, ha stabilito tra l’altro che «una volta determinato il Piano Educativo Individualizzato e prospettato un numero di ore necessario per il sostegno, non vi è facoltà da parte dell’amministrazione scolastica di modificare in alcun modo la misura del supporto, neanche in ragione di scarsità di risorse»
«Questa è una grande vittoria per tutte le alunne e alunni con disabilità, e per le loro famiglie, che ogni anno vedono diminuire le ore di sostegno scolastico e che, ogni anno, devono ricorrere ai giudici per vedersi riconoscere dei diritti indissolubili, come il diritto all’istruzione».
Viene commentata così, da Nina Daita, responsabile dell’Ufficio Politiche per le Disabilità della CGIL, la Sentenza n. 25011, depositata il 25 novembre scorso dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso presentato da un istituto scolastico e dal Ministero dell’Istruzione, dopo che quest’ultimo era stato condannato dalla Corte d’Appello di Trieste a risarcire i genitori di un’alunna con disabilità per il taglio delle ore di sostegno, da 25 a 6 (e successivamente 12).
Particolarmente importanti i princìpi stabiliti dalla Suprema Corte, i cui Giudici hanno sostanzialmente evidenziato la condotta discriminatoria attuata dalle Istituzioni scolastiche, perché «il diritto all’istruzione è parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei diritti dei disabili, per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo e l’inclusione della persona umana con disabilità».
In tal senso, si legge nella Sentenza, «una volta determinato il Piano Educativo Individualizzato [PEI, N.d.R.], e prospettato un numero di ore necessario per il sostegno, non vi è facoltà da parte dell’amministrazione scolastica di modificare in alcun modo la misura del supporto, neanche in ragione di scarsità di risorse [grassetto nostro nella citazione, N.d.R.]».
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito disabili.com:


Alunni disabili: a Milano mancano gli assistenti ma la provincia non sblocca i fondi



Centinaia di allievi senza assistenza educativa dall’inizio dell’anno scolastico faticano a seguire le lezioni: dove sono finiti i fondi?

Nelle scuole superiori di Milano circa 400 alunni sono costretti a saltare ore di lezioni perché l’assistente ad personam non è stato loro ancora assegnato. Non sono autonomi nell’autonomia e nella comunicazione e necessitano di assistenza educativa per numerose azioni scolastiche quotidiane. In mancanza di tale supporto, purtroppo, troppo spesso i genitori sono costretti a decidere di lasciare i propri figli a casa in attesa che la risorsa venga attivata.

Perché a due mesi dall’inizio dell’anno scolastico gli assistenti non sono stati ancora assegnati? Chi ha la responsabilità del loro reclutamento?

La procedura prevede che nella certificazione e nella Diagnosi Funzionale venga riconosciuta la necessità di questa figura di assistenza. Il Dirigente Scolastico deve quindi inoltrare la richiesta all'Ente Pubblico locale di riferimento: il Comune per la Scuola dell'Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado e la Provincia per la Secondaria di Secondo grado, come previsto dall'art. 139 del Decreto Legislativo n. 112/1998. La figura professionale specifica viene infine individuata dall’ASL di riferimento.

Nel caso delle Scuole Secondarie di Milano, quindi, l’ente pubblico di riferimento è la Provincia. Secondo la Lega per i diritti delle persone con disabilità (Ledha) lo scorso anno scolastico la Provincia di Milano, in ristrettezza di risorse, ha ricevuto dalla Regione oltre 2 milioni di euro, dei quali sarebbero ancora da utilizzare circa 500 mila euro. Vi sarebbero quindi risorse sufficienti per garantire il servizio per i prossimi mesi; queste risorse, però, non sono state al momento stanziate, poiché sarebbero state utilizzate, invece, per il raggiungimento di equilibri di bilancio. La notizia sarebbe stata confermata anche dalla Camera del Lavoro di Milano che nei giorni scorsi aveva diffuso una nota in cui denunciava l’uso improprio di fondi destinati alle persone con disabilità per coprire i buchi nel bilancio.

Se la notizia fosse confermata, si legge in un comunicato della Ledha saremmo di fronte a un episodio gravissimo, i cui responsabili potrebbero, eventualmente, rispondere anche davanti alla Procura. Chiediamo alla Provincia di Milano di dare immediati chiarimenti in merito e che venga immediatamente attivato il servizio di assistenza ad personam per quelle centinaia di ragazzi che, in questi mesi, non hanno potuto frequentare le lezioni.

Non possiamo che condividere tale richiesta ed augurarci l’immediatezza del ripristino di un servizio essenziale, finalizzato, ricordiamo, a garantire l’esercizio del diritto all’istruzione, sancito dalla nostra Costituzione.



-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

La "settimana calda" della disabilità: tre manifestazioni in quattro giorni

Si inizia domani, con il Comitato 16 novembre che torna in piazza a chiedere 1 miliardo per la non autosufficienza e un Piano nazionale. Lo steso giorno, Fish e Fand incontrano il ministro Poletti. Il 5 tocca a Tutti a scuola, l’8 ai malati rari

03 novembre 2014
ROMA - Il mese di novembre si apre con una settimana “calda” per la disabilità: tre manifestazioni in tre giorni, a Roma, promosse da diverse associazioni. E, in più, altre associazioni sedute al tavolo con il ministro Poletti, per discutere e provare a raggiungere un accordo sul tema critico del Fondo non autosufficienza. Si inizia domani, con il doppio appuntamento in piazza e nel palazzo: in presidio, sotto il ministero delle Finanze, ci sarà il Comitato 16 Novembre, a rivendicare un miliardo di euro da destinare al fondo e, soprattutto, un Piano nazionale per la non autosufficienza, finalizzato alla domiciliarità. Il comitato ha declinato l’invito del ministro del Lavoro Poletti, che ha convocato le associazioni, per il primo pomeriggio, proprio sulla questione del Fondo per la non autosufficienza. Invito accolto, invece, dalle associazioni Fish e Fand, che pure, nei giorni passati, hanno lanciato l’allarme per l’ulteriore taglio previsto dalla legge di stabilità, minacciando una mobilitazione qualora le loro richieste non fossero accolte. 
Il giorno successivo, il 5 novembre,sarà invece la volta di Tutti a scuola, l’associazione di genitori di alunni disabili capitanata da Toni Nocchetti, che si dà appuntamento in piazza Montecitorio “per costringere una politica muta, sorda e cieca a occuparsi dei disabili” e per consegnare al governo le lettere dei genitori. Tante le carenze denunciate dall’associazione, in ambito di inclusione scolastica: insufficienza del sostegno, inadeguatezza delle strutture, mancanza di continuità didattica. 
Appena tre giorni dopo, l’8 novembre, di nuovo la disabilità scenderà in piazza, questa volta con la “Via crucis dei malati rari, da piazzale Numa Pompilio a piazza Castellani: una marcia “laica e pacifica in sette tappe”, promossa dal Movimento italiano malati rari, per denunciare le carenze e le criticità del Piano nazionale, approvato il 16 ottobre scorso dalla Conferenza Stato-Regioni. “Il nuovo piano è infatti ricchissimo di buone intenzioni – spiega il presidente del Mir, Claudio Buttarelli - ma completamente privo di impegni ‘definiti’ sia nei tempi di realizzazione che di individuazione di risorse da allocare per il raggiungimento degli obiettivi”. 
Appuntamenti diversi, quindi, con associazioni diverse e ragioni in parte differenti, ma un forte denominatore comune: la richiesta di un’attenzione reale e concreta alla disabilità e risposte adeguate ai bisogni e ai problemi che questa pone ai malati e alle loro famiglie. Un denominatore comune che, secondo qualcuno, sarebbe dovuto bastare per costruire un’azione condivisa, in cui unire le forze per far sentire più forte la propria voce. “Tre manifestazioni  in quattro giorni – commenta Maria Simona Bellini, presidente del Coordinamento famiglie disabili gravi e gravissime - Tutti ben divisi tra diverse patologie e altrettanto diverse associazioni, tutti convinti probabilmente che il proprio diritto è più diritto degli altri, che le proprie richieste sono più giuste di quelle degli altri”. (cl)
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Legge stabilità: l’indicibile vergogna del taglio ai fondi per i non autosufficienti


Giustamente Franco Bechis su Libero due giorni fa faceva notare cheil premier quest’estate aveva fatto tanto parlare di sé per il video in cui si versava un secchio di acqua gelata in testa, aderendo alla campagna “Ice bucket challenge, la maratona mondiale di raccolta fondi per la Sla. Molti allora avevano sottolineato come Renzi fosse l’unico capo di governo a essersi fatto la doccia. Noi lo aspettavamo al varco, visto che le sceneggiate sono una cosa, lepolitiche sociali un’altra. Siccome poi lui non fa l’attore in una soap opera ma il presidente del Consiglio, se voleva davvero fare qualcosa poteva preoccuparsi di assicurare i finanziamenti alle attività di assistenza e cura ai disabili, persone che fanno un’enorme fatica a vivere, tutto il giorno e tutti i giorni. Ebbene, abbiamo avuto una risposta.
Ecco cosa recita l’articolo 17 della legge di Stabilità: “Lo stanziamento del Fondo per le non autosufficienze, ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, è incrementato di euro 250 milioni a decorrere dall’anno 2015”. Incrementato? Sì certo, perché ogni anno si riparte da zero. Peccato però che nel 2014 i milioni di euro stanziati fossero 350. E dunque il saldo è negativo e di ben 100 milioni. Ora, è poco interessante dire che un governo di sinistra dovrebbe occuparsi prima di tutto di chi ha più bisogno, degli ultimi, degli svantaggiati (e poi: si veda, al riguardo, la Costituzione, in più punti). È più semplice così: in un Paese civile, cosa che l’Italia ha naturalmente la presunzione di essere, chi è malato e in difficoltà dovrebbe avere più diritti e servizi degli altri.

L’associazione Tutti a scuola (www. tuttiascuola. org), insieme a il Fatto Quotidiano, ha lanciato una campagna per raccoglieresegnalazioni di scuola negata. Sui social – gentile premier tuìttatore – la campagna ha avuto una grandissima diffusione: oltre 12 mila condivisioni su Facebook e Twitter, anche grazie all’aiuto di programmi che hanno dato spazio all’argomento, sia in radio che in tv. In cinque settimane sono arrivate centinaia di segnalazioni, e non solo dal Sud. Il 5 novembre davanti a Montecitorio – dalle 11 alle 15 – si terrà una manifestazione con un presidio e la consegna del dossier al governo. È sperabile che di fronte ai ragazzini in carrozzella che chiedono SOLO di poter andare a scuola, premier, ministri e parlamentari non si girino dall’altra parte. Non fosse altro che per una questione di umanità e di responsabilità, parola completamente scomparsa dal vocabolario della politica. La qualità di una democrazia si giudica da queste scelte. E l’unica doccia gelata degna di nota è quella che hanno avuto le famiglie dei disabili alla notizia dell’ennesimo taglio sulla loro pelle.
---------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito disabili.com:


Legge di stabilita' e fondi sociali. La Fish chiama Renzi a discutere sui tagli



Fish: "Il già inadeguato Fondo per le non autosufficienze subirà un taglio di 100 milioni"

Il testo della Legge di Stabilità 2015 da 36miliardi di Euro prevede novità non solo per quanto riguarda il tfr in busta paga, detrazioni fiscali e bonus a neomamme, ma anche sul fronte della riduzione delle risorse pubbliche, andando ad incidere sui fondi sociali. Lo dice la Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) che in una nota chiama  discuterne lo stesso Premier Renzi.

LA SPESA SOCIALE IN ITALIA - Su questo interviene dunque la Fish in una nota dove ricorda che l'ISTAT certifica che in Italia la spesa sociale per la disabilità è inferiore di mezzo punto di PIL rispetto alla media UE di 2,1%. In Italia la spesa pro capite è di 423 euro l'anno: la media UE è di 536. In Germania se ne spendono 277 in più, in Croazia 100. Il divario rispetto alla UE è di circa 8 miliardi di euro. Se osserviamo gli effetti pratici ciò significa esclusione sociale, marginalità,impoverimento progressivo delle persone con disabilità e dei loro familiari che spesso sono gli unici caregiver, in un'assenza di politiche certe e strutturate.

I TAGLI NELLA FINANZIARIA - Ed ecco arrivare, in questo panorama già desolante, la novità della finanziaria.Per il 2015 - afferma la FISH - il già inadeguato Fondo per le non autosufficienze subirà un taglio di 100 milioni. Passa a 250 milioni. Esangue rimane anche il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali: 300 milioni. Si aggiungano allo scenario i tagli agli Enti locali e la prospettiva in termini di servizi risulta davvero tetra per milioni di italiani.Così Vincenzo Falabella, Presidente Fish: "È un segnale molto grave e ciò al di là dei numeri. Il Governo Renzi sostiene l'utilità di 'rompere' o allentare il patto europeo sull'austerity, ma non intende ridurre lo spread sulle spese sociali per la disabilità, una delle principali cause di impoverimento. Al contrario restituire diritto di cittadinanza attraverso l'inclusione sociale alle persone con disabilità significa liberare energie sia dei diretti interessati che dei loro familiari. Non siamo certo gli unici a sostenere che le minoranze liberate dalla condizione di discriminazione producono sviluppo economico. Quello sulla disabilità è un investimento e non una spesa."

RICADUTE DIRETTE SUI CITTADINI CON DISABILITA' -  Questo taglio è doppiamente grave perché dimostra una logica che non è né di uguaglianza né di sviluppo. Mantiene e respinge le persone nell'esclusione e nella segregazione anziché liberare energie, afferma la Fish. Fish che fa esempi concreti per far capire cosa significherebbero, nel concreto, tagli a queste risorse: Liberare energie significa restituire opportunità ai 200mila studenti con disabilità nella scuola e nell'università. Significa far uscire dai centri diurni, da quelli riabilitativi, dalle RSA, dagli istituti le centinaia di migliaia di persone con disabilità che vi sono confinate. Significa offrire loro strumenti anche per l'autodeterminazione, verso l'inclusione, lontano dalla segregazione. Significa consentire alle persone di poter scegliere dove e come vivere senza che siano costretti in luoghi e soluzioni "speciali".
"Il percorso di vita indipendente necessita del sostegno e dei servizi tipici del welfare che facilitino il percorso di autonomia e libera scelta. Il welfare di domani deve essere la liberazione di energie oltre che buona occupazione per chi ci lavora. Su questi temi sfidiamo il Governo: contro l'ingiustizia e per lo sviluppo. Dalla carità all'investimento."

ASSOCIAZIONI A UN TAVOLO DI CONFRONTO - Il 23 ottobre la FISH, assieme a FAND e al Comitato 16 novembre, sono invitate ad un tavolo presso cui saranno presenti tre sottosegretari (Politiche sociali, Salute, Economia e Finanze). Il tema è appunto il Fondo per le non autosufficienze 2015. "Verosimilmente ci verrà notificato il taglio del Fondo - annota Falabella - già noto a chiunque abbia letto la bozza della legge di stabilità. A quegli interlocutori non potremo che esprimere la nostra decisa contrarietà e l'intento di attivare una decisa mobilitazione. Riteniamo che il Fondo per le non autosufficienze debba essere portato, nel giro di tre anni, ad un miliardo di euro. Ma analoga sorte debba essere prevista anche per il Fondo per le politiche sociali."


APPELLO A RENZI - Ma le richieste di FISH non si limitano al tema delle risorse, ma ad una più profonda azione politica per l'inclusione delle persone con disabilità. "Con tutto il rispetto per il ruolo dei tre sottosegretari crediamo che vista l'estrema urgenza e rilevanza dei temi e delle prospettive in gioco debba intervenire direttamente ilPresidente del Consiglio Matteo Renzi, del quale chiediamo pubblicamente la presenza al tavolo del 23 prossimo."

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo da "La nuova venezia":


Il direttore: «Non avevamo scelta». Il 28 ottobre vertice all’Ufficio provinciale del lavoro Coop Ancora, undici licenziamenti in vista
MESTRE Il passaggio dalla Cooperativa Ancora alla Fondazione composta da Ire e Antica Scuola dei Battuti, che gestisce ora per il Comune il servizio di assistenza domiciliare, porta in dote undici esuberi. La conferma è arrivata ieri attraverso i sindacati e la stessa cooperativa. Giovedì è stata annunciata e avviata la procedura di mobilità per undici operatori del servizio nel corso di un incontro tra i rappresentanti della stessa Ancora, la Uil e l’Usb. Non erano presenti Cgil e Cisl. «Non avevamo altra scelta», assicura il direttore della cooperativa, Luca Mogianesi. «Ci siamo trovati di fronte a undici contratti che avevamo ereditato per l’assistenza domiciliare dalla cooperativa che ci aveva preceduti in questo appalto. Il problema è che la Fondazione che segue adesso il servizio non ha intenzione di assorbire questo personale. Abbiamo anche provato a trovare delle soluzioni alternative, ma dal momento che ci rimane solo l’appalto per il settore educativo, non riusciamo a inserire quelle undici figure in questo servizio per una semplice questione di competenze ed esperienze. Un’addetta amministrativa siamo riusciti a “salvarla”, ma per questi undici non c’era scelta». Il 28 ottobre coop e sindacati si ritroveranno all’Ufficio provinciale del Lavoro, e valuteranno la possibilità della cassa integrazione a zero ore, un modo per tentare di salvaguardare questi lavoratori in altro modo. Dalla Uil Fpl il segretario provinciale Pietro Polo è critico. «Ho chiesto alla cooperativa e alla Fondazione di trovarci per verificare questi esuberi, da parte del sindacato era indispensabile non avere perdite di posti lavoro con questo passaggio nella gestione del servizio di assistenza domiciliare. Operazione conclusa invece con due effetti negativi: posti di lavoro persi e stipendi più bassi. Con quest’ultimo aspetto legato al fatto che per garantire lavoro per tutti si è abbassato da 38 a 30 il monte ore per ciascun addetto. Prima prendevano 1200 euro al mese, ora ne percepiranno 850 se andrà bene. Lunedì si vedrà con il primo stipendio». Simone Bianchi
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:


Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali chiede al governo di inserire in finanziaria la programmazione fino al 2017: il Fondo non autosufficienza passerebbe da 350 a 600 milioni. Il Fondo politiche sociali da 400 milioni (2015) a 1 miliardo fra tre anni
Una programmazione triennale del Fondo per la non autosufficienza e di quello per le politiche sociali, per gli anni 2015, 2016 e 2017: è questa la richiesta che il ministero del Lavoro ha rivolto al governo come "priorità da inserire nella legge finanziaria": a riferirlo è la sottosegretaria al Lavoro e alle politiche sociali.Nel dettaglio, "chiediamo che il fondo politiche sociali sia finanziato con 400 milioni nel 2015, 600 milioni nel 2016 e 1 miliardo di euro nel 2017".
Per quanto riguarda il Fondo non autosufficienza, nel 2015 l'importo resterebbe lo stesso del 2014, cioè 250 milioni, mentre "salirebbe a 400 milioni nel 2016 e a 600 nel 2017. "Abbiamo rivolto questa chiara richiesta al governo – spiega Biondelli – pur con tutte le difficoltà che abbiamo. Ma consideriamo questa una priorità e siamo fiduciosi di trovare risorse. Una programmazione triennale di questi fondi permetterebbe anche a regioni e comuni di organizzare una risposta sociale più adeguata ai bisogni, senza dover ogni anno fare la rincorsa per racimolare i soldi. Ricordiamo che siamo partiti da zero – osserva Biondelli – e da un'attenzione scarsissima alle politiche sociali. Il governo sta facendo sforzi enormi e, da parte nostra, chiediamo che un'attenzione particolare sia rivolta a famiglia, non autosufficienza e politiche sociali, all'interno della Finanziaria. Siamo fiduciosi che riceveremo una risposta positiva. E forse già stasera, in consiglio dei ministri, inizieremo a parlarne concretamente".
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dall'agenzia di stampa DIRE:


COMUNE BOLOGNA. USB: DIFFAMÒ NOSTRO DELEGATO, FACCIAMO CAUSA
"PUBBLICÒ COMUNICATO OFFENSIVO, MA LA NOSTRA DENUNCIA ERA VERA"
(DIRE) Bologna, 8 ott. - Il Comune di Bologna non rimuove dal web
un comunicato giudicato offensivo e l'Usb (Unione sindacale di
base) decide di querelare per diffamazione il sindaco Virginio
Merola e l'ufficio stampa di Palazzo D'Accurs9io. Lo rende
noto,.oggi in conferenza stampa a Bologna, Marco Martucci,
educatore e delegato Usb.
La vicenda e' iniziata a luglio, quando Martucci, sul suo blog
altrepozzanghere.com, ha denunciato che a un bambino disabile del
Quartiere Porto era stato negato il trasporto al centro estivo
"Monterumici". Tre giorni dopo, racconta Martucci, "il servizio
e' stato attivato, ma il Comune ha emesso un comunicato con cui
mi accusava di aver 'del tutto strumentalmente utilizzato la
vicenda per screditare l'amministrazione' e chiedeva alla
cooperativa per cui lavoro di prendere provvedimenti nei miei
confronti". Oggi, il delegato Usb e il suo avvocato Danilo
Camplese spiegano che "il procedimento disciplinare c'e' stato ma
si e' risolto con un nulla di fatto, perche' i genitori del
bambino hanno confermato la versione dei fatti data da Martucci".
A quel punto lui e l'Usb hanno chiesto al Comune, senza successo,
di rettificare quanto scritto nel comunicato. Ora, dal momento
che il testo, giudicato diffamatorio dall'Usb, e' ancora in rete,
il delegato e il sindacato hanno deciso di querelare il sindaco e
l'ufficio stampa del Comune.
(Ama/ Dire)
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Disabilità: caro educatore, nessuno può toglierti la dignità


Quanto scrivo vuole essere un piccolo riconoscimento ad una delle figure più importanti, ma anche meno valorizzate, che il nostro sistema scolastico e di assistenza sociale possiede: l’educatore. Professione di cui  si parla poco, ma che risulta essenziale per i  bambini e gli adulti con disagio fisico e/o psichico.
Sono stato, io per primo, educatore per tanti anni e conosco bene gli inconvenienti del mestiere, un esercito di persone qualificate sottopagate e spesso ai margini delle scelte decisionali che riguardano il benessere dei loro assistiti. Basti pensare a come, nel corso degli anni, nelle scuole gli educatori e gli insegnanti di sostegno cambino per necessità burocratiche, non garantendo quel che, per il bambino, dovrebbe essere un diritto ossia una o più figure educative di riferimento che assicurino costanza nella relazione e nella tipologia di intervento. Ogni nuovo anno scolastico educatori e bambini si possono trovare facilmente in situazioni relazionali diverse dal precedente, dovendo partire da zero.
Lavorare con la disabilità non è semplice, le emozioni del professionista (tale è e tale deve essere considerata la figura dell’educatore) si sviluppano lungo tre direzioni in costante collegamento tra loro:
  • la fatica del lavoro in sé;
  • le emozioni suscitate dalla disabilità in sé;
  • le emozioni suscitate dalla propria capacità di stare con quel tipo di disabilità.
Quando si parla di emozioni, bisogna essere in grado di riconoscerle e di saperle gestire e, se per la maggior parte delle persone questo può essere purtroppo un optional,  chi lavora nellerelazioni di aiuto non può permettersi di trascurare questo aspetto o lo stress porterà ad una demotivazione tale da non consentire un adeguato svolgimento delle proprie mansioni (burn-out).
In ogni relazione di aiuto c’è una persona bisognosa di quell’aiuto ed un’altra che deve essere in grado di offrirlo. Non è un rapporto paritario, in termini di potere, ma lo scopo è ridurre, quanto più possibile, questa asimmetria. Molto cambia a seconda dei bisogni di chi si trova a chiedere un aiuto, ma l’obiettivo rimane sempre un esercizio del potere che costituisca un empowerment e una risorsa per l’altro, mai una costrizione.
Prendersi cura nell’ambito della disabilità è dare la possibilità ad una persona, qualsiasi sia il suo livello di compromissione, di essere quel che può essere, partire dal suo deficit per pensarlo come individuo. L’educatore si fa strumento di elezione perché il suo assistito possa esperire, sperimentare, sentirsi protetto a partire dalla disabilità che lo rende unico. Il disabile, a quel punto, può essere ciò che può, comunque parte attiva in una relazione della quale non è mero usufruitore.
Martin Heidegger, filosofo tedesco, nel suo libro “Essere e Tempo” a proposito della dimensione della cura scriveva :”L’aver cura può in un certo modo sollevare gli altri dalla cura, sostituendosi loro nel prendersi cura, intromettendosi al loro posto… Gli altri risultano allora espulsi dal loro posto, retrocessi, per ricevere, a cose fatte e da altri, già pronto e disponibile, ciò di cui essi si prendevano cura, risultandone del tutto sgravati… Gli altri possono essere trasformati in dipendenti e in dominati, anche se il predominio è tacito e dissimulato”  
Questo è quel che l’educatore è chiamato ad essere ben attento a non fare, sostituirsi nei bisogni e nelle scelte di un soggetto in difficoltà, altrimenti si blocca la possibilità della persona di esperire da sé anche quello che è in grado di esperire. Cura è protezione, non sostituzione, essa non deve limitare l’autonomia, ma agevolarla.
Ecco perché caro educatore, io so quanto sia difficile tutto questo, so quanto di tutto quello che fai non ti venga riconosciuto, so come il sistema ti remi contro, ma so anche quanto sia necessario il tuo intervento ed in esso sta tutta la dignità che nessuno potrà mai toglierti.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito clashcityworkers.org:


[Caserta] Operatori Socio Sanitari in agitazione


Lo andiamo ripetendo da tempo: quelli che in tutte le salse ritornellano che la crisi ha colpito in maniera generalizzata e che tutti dobbiamo stringere la cinghia non ci convinceranno mai.
E la mobilitazione degli operatori socio sanitari di Caserta e di diversi comuni circostanti è l'ennesima dimostrazione che la crisi e chi la sta orchestrando ci vede benissimo e sa dove colpire.
Dopo una settimana passata in stato di agitazione, il 23 settembre gli OSS hanno sospeso il lavoro, lasciando senza cure decine di malati e anziani bisognosi delle loro cure.
La ragione della protesta è presto detta: è da sedici mesi che il lavoratori della Coop "Angeli della vita" non percepiscono lo stipendio.
E la loro condizione non è di certo una rarità: nella stessa area altre due cooperative (la Demetra e la Melampo, che si occupano di assistenza domiciliare ai disabili e della gestione di una struttura residenziale intermedia) non pagano gli stipendi rispettivamente da 18 e da 4 mesi. Da parte loro, le cooperative passano la palla agli enti locali, i quali non verserebbero le quote loro spettanti, impedendo alle cooperative di pagare i lavoratori.
E' per questo che la protesta degli operatori si è diretta al Comune di Caserta, cercando (inutilmente) di farsi ricevere per ottenere risposte che per il momento ancora tardano ad arrivare. 
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:


MINORI NON ACCOMPAGNATI: "COMUNI E COOP SOCIALI AL COLLASSO"


«Sono 10.000 (9.820 per l'esattezza) i minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia nei primi otto mesi del 2014 e i costi sono stati anticipati dalle cooperative sociali impegnate in prima linea per garantirne l'accoglienza nonostante il continuo balletto sulle competenze e sulle risorse a disposizione nei territori. Ora siamo al collasso in tutt'Italia, soprattutto, in Sicilia dove arriva la maggior parte dei minori. Le istituzioni facciano velocemente e meglio la loro parte». È Giuseppe Guerini, portavoce dell'Alleanza Cooperative Sociali, a lanciare l'allarme sulle grandi difficoltà che le cooperative sociali hanno nel continuare a garantire i servizi.
«Cambiamo registro. Usciamo dalla logica dell'emergenza che produce solo un quadro confuso dove i Comuni, e con essi le cooperative sociali, sono lasciati soli, a gestire l'accoglienza di flussi migratori di portata eccezionale e continua. Oggi – aggiunge Guerini – non esiste nessuna procedura per l'accoglienza diffusa dei minori stranieri non accompagnati, né sono state programmate iniziative adatte, nonostante i Fondi Europei 2014-2020 e tutti quelli non spesi della precedente programmazione. Così mentre perdiamo le risorse europee per incapacità di programmazione e di spesa, i costi gravano sui Comuni e le cooperative sociali anticipano e fanno da cassa allo Stato».
«Chiediamo che venga garantita un'immediata copertura finanziaria per le comunità di minori – aggiunge Guerini – Le cooperative sociali non possono far tutto da sole in un quadro legislativo e di competenze confuso e dalle risorse incerte. In materia di minori non accompagnati la Camera dei Deputati sta lavorando al ddl per assicurare protezione e accoglienza, bisogna approvarlo al più presto per realizzare un Sistema nazionale di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati. E bisogna recuperare risorse adeguate per un fenomeno oramai strutturale».
«L'Alleanza delle Cooperative è pronta a mettere a disposizione tutta la rete di comunità e di consorzi delle cooperative sociali sul territorio nazionale per gestire al meglio l'accoglienza dei minori. È molto positivo che il ddl allo studio della Camera abbia fatto proprie alcune buone prassi nate dall'esperienza delle cooperative sociali che non solo fanno un lavoro eccezionale sul fronte umanitario con la prima accoglienza, ma avviano anche progetti educativi articolati per i minori che comprendono anche percorsi di istruzione e formazione».
Redazione
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:


Sostegno ai disabili assente, in classe va la mamma al posto dell’insegnante

Riduzione delle ore di copertura, anche in casi di grave disabilità; insegnanti di sostegno “finiti”, assistenti educativi che tardano ad arrivare: tanti sono i disagi denunciati dalle famiglie. La mamma di Matteo: “I primi giorni sono stata io in classe accanto a lui”


ROMA – La scuola è iniziata ormai in tutta Italia, ma non tutti i bambini sono entrati in classe. E neanche tutti gli insegnanti. Il grande assente, in questo avvio di anno scolastico, come spesso in quelli passati, si chiama “sostegno”. Pochi ne parlano, pochi ne scrivono, ma in rete basta affacciarsi nei numerosi gruppi di “famiglie con disabilità” per rendersi conto che è questo il tema più dibattuto, il problema più sentito, l'argomento più condiviso: tanti sono i genitori, soprattutto le mamme, che parlano di ore che non bastano, insegnanti che non ci sono, o che non si conoscono, assistenti educativi che ancora non arrivano. E figli che, al suono della prima campanella, non sono stati accolti come avrebbero  dovuto: con attenzione, competenza, professionalità. La maggior parte delle famiglie si è trovata, come ogni anno, un insegnante di sostegno nuovo al fianco del proprio figlio. Tanti però non sanno ancora chi sarà a prendersi cura di lui, perché il docente non è stato assegnato. Altri, ancora, quell'insegnante non lo vedranno mai, perché non ci sarà: in alcune  province, a quanto pare, sono “finiti”gli insegnanti di sostegno, quindi alcuni studenti con disabilità, anche gravi, saranno affidati a insegnanti “normali”, che poco o nulla sanno di disabilità. A tratteggiare le varie sfumature di questo grigio quadro, abbiamo interpellato alcune mamme, che stanno vivendo in questi giorni il disagio del “sostegno che non c'è”. 
“Gli insegnanti di sostegno sono finiti”. Patrizia vive a Bergamo ed è la mamma di Matteo, 12 anni, disturbo dello spettro autistico associato a psicosi. “Una bambino difficile – spiega – che ha bisogno di una persona non solo sensibile e competente, ma specializzata”. Quest'anno, per di più, ha iniziato la prima media: “compagni nuovi, scuola nuova, insegnanti nuovi. Un cambiamento difficile per tutti, figuriamoci per lui”, racconta. In virtù della sua condizione di gravità (tecnicamente, articolo 3 comma 3 della legge 104), Matteo avrebbe diritto a una copertura totale delle ore scolastiche, con un rapporto di uno a uno con l'insegnante di sostegno. “Ho chiamato il preside una settimana prima dell'inizio della scuola, per accertarmi che fosse tutto a posto e sapere quale insegnante avrebbe seguito mio figlio, così da poterla incontrare prima e spiegarle almeno le cose fondamentali. Mi è stato detto che Matteo avrebbe avuto 6 ore di sostegno e 8 di assistenza, a fronte delle 20 ore totali che aveva lo scorso anno”. Del tutto insoddisfatta, Patrizia ha minacciato di telefonare al provveditorato. “A quel punto, le ore di sostegno sono diventate 8, come fossimo al mercato. Ma io ho replicato che di ore me ne servono 18. Di lì a poco, il preside mi ha richiamato, dicendo di essere arrivato a 10 ore di assistenza e quindi a 18 complessive”. Tutto risolto, ma solo in teoria: “Il giorno prima dell'inizio della scuola, il preside mi chiama nuovamente, per comunicarmi che Matteo non avrebbe avuto, l'indomani, né l'insegnante di sostegno né l'assistente. E che, in verità, l'insegnante di sostegno non l'avrebbe avuto mai, perché erano finiti”.
A volte è meglio l'insegnante ordinario. Incredula, Patrizia ha chiamato il provveditorato, che ha confermato la notizia: gli alunni disabili erano più degli insegnanti di sostegno, così a Matteo e ad altri come lui sarebbe stata assegnata un'insegnante normale. “Mi hanno anche rassicurato dicendo che magari sarei stata fortunata, perché a volte le insegnanti normali sono più brave di quelle specializzate... Insomma, mi invitavano ad affidarmi alla sorte!”. A quel punto, Patrizia richiama il preside per accordarsi sulle modalità di accoglienza del giorno successivo. “La mia proposta disperata– dice – è di restare in classe con Matteo, perché certo non posso lasciarlo solo. Il preside acconsente, addirittura mi dice che ci aveva pensato anche lui, come se tutto ciò fosse normale”. E così accade: il primo giorno di scuola, Matteo resta nella sua nuova classe per due ore, accanto alla mamma, con “compagni che non conosce e insegnanti che di lui non sanno nulla - riferisce la mamma – Quella di musica continuava a chiedergli di guardarla negli occhi!”. La stessa situazione si ripete sabato. “Domenica mi chiama l'assistente, che per fortuna è la stessa dello scorso anno: mi dice che dal preside non ha saputo nulla, non è riuscita neanche a contattarlo. Così ci accordiamo tra noi: lei sarà a scuola con Matteo dalle 11 alle 13, per tutta la settimana. Poi vedremo cosa succederà...” 
Quelle ore che non bastano. Se da Bergamo iniziamo a scendere verso Sud, la situazione che troveremo a scuola non sarà molto diversa. Lorenzo è un ragazzo con sindrome d Down, che frequenterà quast'anno la prima classe della Scuola secondaria di primo grado "Faà di Bruno" di Marotta di Mondolfo (PU). I suoi genitori sono molto preoccupati e insoddisfatti.“Da giorni leggiamo su Internet e giornali della riforma della scuola italiana, dell'ulteriore e decisivo passo in avanti della proposta di legge sull’inclusione scolastica delle persone con disabilità, delle numerose assunzioni di docenti di sostegno che Renzi e la Giannini tanto proclamano”. La situazione che si trovano davanti agli occhi è però molto diversa. “A Lorenzo sono state assegnate solo 9 ore di sostegno, contro le 13 dello scorso anno, a fronte di un aumento del tempo scuola e di un passaggio di ordine di scuola da affrontare – raccontano - Così come è stato ridotto al lumicino il monte ore di altri due nuovi alunni disabili che frequenteranno il primo anno, come nostro figlio”. Come se non bastasse, “queste briciole sono state sottratte ai suoi compagni disabili che già frequentano la scuola secondaria e che vedono così ridotto il proprio monte ore”. Un problema noto, quello delle insufficienti ore di sostegno, al quale però si aggiunge il disagio organizzativo dei primi giorni: “la scuola ha avuto in organico cinque posti di sostegno, peraltro assolutamente insufficienti – riferiscono i genitori di Lorenzo - e attualmente solo 1 posto e mezzo è coperto da titolari. Di fronte ad una richiesta di chiarimenti e di deroga da parte del dirigente e di noi genitori all'Ufficio preposto, abbiamo ricevuto solo una telefonata del funzionario addetto all'organico del sostegno, che ci ha chiesto di essere pazienti, senza però darci nessuna garanzia sulla concessione di ulteriori ore. Abbiamo appena inviato diffida e siamo decisi a fare tutto il necessario perché nostro figlio venga tutelato. Ma la domanda è: con quale spirito possiamo mandare a scuola il nostro ragazzo?”. (cl) 
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito repubblica.it:


Dormitori a pagamento: un euro al giorno

Lo denuncia l'Usb che attacca il Comune: "Smantella il welfare, tirocinanti e volontari per i servizi sociali"
Taglio di servizi finora garantiti, tirocinanti al posto dei lavoratori e dormitori a pagamento per gli utenti (a un euro al giorno). Sono alcune delle novità che, stando a quanto riferisce l'Usb, stanno per interessare l'organizzazione dei servizi sociali a Bologna. Dopo un incontro avuto la scorsa settimana con i vertici del Comune e dell'Asp, il sindacato di base afferma in una nota di aver "avuto la conferma che le politiche di smantellamento del welfare di questa giunta procederanno come un caterpillar su cittadini e lavoratori del sociale".

Scrive l'Usb: "Nessun cambio di modello dietro il taglio di 450.000 euro nel bando Asp-Comune per i servizi sociali (presidi notturni e prevenzione rischi dall'uso di sostanze), ma più semplicemente uno spostamento di risorse su progetti che saranno gestiti molto probabilmente direttamente dal cosiddetto volontariato". Per il sindacato di base, che riferisce di aver chiesto il ritiro del bando, ci saranno 17 operatori in esubero e diversi servizi verranno meno, "come la mensa e il centro diurno al Beltrame o l'annullamento del gruppo operativo e del presidio notturno al Madre Teresa di Calcutta". Il Comune, per bocca della dirigente Monica Brandoli, "fa sapere che la mensa sarà sostituita con un accordo con i centri anziani- continua la nota- e il presidio notturno al Madre Teresa di Calcutta coperto da tirocinanti".

Poi, "come se non bastasse", l'amministrazione "ha insinuato che il taglio previsto di 17 operatori- riferisce l'Usb con una nota dai toni molto duri- potrebbe essere solo un modo per le coop che gestiscono i servizi per far fuori alcuni operatori che non lavorano bene". L'Usb prende di mira anche l'amministratore unico dell'Asp, Gianluca Borghi, perchè "si limita a dire che non ritirerà il bando negando anche l'evidenza, cioè l'uso di volontari e tirocinanti che cancellano posti di lavoro e nascondono sacche di lavoro nero". Il sindacato ritiene dunque "vergognose le risposte dell'amministrazione comunale, che con il sistema degli appalti con sempre meno risorse e al massimo ribasso, sta di fatto delegando le cooperative sociali a chiedere contributi per erogare servizi e diritti (in questo caso chi usufruirà dei dormitori dovrà pagare un euro al giorno), a tagliare la qualità dell'assistenza, abbassare stipendi e licenziare operatori".

Con l'occasione, inoltre, l'Usb denuncia "anche tagli su un altro appalto, quello per il sostegno agli alunni disabili, dove la coop vincente (Quadrifoglio) sta rinnovando contratti a tempo determinato demansionando gli educatori dal livello D2 A D1, i quartieri dimezzano le ore di programmazione nelle scuole materne, nessuna invece negli altri gradi di 
scuola, si registrano diminuzione di ore sugli alunni disabili". Alla luce di tutto ciò, l'Usb annuncia di avere in cantiere "un'iniziativa cittadina di denuncia, coinvolgendo operatori e cittadini-utenti di tutti quei servizi pubblici che si stanno, di fatto, smantellando".
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Disabili, per loro la scuola non inizia a settembre


In questi giorni che precedono l’apertura dellescuole abbiamo sentito il presidente Renziproporre la necessità di un nuovo patto educativo. Significativamente Renzi lo ricorda sempre e questo è un merito che gli va riconosciuto, il premier ripete che dalla scuola si parte per creare un paese migliore.
Un tema sensibile sul tavolo della riforma è la proposta di legge sul sostegno che vede l’on. Davide Faraone, responsabile nazionale scuola e welfare del partito democratico, impegnato affianco ad alcune associazioni. Purtroppo le attese di oltre 230.000 famiglie dovranno ancora essere rinviate per la annunciata consultazione consindacati, scuola e famiglie di ulteriori due mesi che allontaneranno la linea di arrivo di un traguardo che appare molto difficile da raggiungere.
Qualche annotazione va assolutamente riservata a due temi essenziali della proposta di legge: la formazione degli insegnanti e la composizione delle classi. Per quanto riguarda il primo argomento imbarazza scoprire che i 10 milioni di fondi stanziati per i corsi di formazioneobbligatoria degli insegnanti curricolari e di sostegno (legge 328/2013 emendamento articolo 16 comma 1) si sono già ridotti a 3,6 milioni e rischiano in queste ore di andare sprecati se un tempestivo decreto ad hoc non verrà emanato dal ministro Giannini.
La storia di queste risorse indispensabili per la qualità del tempo scuola di un alunno disabile, prima ridotte del 65% per trovare la copertura agli 85 euro e poi bloccati inspiegabilmente nei palazzi del Miur in attesa che i suoi burocrati trovino un accordo è forse un esempio di come la scuola dell’inclusione dei disabili rappresenti anche per gli alti dirigenti amministrativi del ministero un obiettivo culturale.
Superfluo ma indispensabile sottolineare che le competenze formative messe a disposizione degli insegnanti avrebbero dovuto essere impiegate prima dell’inizio della scuola in modo da assicurare agli alunni disabili una più adeguata attenzione ai loro bisogni.
Il tema della formazione degli insegnanti è stato oggetto nel mese di giugno anche di alcuneinterrogazioni ad opera di parlamentari del movimento 5 stelle riguardanti le attività svolte dalla Luspio-Unint (università internazionale di studi di Roma). Secondo gli interroganti questa università privata non avrebbe i requisiti per poter svolgere i corsi di specializzazione per il sostegno e, ancora più singolare, queste lezioni si terrebbero non nella sede designata dal Miur (Roma) ma addirittura in Sicilia a Caltanisetta.
Forse auspicare che ministro e funzionari del Miur provino a dare risposta a queste due questioni potrebbe essere un ottimo modo per replicare con i fatti a chi insinua della presenza di fannulloni nella politica e nella pubblica amministrazione.
Sul tema della composizione delle classi invece siamo di fronte ad una colossale svista (!?! ) in quanto nella proposta di legge sul sostegno si prevede contemporaneamente di avere classi con al massimo un alunno disabile con diagnosi di gravità (il 75% degli alunni disabili) e, all’articolo 15, si sottoscrive una clausola di invarianza finanziaria (senza costi aggiuntivi per il Miur).
Purtroppo questo è impossibile in quanto in Italia a seguito dei “brillanti” provvedimenti normativi (legge 111/2011 e legge 183/2011) dei governi passati un devastante processo di dimensionamento della rete scolastica ha interessato tutte le scuole con conseguenze che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Le classi formate da oltre 25 alunni con la presenza di 3 o più alunni disabili per classe sono una triste conseguenza di quelle scelte. Alla luce di questi fatti forse qualcuno potrebbe, in buona fede, chiedere al presidente Renzi di ipotizzare di tenere fuori dal patto di stabilità oltre alle spese per le armi anche quelle per la scuola della Costituzione.
Che all’articolo 11 abiura la guerra ed al 3 afferma per tutti i cittadini la pari dignità sociale e l’uguaglianza impegnando la repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



L'uccisione del 17enne Davide Bifolco per mano di un carabiniere, le periferie napoletane e l'esplosione di una grande questione sociale. Nella città dove si sparano 40 colpi di pistola e kalashnikov per "intimidire" il clan rivale e dove anche lo Stato spara c'è anche chi non ha armi da fuoco. Ci sono giovani, operatori sociali ed educatori abbandonati che gridano la loro rabbia: "dove sono le politiche sociali"? 

La vicenda di Soccavo, con l'uccisione del 17enne Davide Bifolco per mano di un carabiniere, riguarda vari temi. C'è quello dello Stato di diritto per i troppi morti sotto i colpi delle forze dell'ordine (Cucchi, Aldovrandi, Uva e tanti altri) e uno più complesso che riguarda Napoli e il Sud. Irrompe, infatti, il tema delle periferie napoletane: quartieri ghetto da ovest a est della città, una volta rioni operai e oggi bunker sociali abbandonati. I fatti di venerdì sono gravi in tutte le loro angolature, dalla morte assurda di un adolescente per un mancato alt a un posto di blocco al racconto mediatico approssimativo (la spinta ossessiva all'opinionismo e la scarsa ricerca dei fatti) o addirittura fuorviante dei fatti (salvo alcune eccezioni). E ancor più grave è il giudizio spesso lombrosiano verso queste realtà di emarginazione, un atteggiamento che allarga il solco tra il ghetto e il cuore della metropoli: in quei quartieri spara la camorra e spara anche lo Stato.
Eppure in queste periferie c'è chi non spara, ci sono educatori e operatori che in piena solitudine portano avanti percorsi alla logica del ghetto e ci sono tante esperienze storiche relegate in retroguardia dalla gran cassa della fiction nazional-popolare.
Il Calderone
Soccavo è un quartiere della parte occidentale della città, a poca distanza dallo stadio San Paolo. Nel rione Traiano si è costruita negli anni una grande esperienza di cooperazione sociale come Il Calderone: dal 1978 il Centro culturale giovanile di Traiano, le attività di sostegno scolastico per minori a rischio e in collegamento con i primi corsi 150 ore per gli studenti lavoratori, Canzoniere di Traiano, Collettivo teatrale di Soccavo, in collegamento con il progetto "la comune", promosso da Dario Fo e Franca Rame. "Se è vero che i primi 'stipendi veri' iniziano ad esserci intorno al 1986/87, e altrettanto vero che già prima qualcuno viveva delle attività promosse dalla cooperativa, anche se si trattava di ragazzi giovani che in qualche modo 'potevano permettersi di vivere con pochi soldi' e che trovavano il principale senso del proprio impegno, più sul ritorno personale, in termini di gratificazione e crescita, che non su quello a carattere economico". Così scrivono i soci della coop sociale che oggi è orfana del suo presidente Massimo De Benedictis, scomparso premutaramente. Proprio in questi giorni quando dalla piazza gonfia di rabbia gridava "dove sono le politiche sociali?", altri rispondevano "una volta c'era Il Calderone".
Educatori nel ghetto
"Sì, da queste parti c'è l'usanza di sparare tra la folla pur di farsi spazio, di andare in giro con un kalashnikov a spargere i bossoli per diverse centinaia di metri in orari pomeridiani che non sono neanche quelli in cui uno schiaccia un pisolino. Qui alle 17 o alle 20 o al mattino quando torni da fare la spesa c'è gente che esce con le pistole e spara non curante di quello che potrebbe succedere agli altri e a sé. Il problema maggiore è proprio che non c'è più il valore della vita, neanche della loro.
In questo territorio sono anni che le parrocchie, le cooperative sociali, i volontari delle associazioni provano a smuovere le coscienze, a emancipare questi ragazzi e a gridare che c'è bisogno di una mano. Come educatore credo fermamente che le promesse fatte vengano rispettate e che ci sia una svolta nelle politiche sociali che ci permetta di crescere in termini culturali e di non essere uno dei luoghi con più alta evasione scolastica o con un alto tasso di criminalità. Credo che nei vostri piani la periferia non sia un luogo dove continuare a gettare spazzatura o dove ammassare campi rom o dove per arrivarci devi affidarti alla buona sorte. L'unica cosa che vi chiedo è di poter portare al parco i miei figli che mi tormentano perché vogliono uscire a giocare".
Questo è un estratto della lettera di Francesco Uccello, educatore della coop sociale Terra e Libertà e noto blogger, rivolta la presidente Napolitano. Francesco vive a San Giovanni a Teduccio, periferia est della città, dove il giorno prima della morte di Davide Bifolco sono stati sparati 40 colpi di pistola e kalashnikov per "intimidire" un esponente del clan rivale. Sono fatti che si ripetono con maggiore frequenza in tanti rioni popolari, sintomo di una recrudescenza criminale che la Direzione investigativa antimafia afferma di essere caratterizzata "da una forte propensione allo scontro armato".
Sempre nella stessa periferia vive e lavora Giovanni Savino, presidente della coop sociale Il Tappeto di Iqbal che si occupa di minori a rischio nel quartiere Barra. Anche lui si è affidato a una lettera, un grido: "A sedici o diciassette anni non si può morire – scrive Giovanni. Quando ho saputo della notizia il mio pensiero è volato al giovane Mariano ucciso a Barra per mano della camorra alla stessa età. Ho sempre detto nei miei spettacoli che quando un ragazzo muore a quell età abbiamo fallito tutti. Io con Mariano muovevo i miei primi passi da giovane animatore di strada. Giocavo a 'pallone', il calcio per i ragazzini è una sfera. La cosa per me ha sempre riportato un concetto positivo. Il pallone è una sfera giocosa, il giovane resta in quella parola giocosa 'pallone' con il suo bambino interiore e forse calcio è ancora troppo significare calciare, urtare, picchiare. Quello è sempre stato il punto di concentrazione delle mia azione da cui erigere le mie azioni educative. Ascoltare ma sopratutto sentire".
Secondo Savino "la sicurezza di una comunità non passa solo per il controllo armato ma bisogna costruire coesione sociale. A luglio ho inviato al sindaco (de Magistris, ndr) una serie di idee per tentare di aprire una strada nuova verso questa direzione. Ma si continua a vivere nell'ansia di mostrare preferendo vecchi ex sottosegretari all'istruzione che hanno dato tanto ma che forse è venuto il momento di accomodarsi a guardare ma soprattutto ad ascoltare. Mi piacerebbe che il sindaco della mia Napoli dove mio figlio voglio che cresca possa svuotare la sua tazza di convinzioni e presunzioni. È un atto divino. Le politiche sociali vanno ricostruite. Il terzo settore sociale va rimesso in sesto. Bisogna cambiare come diceva Einstein altrimenti si è folli".
Il Rapporto Coop ha confermato l'enorme divario tra il Nord e il Mezzogiorno, dove risiede la popolazione più povera dello Stivale. E in quelle regioni risiedono anche la maggior parte degli 80mila nuovi emigranti dello scorso anno. In questi anni politiche securitarie e presenze militari hanno fallito. C'è chi non spara nel ghetto: Napoli e il Sud hanno bisogno di risposte, dove sono le politiche sociali?
Giuseppe Manzo
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

Ripeterà per la terza volta l'ultimo anno delle medie. Bocciata? No, autistica

Accade a Poggio Rusco nel mantovano. S. compirà 18 anni a giugno e già due volte la sua domanda di iscrizione, nell’unica scuola superiore del paese, era stata respinta. Ora, il terzo rifiuto e la denuncia della mamma: “Forse il giudice mi darà ragione, ma ormai abbiamo perso tutti”

05 settembre 2014
ROMA – S. compirà 18 anni a giugno, ma quest’anno frequenterà ancora la terza media. Per la terza volta consecutiva. Per la terza volta consecutiva, infatti, l’istituto alberghiero di Poggio Rusco, in provincia di Mantova, ha rifiutato la sua iscrizione. S. è una ragazza con una grave forma di autismo: ha frequentato regolarmente le scuole medie, supportata da una progetto di “scuola potenziata” che avrebbe portato con sé anche alle scuole superiori. Mail dirigente ha respinto iscrizione e progetto: a settembre entreranno nell’istituto 3 prime classi, oltre 60 nuovi alunni: ma per S. non c’è posto. A denunciare questa “tristissima storia”, come la definisce lei stessa, è Maria, la mamma di S., presidente, tra l’altro, dell’associazione “Casa delle farfalle”. Ieri ha incontrato un ispettore del ministero dell’Istruzione, probabilmente si arriverà ad un accordo, ma “ormai abbiamo perso tutti – afferma – perché siamo dovuti arrivare al tribunale”. Presso il Tar, ha infatti depositato mesi fa il ricorso perché fosse ritirata la decisione del dirigente, ma “soprattutto chiedo giustizia – spiega Maria – Chiedo che quel dirigente sia rimosso o spostato, perché questa triste vicenda sia d’esempio e rappresenti un precedente: niente del genere deve più accadere. Questi ragazzi, già penalizzati, non devono vivere esperienza come questa e hanno diritto di accedere alla scuola che scelgono”. 
Tre volte no. Ma riprendiamo la storia dall’inizio. “Negli ultimi due anni – riferisce Maria – abbiamo provato a iscrivere S. nell’unica scuola superiore del nostro paese, a 100 metri da casa nostra. Ci sono state poste dal dirigente problematiche relativi a spazi e personale, ma ci è stato assicurato che quest’anno sarebbe stata inserita e che nel frattempo, durante l’anno-ponte, avrebbe preso contatti con la sua futura scuola, garantendole così quel passaggio graduale che per lei è fondamentale”. Entrambi gli impegni, però, sono stati disattesi: S. non ha preso contatti con la scuola superiore durante lo scorso anno, ma soprattutto è stata nuovamente respinta la sua domanda d’iscrizione. “Siamo stati convocati dal dirigente, il quale ci ha detto che posto non c’era: non poteva accoglierla. E a nulla è valso il progetto che avevamo elaborato, attraverso la rete che abbiamo costruito in questi anni, per l’inserimento di S.: un progetto che garantisce alla scuola, peraltro a costo zero, tutto il supporto di cui S. ha bisogno. Il dirigente ha alzato un muro invalicabile – denuncia Maria – e non ha voluto neanche discutere la proposta. Così, s indicazione della Fish, ho preso contatto con l’avvocato Nocera, il quale mi ha confermato l’illegittimità della decisione del dirigente e mi ha suggerito di fare ricorso al Tar”. 
Una decisione “poco dignitosa”. La giustizia, però, ha i suoi tempi, mentre le scadenze della burocrazia non sono negoziabili: così, nel frattempo, l’8 giugno scorso i genitori di S. hanno dovuto prendere una decisione: farla uscire dalla scuola media, con il rischio di doverla poi tenere a casa tutto l’anno; oppure farla bocciare, per far sì che rimanesse alle medie. “Un’ipotesi poco dignitosa per lei – commenta la mamma – vista la sua età anagrafica. Ma l’unica che garantisse a lei e a noi serenità e tranquillità. Così, nonostante tutto, abbiamo deciso di tenerla alle medie ancora un anno. Tutto ciò, con il benestare del provveditorato – riferisce Maria – che messo a conoscenza della situazione, anziché intervenire presso il dirigente dell’alberghiero, ha accettato di buon grado che una ragazza quasi 18enne frequentasse di nuovo la terza media. Tutto questo, per me, è emblematico della mancanza di cultura sull’autismo e la scarsa considerazione di cui godono i nostri ragazzi e le nostre famiglie”. 
“Abbiamo perso tutti”. Ieri, intanto, Maria ha incontrato un ispettore del ministero: “vogliono trovare una mediazione, un accordo. E chiaramente se interverrà il ministero, il dirigente dovrà accettare di iscrivere S.. Ma non intendo proprio cantare vittoria, qui abbiamo tutti perso. Intanto, per quest’anno ormai i tempi non ci sono: S. ha bisogno di mesi per realizzare questo passaggio e l’occasione, ormai, è stata persa. Poi, i rapporti con l’istituto alberghiero sono così deteriorati che mi crea una grande preoccupazione il pensiero di inserire S. in un ambiente così ostile. Il 30 settembre ci sarà la sentenza: io sono stremata e spiazzata. Se pure il giudice mi darà ragione, disponendo l’inserimento di S. all’alberghiero, non sentirò di aver vinto. Cosa voglio, allora? Voglio giustizia, chiedo che contro quel dirigente siano presi provvedimenti, così che serva da esempio per tutti quelli che, in virtù del ruolo che ricoprono, potrebbero rendere un po’ migliore la vita dei nostri figli e invece non fanno che porre nuovi ostacoli. E alle famiglie chiedo di denunciare: tanti, in questi giorni, mi scrivono di aver vissuto esperienze simili alla mia. Ma quasi nessuno denuncia, anche per ragioni economiche. E questo aggiunge tristezza alla tristezza. Comunque finirà questa storia, nessuno avrà vinto la partita, ma tutti avremo perso”. (cl)  
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Disoccupazione estiva degli operatori scolastici: perché lo Stato non li paga per lavorare?


Anche questo è un pezzo politicamente scorretto, perché dice cose che nessuno o quasi vuol dire, ma che moti pensano. Nella nostra vita facciamo tante cose stupidamente inutili; a volte le facciamo per nostra scelta, altre volte e più spesso a causa della burocrazia che ormai pervade la vita quotidiana di tutti noi. Un esempio tipico è rappresentato da quello che è successo, alla fine di giugno, davanti agli uffici di collocamento: file interminabili di centinaia, a volte migliaia, dioperatori scolasticiprevalentemente insegnanti, ma anche bidelli ed impiegati, statali con contratto a tempo determinato o dipendenti da scuole private o da cooperative che gestiscono servizi per l’infanzia (che vengono regolarmente “staccati” durante le vacanze estive).
Ma perché tutti costoro fanno la fila? Semplice, per ottenere il sussidio di disoccupazione. Così saranno pagati dallo Stato per non lavorare. A questo punto viene da chiedersi perché lo Stato non li paghi per lavorare; durante le lunghe vacanze estive, milioni di famiglie (soprattutto quelle dove i due genitori lavorano e quelle che hanno nonni e parenti lontani) si trovano nel difficile problema di dove collocare i figli; lasciarli a casa da soli non si può perché se succede qualcosa si rischia di essere imputati di abbandono di minore. E allora l’unica soluzione è quella di affidarli ai costosi, ripetiamo costosi, centri estivi gestiti da privati, da parrocchie, da enti ed associazioni ed affidati, a volte, a personale poco preparato, speriamo non in nero e speriamo anche non a quello che percepisce la disoccupazione. Una bella tassa per le famiglie!!! Ma non sarebbe più logico impiegare questi “disoccupati educativi” per gestire centri estivi pubblici?
Questo esempio ci offre l’occasione per un ragionamento più ampio su sussidi di disoccupazione e cassa integrazione, o anche su semplici aiuti assistenziali. In Italia, c’è quasi mezzo milione di cassaintegrati; una buona parte di loro è finanziata con soldi pubblici; poi ci sono quelli che percepiscono l’assegno di disoccupazione; tanta gente che si trova in una situazione drammatica e terribile quale è quella della mancanza o della perdita del lavoro. Poi ci sono coloro che sono assistiti dai servizi sociali, ci sono profughi ed altre categorie che ricevono aiuti pubblici. Nello stesso tempo, vediamo che le nostre città sono sempre più abbandonate dalle amministrazioni, in particolare per quanto riguarda la manutenzione ordinaria; dalle pulizie delle strade, alla cura dei giardini, alla spalatura della neve.
A volte soccorre il volontariato, più o meno puro. Ma non basta. Perché allora non impegnare coloro che, essendo senza lavoro, godono di sussidi pubblici? Sia chiaro non si intende qui proporre di sostituire le normali prestazioni d’opera, né togliere lavori a chi ce li  ha, ma più semplicemente, di far fare quelle cose che nessuno fa, semplicemente perché le amministrazioninon hanno più i soldi per pagarli. In fin dei conti, per chi si trova senza lavoro, godendo di un sussidio pubblico, prestare qualche ora al mese, ripetiamo qualche ora al mese, in servizi di pubblica utilità potrebbe essere un modo per sostenere la propria dignità di lavoratori e di persone. Chissà cosa ne pensa Renzi?
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito salto.bz:


Disabilità: i passi indietro della scuola
Intervista a Dario Ianes, docente di pedagogia speciale e didattica speciale a Scienza della Formazione: "E' evidente un fenomeno di strisciante decadenza".

Dario Ianes è docente di pedagogia speciale e didattica speciale a Scienza della Formazione a Unibz nonché fondatore delle Edizioni Centro Studi Erickson di Trento. Proprio per quest'ultima, ha dato recentemente alle stampe "L'evoluzione dell'insegnante di sostegno" (video) che analizza difficoltà e prospettive dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Un libro utile che punta il dito contro il "fenomeno di strisciante decadenza del sistema".
Professor Ianes, anche da questo punto di vista l'Italia fa passi indietro?
"Abbiamo norme, circolari, atti formali che tutelano l'integrazione scolastica delle persone disabili. Il tutto è condivisibile e all'estero ci invidiano, ma nella realtà, continuano ad aumentare meccanismi di microesclusione, ovvero di alunni che sono tirati fuori dalla classe e "parcheggiati" in aule di sostegno. Studenti che, quindi, escono dalla classe per finire in situazioni di relativo isolamento per svolgere attività solo a volte significative. I dati dimostrano come circa la metà degli alunni sia già parzialmente esclusa, mentre il 6-7% lo è sempre. Un dato non accettabile, per questo parlo di decadenza strisciante.
Sempre colpa della crisi economica?
"No, gli insegnanti di sostegno sono sempre di più. La scuola è impoverita dal punto di vista generale, ci sono meno risorse, ma il filone della disabilità ne è esente ed il numero di insegnanti di sostegno continua ad aumentare. Non è una questione di tagli, piuttosto di irrazionale distribuzione delle risorse. La disabilità è una riserva indiana tutelata.
Lei propone cambiamenti strutturali. Quali?
"Troppo spesso si considera la disabilità un problema individuale del soggetto e non qualcosa che riguarda le variabili di contesto, si tratta di una visione solo speciale, tecnica e medica. L'alunno con disabilità viene collocato in una casella particolare e dopo una diagnosi gli viene assegnato un insegnante speciale. Un meccanismo perverso dal punto di vista culturale perché si saldano due persone "speciali" e si innesca un meccanismo di delega e quindi di esclusione. E' una situazione che andrebbe scongelata, diffondendo elementi di normalità".
In che modo?
"Io credo che l'integrazione sia responsabilità di tutti i docenti, non solo di quelli di sostegno. Occorre cambiare in due direzioni, 90.000 dei 110.000 insegnanti di sostegno dovrebbero diventare un organico funzionale curricolare a pieno titolo. Ventimila dovrebbero, invece, diventare insegnanti specialisti e itineranti, per permettere loro di mettere in gioco le competenze molto importanti che hanno acquisito, fornendo all'intero corpo docente informazioni specifiche. Quindi, da una parte più normalità, dall'altro più specificità. Questo toglierebbe anche certi alibi al corpo docente perché, da una parte non potrebbero più delegare la questione dell'integrazione ad un unico insegnante - perché la responsabilità diventerebbe condivisa - dall'altra potrebbero ricevere l'aiuto tecnico di una persona competente".
Allargando il discorso all'intera società, come procede l'integrazione delle persone disabili.
"A doppia velocità, il mondo della scuola, influenzato da movimenti pedagogici e politici degli anni settanta, ha elaborato un nuovo modo di fare scuola che prevedeva anche l'integrazione dei disabili. Nel mondo extrascolastico questo non è avvenuto e sull'integrazione sociale siamo molto indietro, i dati sull'inserimento lavorativo sono sconfortanti rispetto al resto d'Europa".
E qual è la situazione oggi in Alto Adige? Su questo tema scuole italiane e tedesche avevano idee differenti...
"Le scuole in lingua tedesca stanno "colmando il ritardo" con velocità notevole grazie anche ai cambiamenti avvenuti in Germania e Austria. La Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità approvata dall'Onu nel 2006 ha spinto questi paesi a ragionare su politiche inclusive nelle scuole. Così mentre noi davamo per scontate certe indicazioni, nel mondo tedesco si sono avviati corsi universitari e si sono create cattedre per raggiungere l'obiettivo. Personalmente posso toccare con mano tutti i giorni i progressi ottenuti. Il mondo tedesco ha una sua metodica che credo possa portare a casa ottimi risultati, certo, ci sono ancora alcune resistenze ma sono ottimista"
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito renonews.it:


CASALECCHIO, c’è Opengroup per il Centro Giovanile

Avrà la gestione da ottobre fino al’autunno del 2020 In merito alla gara per l’affidamento in concessione della gestione della struttura e della programmazione educativa e culturale del Centro Giovanile di Casalecchio di Reno nel periodo 1° ottobre 2014 – 30 settembre 2020, si comunica che la Commissione giudicatrice, nominata in data 26 giugno 2014 e composta da Davide Montanari (Direttore dell’Istituzione Casalecchio delle Culture) come presidente e da Alice Milano (Comune di Pianoro) e Fausto Pagliarini (Comune di Ferrara) come commissari, ha concluso i propri lavori il 21 luglio scorso. Tra i tre progetti ammessi: – Centro Giovanile Eco presentato da Opengroup Soc. Coop., con sede a Bologna, in qualità di mandante del RTI (Raggruppamento Temporaneo di Imprese) con Associazione ARCI Bologna e con Officina delle Muse – Il Cambio Reno Urban Lab presentato da Corda Fratres Soc. Coop. Sociale con sede a Taranto – Centro giovanile Blogos presentato da Polisportiva Masi ASD con sede a Casalecchio di Reno. In qualità di mandante del RTI con CSI Casalecchio di Reno ASD e RenoGroups 1994 ASD la Commissione ha attribuito il punteggio più alto al progetto Centro Giovanile Eco presentato da Opengroup Soc. Coop, in RTI con ARCI Bologna e Officina delle Muse. L’affidamento della gestione avverrà una volta completati i controlli sulle dichiarazioni rese da tutti i partecipanti, previsti dalla normativa e dal bando, e gli adempimenti connessi. Si prevede comunque che la nuova gestione possa formalmente avviarsi dal prossimo 1° ottobre. L’attuale gestione tecnica della struttura, affidata a Masi Impianti, proseguirà fino al termine previsto del 7 settembre le attività definite dalla convenzione in essere. L’Istituzione Casalecchio delle Culture, attivate le relazioni con il nuovo gestore e programmati i lavori di adeguamento previsti dal progetto vincitore, definirà e comunicherà quanto prima la data della riapertura effettiva e dell’inizio delle attività del nuovo Centro Giovanile. Le informazioni sulla gara per la gestione del Centro Giovanile di cui sopra sono state comunicate in data odierna da Fabio Abagnato, Assessore comunale ai Saperi e alle Nuove Generazioni e Presidente dell’Istituzione Casalecchio delle Culture, alla Giunta e al Consiglio Comunale. “Ringraziamo” dichiara il Sindaco Massimo Bosso “tutti i soggetti che hanno partecipato, con proposte progettuali di grande qualità, al bando per la nuova gestione del Centro Giovanile di Casalecchio di Reno. L’interesse dimostrato conferma come la struttura sia ormai conosciuta e consolidata in ambito metropolitano, e teniamo a ringraziare tutte le realtà di impresa e associative e tutte le persone che, con la dedizione profusa nelle precedenti gestioni, hanno consentito di raggiungere questo risultato. Dichiariamo sin d’ora il nostro impegno al più attento controllo e alla più attiva collaborazione con il nuovo gestore per garantire il migliore sviluppo del progetto vincitore, nella convinzione, espressamente dichiarata nella scorsa campagna elettorale, che il Centro Giovanile non esaurisca l’attenzione dell’Amministrazione Comunale alle nuove generazioni”.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo articolo da "Il Gazzettino":



Assistenza domiciliare in stato di emergenza

Venerdì 8 Agosto 2014, Venezia - L’assistenza domiciliare alle centinaia di anziani, disabili e malati psichici della città è in balia dello stato di agitazione dei lavoratori, non ufficialmente proclamato ma latente. L’ultima proroga alla cooperativa Ancora per la gestione del servizio scade a fine mese, dopodiché subentrerà la Fondazione costituita nei mesi scorsi tra le due case di riposo Ipab di Mestre e di Venezia. In questi giorni i vertici del nuovo soggetto si stanno incontrando con i sindacati Cgil, Cisl e Uil per definire il passaggio dei lavoratori dalla cooperativa alla Fondazione, le modalità delle loro prestazioni e la forma contrattuale. Il Comitato "Indignato o.s.s", ossia degli operatori socio sanitari, protesta perché nessuno di loro ha potuto assistere alle trattative. E pure il sindacato autonomo Usb è sul piede di guerra perché per questa mattina è stato convocato dalla dirigenza della Fondazione «ma con la pregiudiziale che l’incontro è riservato ai soli rappresentanti sindacali, e quindi non sono ammessi i delegati dipendenti della coop Ancora» afferma il segretario Giampiero Antonini che non risparmia critiche nemmeno ai componenti del comitato degli indignati chiedendo loro «un comportamento corretto e trasparente». Antonini, ad ogni modo, annuncia che se la sua delegazione oggi non sarà ricevuta al completo, avvierà nuove forme di protesta.

La questione è molto delicata perché si tratta, appunto, della qualità della vita di centinaia di persone che, per i loro bisogni quotidiani più essenziali, dipendono dall’assistenza di operatori preparati e, si spera, non più arrabbiati per questioni sindacali, dato che lo sono stati per i due anni precedenti. Il Comitato ha chiesto a tutti i sindacati di dichiarare lo stato di agitazione, e di organizzare manifestazioni e sciopero, e un’assemblea urgente di tutti i lavoratori, perché teme che il passaggio da Cooperativa a Fondazione comporti «l’applicazione di un contratto diverso, l’Uneba, e la conseguente perdita di tutti i diritti pregressi accumulati con le precedenti gestioni, e inoltre un contratto part-time stabilito a tavolino con variabilità di orario». La fase attuale, oltretutto, non è delle migliori perché non ci sono più la Giunta comunale e, in particolare, il vicesindaco Sandro Simionato che aveva avviato l’operazione per offrire migliori servizi ai bisognosi e più certezze ai lavoratori, e che avrebbe potuto mediare per garantire un passaggio più tranquillo ed efficiente possibile. Toccherà al commissario Zappalorto sbrogliare la matassa.

E.T.

----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



Riforma Terzo settore: il testo di legge delega c'è, per i soldi tutto rinviato alla legge di stabilità. Fa il suo primo passo ufficiale la riforma del terzo settore, il cui testo (26 giorni dopo la sua approvazione in Consiglio dei ministri) è stato finalmente presentato dal governo (con il ministro Poletti e il sottosegretario Bobba) e trasmesso immediatamente alla Ragioneria generale dello Stato per i controlli di prassi. Sette articoli (e risorse per 50 milioni di euro) che dopo la firma del Capo dello Stato arriveranno in Parlamento per l'approvazione definitiva, che nelle speranze dell'esecutivo dovrebbe avvenire entro la fine del 2014. Da quel momento, il governo avrà 12 mesi di tempo per l'adozione dei decreti legislativi che attueranno nel concreto la riforma.
C'è la semplificazione dell'iter per riconoscere la personalità giuridica delle associazioni, c'è il registro unico delle organizzazioni del terzo settore, c'è il lungo, spinoso e complicato capitolo della semplificazione della legislazione fiscale, ivi compresa l'annosa questione della stabilizzazione del cinque per mille. Ma con un'amara sorpresa perché nel testo si prevede la "determinazione del limite di spesa in coerenza con le risorse disponibili": il che, tradotto, significa la previsione del famigerato "tetto" massimo di spesa, cioè di quel criticatissimo meccanismo che di fatto negli ultimi anni ha tagliato il cinque per mille facendolo diventare nella realtà un 4 o un 3,5 per mille. E che, va da sé, l'intero mondo del non profit chiede di eliminare. I giochi saranno decisi a fine anno nella legge di stabilità 2015, in cui "potranno essere individuate – dice il testo – ulteriori risorse finanziarie rispetto a quanto stabilito dalla legislazione vigente".
Sarà così anche per il servizio civile, che vedrà partire quest'anno 35 mila giovani ma punta a raggiungere l'obiettivo dei 100 mila nel 2017. La progressione negli anni 2015 e 2016 sarà specificata dai decreti attuativi e dipenderà, appunto, anche dalle risorse che nel frattempo saranno reperite. Il testo di legge delega non scioglie neppure il nodo sulla partecipazione degli stranieri, che non viene prevista ma nemmeno esclusa: la Cassazione dovrà pronunciarsi a settembre sull'iter giudiziario che si è dipanato in questi anni e il governo ha scelto di attendere. Del resto, al momento appare difficilmente sanabile la contraddizione fra il richiamo all'art. 52 Costituzione che inquadra il servizio civile nell'ambito della difesa della patria e le pronunce giudiziarie che nel tempo hanno imposto l'apertura dei bandi agli stranieri.
Quel che è certo è che gli stranieri non potranno partecipare al bando 2014 dei 35 mila partenti. Il servizio civile universale è destinato ai giovani fra i 18 e i 28 anni, con possibilità di durata variabile (si parla di un periodo fra i 6 e i 12 mesi, ma il testo non lo specifica espressamente) e di svolgerne una parte in uno dei paesi dell'Unione europea.
In tutto questo, gli unici soldi individuati dal testo di legge delega sono quelli previsti per l'istituzione di un fondo rotativo destinato a finanziare a condizioni agevolate gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali effettuati dalle imprese sociali, di cui si prevede il riordino e la revisione dell'intera disciplina: si tratta di una somma di 50 milioni di euro per il 2015. Saranno pescati così: 20 milioni dl fondo per interventi strutturali di politica economica (legge 307/2004), altri 20 da fondi del ministero dell'Economia e delle Finanze e gli ultimi 10 milioni dal Fondo per la crescita sostenibile previsto dalla legge che ha convertito il decreto Sviluppo del governo Monti nell'agosto 2012. Per il resto, è precisato che "dall'attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica". Le speranze di dare adeguato sostegno finanziario alla riforma del terzo settore rimangono dunque legate alla legge di stabilità: una partita, quella che si giocherà fra ottobre e dicembre, che si presenta come decisiva per decidere le sorti dei temi che richiedono inevitabilmente un impegno finanziario.
Forum: "bene il testo, no la copertura economica"
Pietro Barbieri, Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore, ha stamattina partecipato, invitato dal Ministro Poletti e dal Sottosegretario Bobba, alla conferenza stampa di presentazione del testo del DDL di Riforma del Terzo Settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del Servizio civile universale, che inizia il suo iter di approvazione parlamentare.
"Si tratta di un buon testo - dichiara Barbieri - di cui siamo complessivamente soddisfatti, per l'articolazione e la complessità dell'articolato, che abbraccia tutta la normativa del Terzo Settore e che ha saldi ancoraggi costituzionali, solidaristici e si pone in una prospettiva di riduzione delle diseguaglianze. Siamo anche soddisfatti per l'attenzione che il Ministero del Lavoro ha prestato alle nostre segnalazioni e sottolineature, in particolar modo nell'articolo 2, nel quale vediamo recepite diverse nostre istanze, volte a valorizzare, in un contesto di legalità e trasparenza, il grande portato di utilità sociale, freschezza, vivacità , complessità e innovazione del Terzo Settore Italiano.
Certamente, accanto alle molte luci - prosegue Barbieri - vediamo anche delle ombre. In particolare lascia perplessi il riferimento ad un tetto al 5 x1000 legato a non precisate risorse disponibili. E permangono dei dubbi circa il collocamento e l'impostazione della nuova disciplina dell'impresa sociale. Siamo però certi che durante il percorso parlamentare, il testo potrà essere ulteriormente migliorato. E in questa azione, il Forum continuerà ad essere in prima linea nel fornire il proprio contributo, collaborazione e supporto.
Notiamo ovviamente anche la mancanza di un'adeguata copertura economica, all'altezza delle tante sfide che il DDL si pone, specie con riferimento al Servizio Civile universale e alla stabilizzazione del 5 x1000. C'era da aspettarselo, dopo i dati di questi giorni, ma non possiamo non esprimere delusione. La Legge di Stabilità 2015 sapevamo che sarebbe stato terreno di lavoro per povertà, non autosufficienza e politiche sociale. Lo sarà , ora, anche per il Servizio Civile, per il 5 per mille e la fiscalità di vantaggio per il Terzo Settore - conclude il Portavoce Barbieri -. Raccogliamo in questa direzione con soddisfazione l'impegno assunto stamane dal Ministro Poletti, se veramente vogliamo dare gambe all'assunto "lo chiamano terzo settore ma in realtà è il primo".
Guerini, Alleanza coop sociali: "passo in avanti"
"Erano anni che attendevamo questa cornice che, per la prima volta, ci colloca nel cuore di un progetto di riforma" A dichiararlo è Giuseppe Guerini, portavoce dell'Alleanza delle cooperative sociali e presidente di Federsolidarietà Confcooperative, che definisce "importante" aver liberato il terzo settore da un "quadro normativo datato, confuso e stratificato". Quello di cui c'è bisogno, secondo Guerini, sono strumenti di sussidiarietà per rendere operative le innovazioni sociali sperimentate nei vari territori, che spera di poter usare già dal 2015, in modo tale da avviare nuove azioni di welfare e continuare a creare occupazione.
"Si tratta di previsioni importanti per sprigionare il potenziale delle organizzazioni dell'economia sociale e delle imprese sociali in un quadro innovativo – continua il presidente di Federsolidarietà Confcooperative – le disposizioni per l'assegnazione di beni pubblici inutilizzati al terzo settore, l'ampliamento dei settori in cui possono operare le imprese sociali e le nuove misure per promuovere la finanza etica, i finanziamenti privati e la capitalizzazione di queste organizzazioni, la stabilizzazione del 5 per mille e la nuova disciplina del servizio civile universale che ci permetta di attivare i giovani in progetti per le comunità.
"L'invito che rivolgiamo ai due rami del parlamento e al governo – conclude Guerini – è di approvare al più presto il disegno di legge perché da lì in avanti la riforma si misurerà sugli effetti prodotti: la nascita di nuovi soggetti, il consolidamento di quelli esistenti e soprattutto la crescita che produrrà in termini di inclusione sociale e occupazione. Per uscire dalla crisi c'è bisogno del contributo che può dare il settore dell'economia sociale e siamo pronti a fare la nostra parte".
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito bolognatoday.it:

Educatore denuncia disservizio a bimbo disabile e viene richiamato: Blitz per difenderlo

Educatore denuncia disservizio a bimbo disabile e viene richiamato: blitz per difenderlo

Blitz di USB ieri a Palazzo d'Accursio durante il Consiglio Comunale: Marco Martucci rischierebbe di perdere il lavoro per aver denunciato la mancanza di un servizio
Educatore denuncia disservizio a bimbo disabile e viene richiamato: Blitz per difenderlo
Blitz di Usb in Consiglio comunale, al grido di "vergogna, vergogna", per la vicenda del delegato sindacale che ha denunciato la vicenda del bimbo disabile e senza trasporto in un centro estivo al quartiere Porto. L'educatore, Marco Martucci, secondo il sindacato, ora rischia il suo posto alla cooperativa 'Quadrifoglio' per aver ricevuto un richiamo formale da parte della coop. Il giovane aveva denunciato in un articolo la mancanza del servizio per il bambino costretto sulla sedia a rotelle., servizio che è arrivato solo dopo tale denuncia.
LICENZIARE UN LAVORATORE PER COPRIRE UN DISSERVIZIO? "Pur di coprire un disservizio - hanno gridato in aula i rappresentanti del sindacato di base - il Comune e' disponibile a fare licenziare un lavoratore. O rettificate o diventa un macello". Sotto accusa sono quelle che Usb definisce "menzogne", cioe' la nota con cui Palazzo D'Accursio ha replicato alla denuncia di Martucci, apparsa sul blog dell'educatore. Nel comunicato del Comune viene definita del tutto "falsa" la denuncia dell'educatore, "secondo il quale a un bambino disabile del quartiere Porto sarebbe stato negato il trasporto al centro estivo".
In realta' secondo la versione dell'amministrazione il servizio non sarebbe stato negato ma l'intero episodio sarebbe solo il frutto di una incomprensione con la famiglia.
Al fianco di Usb si e' mosso il consigliere M5s Marco Piazza, autore anche di una domanda venerdi' scorso al question time, a cui la madre del bimbo ha confermato in pieno la versione del sindacato: "aveva appreso dal quartiere che il servizio di trasporto non era disponibile". Il Consiglio comunale e' stato interrotto per una decina di minuti e la ventina di dimostranti hanno potuto interloquire con l'assessore all'Istruzione Marilena Pillati.
Fonte Dire

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito bologna5stelle.it:


NESSUNO TOCCHI GLI EDUCATORI. ORDINARIA ODISSEA PER I SERVIZI.

Articolo di: 
   del: 18 luglio 2014
Il 4 luglio un educatore, Sign. Marco Martucci, che lavora con bambini disabili, denuncia sul suo blog  che un bambino disabile non ha ottenuto il servizio di trasporto disabili dalla sua abitazione fino al centro estivo che frequenta da giugno. Per cui la madre lo doveva accompagnare con il trasporto pubblico.
Dopo 3-4 giorni dalla pubblicazione sul blog, il servizio di trasporto viene attivato però il Comune di Bologna emette anche un comunicato di dura condanna nei confronti dell’educatore del quale riporto alcune affermazioni:
1.                  Nessuna richiesta di trasporto a disabili è stata negata
2.                  La famiglia a cui fa riferimento l’educatore Martucci non aveva richiesto il servizio di trasporto al momento dell’iscrizione ritenendo di poterlo accompagnare autonomamente
3.                  In seguito è stato però sostituito l’ausilio al bambino ed è sorta la necessità di avere il servizio di trasporto disabili.
4.                  La famiglia si è rivolta agli educatori di sostegno del centro estivo ma nessuno  ha suggerito alla famiglia di rivolgersi al quartiere
5.                  Il quartiere è venuto autonomamente a conoscenza dell’esigenza ed ha attivato il servizio di trasporto
6.                  Tramite il quartiere è stato chiesto alla cooperativa per cui lavora l’educatore di fare valutazioni
Cosa che la cooperativa temo stia facendo.
Questa vicenda ci è parsa strana conoscendo la sensibilità e la professionalità di questi educatori. Pertanto come M5S abbiamo ricostruito i fatti parlando con tutti gli attori coinvolti compresa la Presidente del Quartiere e la famiglia protagonista del fatto.
Dalla nostra ricostruzione emerge che il comunicato dell’amministrazione è quantomeno “gravemente impreciso”.
La famiglia non ha richiesto il servizio trasporto disabili, è vero, ma solo perché gli era stato detto che il servizio NON era disponibile.
Arrivata al campo estivo la famiglia si è relazionata con altre famiglie ed educatori tra cui Martucci. Cosa ha fatto Martucci? Ha scritto sul suo blog? No! Ha fatto proprio quello che l’Amministrazione lo accusa di non aver fatto cioè ha consigliato alla famiglia di rivolgersi al Quartiere.
E la famiglia allora è tornata al quartiere ottenendo però un secondo diniego.
Cosa ha fatto allora l’educatore Martucci? Ha fatto il post sul blog? No. Per la seconda volta ha fatto quanto l’amministrazione lo accusa di non aver fatto, cioè ripetuto alla famiglia che il servizio era disponibile e che ricontattasse il quartiere portando l’evidenza che il servizio era in essere per altri utenti.
La famiglia lo ha fatto e per la TERZA volta ha ricevuto risposta negativa.
Solo a questo punto l’educatore ha preso atto che per quella strada non si otteneva nulla ed ha scritto la cosa sul suo blog. Evidentemente ha funzionato perché il servizio è arrivato.
Inoltre sottolineo che stando alla versione che mi ha riportato la famiglia (e non ho motivo di ritenere sia stata distorta) il quartiere la richiesta l’aveva ricevuta.
Prima di distruggere la vita ad  una persona bisognerebbe fare qualche indagine in più.
Qui stiamo guardando il dito ma non la luna. Stiamo accusando il dito ma non ci stiamo preoccupando del problema che indica.
Prima capiamo perché la famiglia ha ricevuto non 1 ma 3 risposte negative. E’ lì il problema grave e primario. Senza quello non ci sarebbe stato nessun post su nessun blog e nemmeno questa domanda di  attualità.
E non è la prima volta che  un cittadino che si rivolge al Comune riceve informazioni quantomeno inesatte. Ricordo per esempio il caso portato in aula dal consigliere Carella riguardante i T-Days.
Infine vorrei ricordare che stiamo parlando di una categoria di lavoratori, quella degli educatori,che in questi anni hanno prestato il loro prezioso, irrinunciabile e delicatissimo servizio in condizioni lavorative non proprio ottimali. Gli unici a non avere diritto al pasto: mentre il bambino che assistono mangia, loro non possono dare l’esempio (proprio ieri la d.ssa Pepe in commissione ci ha sottolienato l’importanza educativa del momento del pasto per cui hanno deciso di dare il pasto a tutte le maestre e collaboratori sia del turno del mattino che del pomeriggio. Ma agli educatori ancora no).
Gli educatori sono persone che fino a all’anno scorso andavano a lavorare al mattino senza la sapere se quel giorno sarebbero stati pagati.
Ancora più grave: restano senza stipendio durante l’estate e devono provvedere con altri impieghi o lavori quando lo trovano.
Qualcosa si è fatto ne do atto. L’Educatore di Istituto risolverà alcuni problemi, ma tanti altri problemi restano e se un educatore perde fiducia nell’Amministrazione e si lascia andare ad una critica, prima di condannarlo, suggerisco di ricordarsi della situazione nella quale operano. #NessunoTocchiGliEducatori
REPLICA ALLA RISPOSTA:
La vostra versione stride e collide in alcuni punti con quella che mi ha riportato la famiglia direttamente interessata. Se voi chiedete tempestivo riscontro alla cooperativa sull’operato dell’educatore, io chiedo a voi un tempestivo riscontro sull’operato del quartiere e perché la famiglia abbia ricevuto 3 dinieghi. Credo che questo debba avvenire prima di ogni altra valutazione.

LINK:
Testo della mia domanda di attualità contenente la ricostruzione: http://files.meetup.com/8213762/140718-Domanda%20di%20Attualita%20Marco%20Martucci.doc


-------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito disabili.com:


Classi differenziali? No, grazie!


Sempre più spesso vengono denunciate situazioni di classi in cui sono presenti diversi alunni con disabilità, che riproducono di fatto, le logiche delle classi differenziali

Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere la notizia riportata dal Fatto Quotidiano riguardante la formazione tacita di classi differenziali nella scuola italiana: lo schema, si poteva leggere nell'articolo, è quello classico: si identifica un piccolo comune, un istituto comprensivo, una classe della scuola primaria e, progressivamente, se ne  stravolge la composizione.

Nello specifico, veniva riportato il caso esemplificativo di una scuola di Brusciano, in provincia di Napoli, in cui in una classe risultano iscritti quattro alunni con disabilità medio-grave su un totale di ventidue. La classe non è stata sdoppiata, né si è ritenuto di dover iscrivere i bambini con disabilità in sezioni  diverse.

Denunce di situazioni di questo tipo, purtroppo, non sono rare: in tutto il territorio nazionale si segnalano ormai da tempo contesti in cui nella stessa classe sono presenti diversi alunni con disabilità. La presenza di tre allievi con certificazione, purtroppo, è diventata molto diffusa.

Qualcuno afferma che sia funzionale all'organizzazione oraria dei docenti di sostegno. Anche rispetto a questo, però, emergono non pochi dubbi: può essere funzionale al progetto di inclusione la presenza di un solo insegnante che si occupi contemporaneamente dell'integrazione di diversi alunni? Come potrà svolgere il proprio lavoro se non formando microgruppi differenziali che, di fatto, hanno ben poco a che vedere con l'inclusione? Oppure, ha senso che nella stessa classe di alternino diversi insegnanti di sostegno assegnati ad essa per la presenza di diversi alunni con disabilità? Quanti docenti dovrebbero insegnare nella classe di Brusciano, se si parla di disabilità medio-grave e considerando anche i docenti curricolari? Otto, dieci, di cui almeno la metà precari? Queste sarebbero le condizioni per realizzare inclusione?

La legge prevedeva la presenza di non più di due alunni con certificazione, non grave, nella stessa classe? Superata. Da cosa? Da quale progetto? La legge prevede classi formate al massimo da 22 alunni, in presenza di allievi con disabilità? Non osservata, in moltissimi casi. Spesso le famiglie devono ricorrere ai tribunali anche per questo.

E parliamo di inclusione?
Il responsabile nazionale del welfare e scuola del Pd, on. Davide Faraone, a seguito della situazione denunciata nella classe di Brusciano, ha preso una posizione netta in merito, dichiarando che non è accettabile che si formino classi differenziali per i disabili nella scuola italiana … Non tollereremo la formazione di classi speciali non ufficializzate, ma di fatto. La scuola italiana è la scuola dell'inclusione, non della deportazione. Viene rivolto anche un invito ai cittadini, alle scuole, alle associazioni a segnalare situazioni di questo tipo: invitiamo i cittadini a segnalare alla mail welfare@partitodemocratico.it, i casi di scelte culturalmente e socialmente scellerate.

Le scuole speciali e le classi differenziali rappresentano un passato inglorioso della nostra scuola, superato attraverso un lungo, difficile ed impervio percorso che ha portato il nostro Paese ad essere un modello, sia pure imperfetto, per il mondo intero.

Abbiamo perciò il compito, civile ed etico, di non permette di distruggere ciò che buono è stato fatto!Segnaliamo, dunque, le situazioni che non rispondono a quanto previsto dalla legge.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:



Diritti sociali negati, il lavoro non paga e il ruolo del Terzo settore. Questi sono i punti principali del Rapporto sui diritti globali 2014, realizzato dall'Associazione società informazione onlus e promosso da Cgil con la partecipazione di ActionAid, Antigone, Arci, Cnca, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Forum ambientalista, Gruppo Abele e Legambiente.
Nello studio, presentato oggi a Roma, si sottolinea in particolare che i redditi degli italiani hanno subito un duro colpo negli ultimi anni, un andamento non smentito neanche nel 2012. Secondo la Banca d'Italia, tra il 2010 e il 2012 il reddito familiare medio è sceso in termini nominali del 7,3 per cento, quello equivalente del 6 per cento e la ricchezza media è diminuita del 6,9 per cento. Un quinto delle famiglie italiane ha un reddito netto annuale inferiore a 14.457 euro, circa 1.200 euro al mese, mentre cresce la disuguaglianza: il 10 per cento delle famiglie con il reddito più basso percepisce, infatti il 2,4 per cento del totale dei redditi, mentre il 10 per cento dei nuclei con redditi più alti percepisce il 26,3 per cento del totale. Stesso trend anche per la ricchezza: il 10 per cento delle famiglie più abbienti possiede il 46,6 per cento della ricchezza netta familiare totale, un punto percentuale più del 2010. Da fonte Istat, nel 2012 il reddito disponibile delle famiglie italiane diminuisce dell'1,9 per cento rispetto all'anno precedente.
I dati
Le povertà aumentano, soprattutto per operai, giovani, genitori e cittadini del Sud. Nel 2012 la povertà relativa – la cui soglia è attestata per il 2012 su 990,88 euro (-2 per cento rispetto al 2011) – è del 12,7 per cento per i nuclei familiari (oscillante tra il 12,1% e il 13,3%), era dell'11,1 per cento nel 2011 ( +1,6 per cento e del 15,8 per cento per quanto attiene agli individui). Si tratta di 3 milioni e 232 mila famiglie e di 9,5 milioni di persone. Secondo il rapporto "nessuna area del paese si salva e sono le famiglie più numerose e soprattutto con figli minori quelle più esposte". Il problema riguarda i più giovani, gli anziani e i lavoratori dipendenti. Si registrano, poi, cifre record per chi un lavoro non ce l'ha: le famiglie senza occupati o ritirati dal lavoro sono povere nel 49,1% dei casi, e quelle con ritirati dal lavoro e persone alla ricerca di occupazione, nel 36,9%. La povertà assoluta tocca 1.725.000 famiglie (il 6,8 per cento) e 4.814.000 persone (l'8 per cento), con un aumento sul 2011 dell'1,6 per cento per le famiglie e +2,3 per cento tra gli individui. Il 50 per cento dei poveri assoluti vive al Sud, ben 2.347.000 a fronte dei 1.828.000 del 2011. Ed essere lavoratori non protegge dal rischio: gli operai, soprattutto, sono esposti nel 9,4 per cento dei casi, con ben due punti percentuali in più del 2011, e uno stacco sensibile da impiegati e dirigenti (il 2,6 per cento, +1,3 per cento).
Il cibo e la casa: due indicatori di impoverimento dalle cifre allarmanti. Il rapporto sottolinea che diminuisce la spesa delle famiglie per il cibo: a fronte di una spesa media mensile per famiglia di 2.419 euro, diminuita del 2,8 per cento rispetto al 2011 (fonte Istat), la spesa alimentare passa dai 477 euro in media del 2011 ai 468. Le famiglie numerose, in particolare, investono in cibo un quinto dei loro fondi, e va in cibo il 21,1 per cento del salario di un operaio, il 20 per cento del reddito di un pensionato. "La Coldiretti evidenzia come il 78 per cento degli italiani abbia tagliato la spesa per il pane, anche perché il prezzo del pane è aumentato, a volte anche raddoppiato. Anche un'analisi della Coop dice che la spesa per i generi alimentari è attestata nel 2013 a 2.400 euro circa pro capite, un valore da anni Sessanta – si legge nel rapporto - il 14 per cento in meno sui valori del 2007. Tra gli indici di grave deprivazione materiale, quello relativo al non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni due giorni sale tra gli italiani dal 12,4 per cento al 16,8 per cento". Anche i dati forniti dal Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2013 segnalano che coloro che hanno problemi di alimentazione erano 2,7 milioni nel 2010, sono saliti a 3,3 milioni nel 2011 e hanno raggiunto i 3,7 milioni nel 2012.
La casa è un problema soprattutto per giovani, migranti e nuovi poveri. L'abitazione è fonte di disagio economico per molte famiglie: nel 2012 circa il 10 per cento (+2 per cento sul 2010) ha problemi per affitti non pagati o per rate del mutuo cui non si è potuto far fronte, ed è una cifra che arriva a ben il 30 per cento del reddito familiare. La percentuale sale al 37 per cento se si considerano solo le famiglie in affitto, con +6 per cento sul 2010, e +15 per cento rispetto al 2002. Ha arretrati per mutuo, affitto o bollette in media il 13,6 per cento delle famiglie italiane, il 18 per cento al Sud, e soprattutto quando la famiglia è numerosa (23,3 per cento), con componenti giovani (10,5 per cento), con tre o più figli (22,9 per cento, il 32 per cento se minori). Non riesce poi a riscaldare adeguatamente la propria casa il 21,2 per cento. Nel primo semestre 2013 il totale di sfratti richiesti ammonta a 38.869, di cui 34.736, il 90 per cento, per morosità, 75.348 sono le richieste di esecuzione pendenti e 16.520 gli sfratti eseguiti.
Il governo Renzi fa ancora troppo poco. "Il giudizio di chi vorrebbe un'inversione di tendenza nella strategia di uscita dalla crisi non è generoso con il governo Letta, poco di più con quello Renzi, i cui Documenti di economia e finanza (Def) vengono visti in sostanziale continuità con quelli dei tecnici del governo di Mario Monti – si legge nel rapporto - Sul piano delle politiche di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito si registrano poche novità. Attorno alla spesa sociale continua il braccio di ferro di sempre tra governo da un lato e sindacati e regioni dall'altro".
Due le aree che secondo il rapporto sono al centro della mobilitazione e dello scontro nel 2013: la non autosufficienza e la lotta alla povertà. "La prima registra una parziale vittoria, anche grazie agli ammalati di Sla – continua lo studio - e alle loro famiglie e organizzazioni, che chiedevano 600 milioni di euro per il 2014, 700 per il 2015 per il Fondo per la non autosufficienza, e incassano invece 275 milioni per il 2014, più altri 75 milioni, dedicati all'assistenza domiciliare a persone affette da disabilità gravi e gravissime". Sul fronte della lotta alla povertà, invece sono molte le proposte e pochi i riscontri. "Restano inattuati un Piano di lotta alla povertà, coerente e organico, e l'istituzione di una misura di reddito minimo – spiega ancora il rapporto - anche se vi sono diverse proposte in questo senso, come il reddito di inclusione sociale attiva, proposto dalle AclI e Caritas o il sostegno di inclusione attiva, messo a punto da una commissione di esperti designata dal governo Letta. Tutto finisce con il decadere del governo di Enrico Letta, e sembra destinato a non decollare nemmeno con quello di Matteo Renzi. Rimane la criticatissima social card: ha una platea più ampia ed è meglio finanziata (810 milioni), ma resta una misura "tampone" in un contesto senza strategia, che raggiunge al massimo 450 mila poveri assoluti, a fronte di un totale di 5 milioni
Appello ai parlamentari del "Terzo settore"
In questo momento di crisi che sta portando a una vero e proprio "massacro del sociale" ci vuole una reale inversione di rotta della politica che deve agire in maniera forte e decisa. In particolare sono i parlamentari provenienti dal Terzo settore che ora devono farsi sentire con più decisione, perche "chi ha condiviso con noi tante battaglie sul fronte dei diritti civili e sociali, ora non può stare zitto, ma fare di più per evitare che siano colpite le fasce più deboli della popolazione". A sottolinearlo è il presidente del Cnca (coordinamento delle comunità di accoglienza), don Armando Zappolini, che a margine della presentazione del rapporto striglia i rappresentanti del terzo settore eletti in Parlamento con tanta speranza dal mondo dell'associazionismo ma per ora è ancora poco decisivi n termini di risultati. " Quella che stiamo vivendo è una tragedia immane sul fronte dei diritti sociali – aggiunge Zappolini – serve dunque un luogo di riflessione condiviso col mondo della politica. In particolare quello che chiediamo è che ci sia un intergruppo parlamentare, formato dai politici che arrivano dal nostro mondo, e che si occupi di pensare un nuovo modello di sviluppo". Allo stesso tempo, secondo il presidente del Cnca, il mondo del terzo settore deve unirsi per far sentire più forte la sua voce sui temi dell'economia: "ci vuole un cambiamento culturale anche al nostro interno- spiega – perché solo dal basso si può realmente costruire una società diversa".
Anche Luigi Manconi, presidente della commissione diritti umani al Senato fa appello alla politica: "I dati parlano di oltre 25 milioni di disoccupati in Ue e di una linea di precarietà e marginalità che in Italia comprende circa cinque milioni di cittadini – afferma – intanto sul porto di Lampedusa hanno ripreso ad arrivare i migranti, che vengono sistemati in fretta e furia e senza alcuna pianificazione. L'impotenza della politica in questo scenario è significativa quanto la sua ignominia. La mancanza di volontà di affrontare queste questioni, cioè, è grave quanto l'impotenza delle istituzioni. Ed entrambe non sono scusabili – continua Manconi – Questo quadro economico e sociale ha conseguenze nell'immediato. Sono saltate ormai tutte le distinzioni accademiche che suddividevano i diritti in famiglie, cioè in economici, sociali, civili, perché la violenza devastante di questa crisi tocca insieme vari aspetti dei diritti".
Per Sergio Segio, curatore del rapporto promosso da Cgil, siamo di fronte a un vero e proprio massacro del sociale. "La percentuale di impatto positivo che le politiche sociali e contro la povertà hanno di ridurre il rischio è in media al 35 per cento per l'Europa a 27, in Italia siamo al 19, 7 per cento, ultime in graduatoria insieme a Grecia e Bulgaria –spiega – L' Italia è, infatti, una cenerentola per quanto riguarda la spesa per il welfare: siamo al 23esimo posto per il sostegno alla disoccupazione, al 26 per cento per quanto riguarda malattie e invalidità e addirittura ultima per le voci di spesa dedicate a famiglia, infanzia, edilizia sociale e lotta all'esclusione. Guardando il dato della spesa per abitante, calcolato a parità di potere d'acquisto: Belgio, Germania, Irlanda, Francia, Austrie e Svezia spendono il 20-30 per cento in più di noi, Danimarca e Paesi Bassi addirittura il 40 per cento in più". Il pericolo di questo "smantellamento del welfare" spiega ancora Segio è che si arrivi a un "nuovo business dei servizi sociali che a livello europeo valgono 308 miliardi di euro". "L'economia in questi anni si è mangiata la politica – aggiunge Paolo Beni, deputato Pd e ex presidente dell'Arci – ma serve più coraggio per invertire la rotta in maniera radicale, in questo senso sono necessari investimenti importanti sul welfare".
Il ruolo del non profit
Il non profit resiste all'impatto della recessione e cresce nei numeri e nelle dimensioni, ma resta sostanzialmente ancora informale: nel decennio 2001-2011, che incorpora anche le prime ricadute della crisi, infatti, sui diversi settori produttivi e dei servizi in cui il terzo settore è impegnato, le imprese non profit di tutte le tipologie crescono complessivamente del 28 per cento, e lo fanno in tutto il Paese sebbene con ampiezza diversa (di più al Centro e al Nord): sono 301.191 nel 2011, erano 235.232. Il non profit rappresenta il 6,4 per cento della realtà produttiva del paese, ed è la prima nei settori della cultura e dello sport (con 239 istituzioni non profit su 100 imprese profit) e dell'assistenza sociale (con 361 istituzioni non profit su 100 profit).
Nonostante il settore rappresenti una "potenza" economica e produttiva, si legge nello studio, resta in esso una caratteristica forte di informalità: il 66,7 per cento delle organizzazioni – oltre 200 mila – è di tipo informale, solo il 22,7 per cento ha una forma giuridica riconosciuta, mentre il 3,7 per cento è rappresentato dalla cooperazione sociale e il 2,1 per cento da fondazioni (6.000). In totale, spiega il rapporto, il non profit contribuisce alla produzione complessiva per il 6,4 per cento e al lavoro retribuito per il 3,4 per cento: 680.811 sono i lavoratori dipendenti (11,9%), 270.769 esterni (4,9%) e 5.544 lavoratori temporanei (0,1%). Secondo dati UnionCamere, l'impresa non profit "tiene" egregiamente l'impatto della crisi: guardando a mortalità e natalità delle imprese cooperative, tra il 2009 e il 2013 il saldo è positivo, con un valore massimo di +2,3 per cento nel 2012 e un discreto +1,9 per cento nel 2013, con 7.784 nuove iscrizioni e 4.918 cancellazioni nel Registro delle Imprese. Nel panorama dei settori produttivi, quelli in cui la cooperazione è più presente, servizi in sanità e nel sociale e istruzione (8,6%) sono anche i settori dove non c'è stata flessione negativa, ma tenuta.
La cooperazione ha fatto più fatica, tra il 2012 e il 2013: negli ultimi quattro mesi del 2013 il 19,5% delle cooperative prevedeva tagli all'occupazione e non oltre il 15% prevedeva degli aumenti, dati che potrebbero salire, nel 2014, al 20% compensato da solo il 10% di cooperative in grado di assumere. I nodi sono il credito e i tempi dei pagamenti da parte dei committenti, spesso pubblici. Una cooperativa su tre non ha avuto dal credito le risposte che si aspettava, il 17 per cento ha avuto un netto rifiuto e il 14 per cento un prestito inferiore a quello richiesto; un altro 15,4 per cento ha ricevuto una richiesta di rientro e il 31 per cento ha subito un rialzo dello spread, solo un terzo, il 31 per cento, ha una liquidità soddisfacente.
Secondo il rapporto, "il volontariato italiano è solido e sta cambiando". Lo studio sottolinea infatti che esso ha una base forte, sociale e culturale, e tiene alle prove delle fasi alterne dell'economia e della politica, anche se "le sue modalità sono destinate a modificarsi almeno in parte, per esempio con il decollo di una miriade di forme autoorganizzate di neomutualismo a livello micro territoriale, facilitate dall'accesso al web e da una nuova, pervasiva connettività".
Nel decennio 2001-2011 in Italia si registra una crescita complessiva dei volontari, da 3.300.000 a 4.758.000, e delle associazioni che li includono, da 220.000 a oltre 243.000, di cui quelle che operano solo (o in prevalenza) con volontari sono 235.739 (il 78% del totale). L'incremento più imponente in percentuale dei volontari riguarda le fondazioni (ben +277% in 10 anni), e poi le cooperative sociali (+61%) mentre nelle associazioni informali, non riconosciute, crescono del 54%. Cambiano le forme, si sviluppa in anni recenti più l'aspetto neomutualistico, anche spinto dal bisogno dei cittadini di auto-organizzarsi per supplire a carenze del welfare e comunque per migliorare la qualità della vita e della coesione sociale. Le reti del nuovo mutualismo si alimentano tanto della comunicazione micro territoriale, di vicinato, quanto di quella virtuale: la strada e il web formano in molte città italiane un circolo virtuoso.
Diritti negati
Più che di crisi, si tratta di una "catastrofe globale" sul fronte dei diritti sociali ed economici: 27 milioni di disoccupati e 13 milioni di nuovi poveri in Europa. E un picco di privazione anche in Italia dove la povertà assoluta è raddoppiata tra il 2007 e il 2012.
In Italia raddoppia la povertà assoluta. Nel suo piccolo – spiega il rapporto - l'Italia contribuisce significativamente a questa mappa della privazione: il numero di quanti vivono in condizioni di povertà assoluta è esattamente raddoppiato tra il 2007 e il 2012, passando da 2 milioni e 400 mila a 4 milioni e 800 mila, l'8 per cento della popolazione. Il tasso di occupazione nel 2013 è tornato ai livelli del 2002: 59,8 per cento; all'inizio della crisi, nel 2008, era al 63 per cento. Peggio stanno solo i greci (con il 53,2 per cento), i croati (53,9 per cento) e gli spagnoli (58,2 per cento). Tra il 2012 e il 2013 sono stati persi 424 mila posti di lavoro. Dall'inizio della crisi hanno perso il lavoro oltre 980 mila persone. E il tasso di disoccupazione tra i giovani dai 15 ai 24 anni è arrivato al 42,4 per cento. A morire sono anche le piccole imprese: dal 2008 ne sono scomparse 134 mila, e "per quanto sia difficile stabilire nessi causali univoci e certi, alcuni studi indicano in 149 le persone che si sarebbero tolte la vita per motivazioni economiche nel 2013, quasi il doppio rispetto agli 89 casi dell'anno precedente" si legge nel rapporto.
Numeri moltiplicati e non meno tragici sul panorama mondiale: nel 2013 i disoccupati erano 202 milioni. Lievita anche il fenomeno dei lavoratori poveri ("working poor"): sono 200 milioni e sopravvivono in media con meno di due dollari al giorno. Questo stato di catastrofe – umanitaria, non solo economica – non è una realtà inevitabile, bensì il risultato di scelte politiche precise. Nessun serio investimento è stato fatto per promuovere l'occupazione e sostenere il lavoro. La rotta non è stata invertita e nemmeno corretta. Anzi. Secondo il rapporto "le politiche della Banca centrale, del Fondo monetario internazionale e della Commissione europea, la famigerata Troika hanno portato allo stremo i lavoratori e i ceti medi nel paesi destinatari dei programmi di assistenza finanziaria, Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Romania". Complice la crisi, è quindi in atto l'intensificazione di una "lotta di classe dall'alto", una resa dei conti totale con i sistemi democratici e di welfare, per come sono stati edificati nella seconda metà del secolo scorso, a partire dal modello sociale europeo. Sono potenti le spinte in direzione della privatizzazione dei servizi di protezione sociale in Europa, un potenziale mercato di 3.800 miliardi di euro l'anno, vale a dire ben il 25 del Pil, verso il quale si stanno indirizzando gli incontenibili appetiti dei gruppi finanziari e delle multinazionali.
"Risulta sempre più evidente il contrasto tra due idee diverse e antagoniste del mondo, la più forte delle quali, fondata sul dogma del libero mercato e sulla religione del profitto, vuole fare una definitiva tabula rasa di tutti i diritti faticosamente acquisiti dalle classi subalterne nel corso della seconda metà del Novecento – si legge nel rapporto -. La crisi globale ha reso maggiormente manifesta l'incapacità di perseguire alternative. Negli ultimi anni a livello mondiale si è assistito alla bancarotta del liberismo. Eppure i responsabili della crisi – grande finanza, corporations e tecnocrazie – hanno stroncato violentemente ogni ripensamento sui paradigmi della crescita infinita e dell'asservimento totale dei viventi alle logiche del profitto, che sono state architrave di quella dottrina fraudolenta. E ora addirittura rilanciano, con quel Transatlantic Trade and Investment Partnership, il trattato commerciale Usa-Ue che incombe sull'Europa".
Eppure - spiegano i promotori del rapporto - le proposte alternative sono da tempo sul tavolo. Ma "non bastano le piattaforme. Per trasformazioni di tale radicalità occorrono la forza politica, il consenso e la cooperazione sociale. Ma anche nuova cornice culturale e valoriale. Un'altra Europa e un'altra globalizzazione, insomma, quella dei cittadini, dei diritti e della solidarietà politica e sociale, ha bisogno di essere pensata e di nascere presto dalle macerie di quella delle monete e dei mercati – sottolineano. Secondo il rapporto, dunque, serve una riconversione ecologica dell'economia che deve soppiantare il castello di carte della finanza speculativa; un deciso investimento sul lavoro stabile e di qualità e su un nuovo welfare che devono contrastare la politica dell'austerità (solo in Grecia sarebbero 2.200 le morti direttamente riconducibili alle politiche del rigore) che sta strangolando economie e stato sociale e a cui l'Unione Europea e i singoli governi si sono inchinati". "Le alternative sono possibili, oltre che necessarie. Ma non possono che sortire dal basso, dalle forze vive del lavoro, della società, dei popoli. Per contrastare quel "colpo di Stato", difendendo la democrazia, ricucendo la profonda ferita delle diseguaglianze, ristabilendo equità e giustizia sociale. Globalizzando i diritti", conclude il rapporto.
Redazione (Fonte: Redattore Sociale)
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito radiocittadelcapo.it:

Servizi scolastici e disabilità assegnati al ribasso. Le coop scrivono al Comune


Bologna, 30 giu. – Ventidue milioni di euro. E’ la base d’asta di partenza del bando indetto dal Comune di Bologna per assegnare, col criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, i servizi cittadini in materia di integrazione scolastica e disabilità. Si parla di oltre 300mila ore di lavoro all’anno, 450 educatori e migliaia di bambini coinvolti per uno dei bandi più importanti in città. Ventidue milioni di euro (ma alla fine saranno di meno, visto che il meccanismo è quellodell’offerta al ribasso), da spalmare su tre anni (settembre 2014-settembre 2017) e che finiranno nelle tasche del vincitore, da settembre unico gestore tutti quei servizi che erano stati smembrati durante la gestione commissariale di Anna Maria Cancellieri: il cosiddetto “spezzatino”.
Ad essere allarmati dal bando sono sia i sindacati, che da tre settimane stanno chiedendo inutilmente un incontro col Comune, sia le cooperative bolognesi, che hanno spedito una lettera a Palazzo d’Accursio (e in conoscenza a Cgil, Cisl, Uil e Usb) esponendo le proprie preoccupazioni e chiedendo modifiche al capitolato. Tra chi sta valutando la partecipazione al bando i dubbi sono molti. E infatti l’Aci,l’Alleanza delle cooperative di Bologna, ha inviato al Comune di Bologna un documento (Qui in versione Pdf ) in cui si evidenzia tutto quel che non funziona nel bando di gara, e si chiede di “apporre gli opportuni correttivi”.
Nel disciplinare pubblicato sul sito del Comune, ragiona l’Aci, si specifica infatti come 30 punti su 100 saranno assegnati all’offerta economicamente più bassa. Trenta punti che saranno decisivi visto che sui temi dell’organizzazione del lavoro e del progetto educativo (i restanti 70 punti) tutte le coop presenteranno proposte non così dissimili, e quindi le valutazioni non dovrebbero poi variare di molto. “Si propone – si legge nella lettera firmata Aci – una gara in cui si dà rilievo principalmente, se non esclusivamente, al ribasso in termini economici“. C’è di più. Nel bando si specifica, in neretto e con sottolineatura, che “saranno accettate solo offerte in ribassorispetto alla base di gara stabilita”. E visto che la proposta più bassa intascherà 30 punti, la competizione sul prezzo sarà forte perché decisiva. Col problema, secondo i calcoli di Aci Bologna, che i 22 milioni di euro posti a base d’asta rischiano già di per sé di non permettere al vincitore di coprire i costi del lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali di settore. Insomma, chi vincerà potrebbe da subito essere costretto a comprimere il costo del lavoro, con tutto quel che ne consegue in materia di diritti e delle retribuzioni di educatori e assistenti. “I prezzi posti a base d’asta sono già di per sé incongrui dal momento che al costo del lavoro puro, non intaccabile, sono stati aggiunti soltanto un 3% per i costi generali, contro il 10% del tabellare provinciale”.
Il risultato, spiega l’Alleanza delle cooperative, è che il rischio “è sia quello di diminuire la qualità complessiva dei servizi verso gli alunni disabili, dei servizi di prevenzione educativo/pedagogica e integrativi scolastici, sia abbassare la qualità del lavoro e delle professionalità di quelle organizzazioni che hanno negli anni tutelato il lavoro e la qualità del servizio offerto”.
Infine nel capitolato si citano di sfuggita anche i servizi estivi, che Cgil e Usb stanno da tempo chiedendo di inserire in maniera organica nella gestione dei servizi scolastici così da assicurare agli educatori uno stipendio per 12 mesi l’anno. Difficilmente però, vista la situazione, il vincitore avrà la possibilità di farsi carico anche degli educatori dei campi estivi.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito disabili.com:


DISABILITA' E ABBANDONO SCOLASTICO: COME INTERVENIRE?



Il fenomeno dell'abbandono scolastico è pressoché inesistente nella scuola primaria ma aumenta negli altri gradi: come intervenire?

Nel nostro Paese vi è un'attenzione molto alta alla regolarità della frequenza degli alunni nella scuola dell'obbligo. Nelle scuole secondarie di secondo grado, però, quando viene meno l'obbligo, non è raro assistere a situazioni di abbandono scolastico. Questo fenomeno è diffuso anche tra gli allievi con disabilità?

Secondo il rapporto Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, realizzato nel 2011 da Associazione Treellle, Caritas Italiana e Fondazione Giovanni Agnelli, non ci sono nel nostro Paese gravi e generalizzati fenomeni di evasione totale dell'obbligo scolastico da parte dei ragazzi con disabilità. Il dato è certamente confortante; purtroppo, però, si legge nello stesso studio, è frequente assistere a casi di abbandono sommerso, disaffezione, frequentazione irregolare e progressivo allontanamento dalla scuola.

Tali situazioni sono in realtà pressoché inesistenti nella Scuola Primaria ma, procedendo poi negli altri gradi, diventano sempre più diffuse. Ad oggi, continua il rapporto, il MIUR non ha ritenuto l'incidenza del fenomeno così significativa da prevedere un intervento per il suo contenimento, ritenendolo, evidentemente, un fenomeno fisiologico accettabile. Eppure, considerando i titoli di studio posseduti fino all'anno 2005, si riscontra che il 16% delle persone adulte con disabilità non possiede alcun titolo di studio e quasi il 60% possiede solo licenza di scuola primaria o di secondaria di primo grado. Con intervenire, dunque, per arginare il problema?

E' necessario che tutti gli attori coinvolti del processo di integrazione scolastica degli allievi con disabilità creino le condizioni per garantire una frequenza regolare, proficua e soddisfacente, progettando ambienti inclusivi ed impegnandosi per il superamento delle condizioni che creano disaffezione: barriere architettoniche,sovraffollamento, carenza di personale, esposizione ad emarginazione ecc. La scuola, cioè, deve saper accogliere tutti, a prescindere dalle specificità, creando condizioni inclusive in ogni suo aspetto. Troppe volte, invece, tutto ciò è disatteso, anche a causa della crescente politica di decremento delle risorse assegnate alle scuole, tra cui  proprio quelle destinate all'integrazione scolastica.

Non mancano, però, le iniziative propositive degne di nota. Nella provincia di Cosenza, ad esempio, è stato avviato quest'anno il progetto Non solo compiti da parte dell'associazione Gli altri siamo noi, con il supporto della Provincia di Cosenza. La finalità del progetto è stata quella di incrementare il successo scolastico, l'autostima, l'integrazione, l'adattamento e la salute, attraverso il potenziamento delle competenze degli alunni con disabilità. Si tratta di un'esperienza pilota che a partire dai bisogni, dai fattori di contesto, dalle potenzialità e dalle azioni positive possibili, ha fornito supporto alle famiglie nei compiti educativi e nelle scelte, coordinando l'azione di figure educative, mediando nei rapporti tra scuola e famiglia e realizzando interventi extrascolastici su obiettivi condivisi. Il percorso ha favorito l'autostima e il senso di competenza, la capacità di studiare per imparare, la motivazione allo studio.

Interventi del genere, calati nel territorio, attivi, posso certamente aiutare le famiglie e gli allievi. Non posso bastare, certamente, ad arginare l'abbandono scolastico ma di certo vanno nella direzione del suo superamento.

--------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito ilfattoquotidiano.it:


Disabili: prove tecniche di classi differenziali


Le classi differenziali per i disabili stanno riaffacciandosi nella scuola italiana. Questo sta accadendo alla chetichella nella provincia di Napoli, cercando di contenere le proteste, peraltro contenute, degli addetti ai lavori. Per realizzare un golpe nel sistema scolastico inclusivo al quale l’Europa e l’Occidente tutto guarda ancora oggi con attenzione, si è scelto di far finta di niente, di lasciare che il fatto accada senza clamori particolari. Lo schema è quello classico: si identifica un piccolo comune, un istituto comprensivo, una classe della scuola primaria e, progressivamente, se ne  stravolge la composizione.
Oggi, infatti, nella classe Terza sez. A dell’Istituto comprensivo De Ruggiero di Brusciano risultano iscritti quattro alunni disabili su un totale di ventidue. La scuola ha provato, invano, con gli strumenti a disposizione,  a chiedere quello che in un Paese normale dovrebbe accadere in tali circostanze: lo sdoppiamento della classe. Il csa di Napoli (leggasi il provveditorato) non ha ritenuto di dovere fare nulla e quindi, con tutta evidenza, da settembre a Brusciano partirà un’esperienza pilota di distruzione della scuola dell’inclusione.
Quando fummo, qualche mese fa, invitati ad intervenire ebbi l’ingenuità di credere che una soluzione l’ufficio scolastico regionale ed il csa l’avrebbero trovata. Ingenuità appunto. Oggi sappiamo quello che succederà per 22 alunni di cui 4 con disabilità medio-gravi (il lettore scusi questa orribile precisazione alla quale peraltro la Pubblica amministrazione è molto sensibile) dal prossimo mese di settembre. Ci sarà un insegnante di sostegno,  probabilmente non di ruolo e poco specializzato e uno spazio “separato” nel quale i quattro bambini disabili trascorreranno il tempo scuola.
Forse qualche genitore di bambino normodotato e qualche insegnante guardando la scena che si ripeterà tutti i giorni con la “deportazione” (il termine non è casuale) al mattino dei bambini disabili osserverà compiaciuto e/o indifferente quello che accade agli “altri”. Qualche esperto del ministero in viale Trastevere forse è già all’opera per riproporre la geniale idea delle scuole polo per i disabili e, statene pur certi, citerà ad esempio virtuoso la scuola De Ruggiero di Brusciano.
P.s. E’ singolare che questo accada a distanza di poco tempo dall’incontro che la associazione Tutti a scuola ha avuto con 22 parlamentari della città di Berlino venuti a Napoli a scoprire i pregi ed i limiti della scuola dell’inclusione italiana. Forse è arrivato il momento di intervenire per il ministro Giannini e l’on. Faraone. Altrimenti qualcuno dovrà spiegare alla signora Merkel che il modello della scuola inclusiva italiana che stanno pensando di attuare finalmente anche in Germania si è fermato a Brusciano.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito disabili.com:

CHIUSURA OPG (OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARI): LE SOLUZIONI SONO OTTIMALI?


Pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge che prevede la chiusura degli OPG entro il 31 marzo 2015. Ma ci sono polemiche

Sulla questione degli OPG – Ospedali Psichiatrici Giudiziariancora non si trova la quadra, anzi. Da tempo è prevista la chiusura di quelle strutture (sono 5 ancora funzionanti in Italia) che accolgono gli “infermi di mente” che abbiano commesso dei gravi reati. L’obiettivo di questi istituti, nati nella seconda metà dell’ottocento, era quella di predisporre misure di custodia necessarie, unite però a un processo di cura per queste persone.

IL DEGRADO DEGLI OPG – Nel tempo, però, queste strutture sono diventati luoghi nei quali il degrado – più ancora che nelle carceri ordinarie –  e la totale assenza di dignità delle persone detenute hanno dimostrato il necessario, impellente e non più prorogabile loro superamento. In particolare, unaCommissione del Senato guidata da Ignazio Marino nel 2010, dopo aver verificato lo stato di inaccettabile deterioramento, aveva proposto il superamento e la chiusura degli OPG e la creazione di nuove strutture.

IL SUPERAMENTO DEGLI OPG - Da allora si sono susseguiti vari slittamenti  e rimpalli temporali, fino alla disposizione normativa che, convertendo il decreto legge 52 del 31 marzo 2014 in  legge (la legge 30 maggio 2014 n. 81 di conversione del Dl 52/2014), ha prorogato al 31 marzo 2015 il termine ultimo per il superamento degli OPG e la conseguente entrata in funzione delle REMS (Residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza). A questo punto le Regioni hanno tempo fino al 15 giugno 2014 per modificare i programmi di riqualificazione dei dipartimenti di salute mentale presentati in precedenza.

COSA CAMBIA? - Alcune modifiche di legge hanno però fatto storcere il naso a psichiatri, magistrati, insomma,a gli addetti ai lavori. Tra queste, il fatto che sono gli attuali servizi di psichiatria (Dipartimenti di Salute Mentale: DSM, vedi reparti ospedalieri, centri diurni, comunità, appartamenti assistiti) a essere individuati come luogo di invio delle persone non imputabili poiché hanno commesso reati in stato di incapacità, ma al contempo da custodire per la loro pericolosità sociale. Su questo punto, insorgono gli esperti di psichiatria, sottolineando che non si tiene conto del fatto che gli attuali DSM non si occupano di persone 'incapaci di intendere e di volere' ma di precise patologie psichiatriche che richiedono, per essere curate, adeguati ambienti di cura. In sostanza si vuole dire: se e solo se si sarà accertato che la persona che ha compiuto il tal reato è affetta da un disturbo mentale che rientri nell’ambito delle sue specifiche competenze assistenziali dei DSM , questi se ne devono fare carico. Ma poichè persone giudicate affette da “infermità mentale” in senso giuridico possono essere affette per quanto concerne gli aspetti terapeutici da disturbi di competenza di altri settori assistenziali(neurologia, geriatria, medicina interna, servizi per le dipendenze etc.), la soluzione sotto questo punto di vista non sembra adatta.


PROBLEMA SICUREZZA – Non solo gli addetti ai lavori (medici psichiatri in primis) sottolineano le debolezze del provvedimento sotto il profilo sanitario. Anche nel mondo della magistratura è stato lanciato un “allarme sicurezza” (vedi la lettera del giudice del Tribunale di Roma, Paola Di Nicola all'Associazione Nazionale Magistrati di cui ha parlato La Repubblica).
In particolare sotto la lente d’ingrandimento è la disposizione introdotta dal Senato, al comma 1 quater, che dispone che “Le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima” (eccezione fatta nei reati per i quali è previsto l’ergastolo”. Questo significa che persone considerate ad alta pericolosità potrebbero tornare libere senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie.


CARTA PER IL SUPERAMENTO DELLE LOGICHE MANICOMIALI - A conferma di questo malessere, è stata stilata la Carta per il Superamento delle Logiche Manicomiali, che sta racogliendo il consenso di psichiatri, magistrati  associazioni di famigliari. Sono proprio gli aderenti a questa carta a definire inadatta la soluzione attuale, affermando come “L'idea guida della legge è il trasferimento - tout court - della problematica degli OPG agli attuali servizi di salute mentale: tutti gli autori di reato, non imputabili per qualsiasi motivo mentale: pazienti psichiatrici, dementi, minorati psichici, intossicati da droghe, persone con condotta antisociali, tutti - in assenza di strutture alternative - transiterebbero dal carcere ai servizi psichiatrici”. I sottoscritti firmatari della  mozione ritengono che “ci si debba occupare SUBITO delle persone recluse negli OPG per le quali, a quasi 4 anni dall'inchiesta della Commissione Marino, non sono state ancora individuate soluzioni che garantiscano a tutte di poter essere prese in carico, trattate e seguite negli ambienti più appropriati con l’obiettivo ultimo di una loro reale inclusione sociale”.

Queste le loro proposte:
Proponiamo quindi quanto segue:
1) LE PERSONE CON DISTURBI MENTALI  dovranno essere accuratamente valutati dai Servizi di Salute Mentale per decidere il migliore percorso di cura che potrà - SULLA BASE DELLE PROBLEMATICHE SPECIFICHE - essere caratterizzato dai diversi livelli d'intensità assistenziale, da quello territoriale a quello residenziale! Il criterio di fondo per l'invio al Dipartimento di Salute Mentale deve essere l’individuazione di un percorso terapeutico-assistenziale-riabilitativo finalizzato al miglior funzionamento possibile svolto nelle strutture previste per i Disturbi Mentali.

2) Le PERSONE CON DEMENZA O ALTRI PROBLEMI NEUROLOGICI IRREVERSIBILI, PSICOORGANICI, O RITARDO MENTALE dovranno avere la garanza di interventi appropriati in specifiche strutture assistenziali non ricomprese nelle strutture del Dipartimento di Salute Mentale.

3) Le persone con PROBLEMI ALCOL-CORRELATI E CON PROBLEMI DI DIPENDENZA DA SOSTANZEdevono avere la garanzia di essere inviate nei servizi preposti più competenti nella cura delle dipendenze.

4) Le persone che hanno una CONDOTTA ANTISOCIALE, se ritenute non imputabili ex art. 88 del Codice Penale, potranno essere inviate in appropriati percorsi correzionali specifici o essere soggetti a prescrizioni a cura dell'Autorità Giudiziaria. Per queste persone i precedenti percorsi non sarebbero di fatto appropriati, né terapeutici.

Forte è già l’adesione all’appello, che si trova qui, ma anche alla pagina Facebook dedicata



-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:


Bimbo Down rifiutato al centro estivo. “Non volevo discriminare”

Amareggiato per il “linciaggio morale” su Facebook, il referente del campus Ottavia di Roma difende la sua scelta: “Non siamo preparati per gestire una situazione di disabilità, non me la sentivo di prendermi la responsabilità”

16 giugno 2014
ROMA – E’ amareggiato e dispiaciuto, parla piano. Raggiunto al telefono, sulle prime dice di non voler parlare, ancora prima che gli si spieghi il motivo della chiamata. Dice di capire la rabbia del genitore. Dice però di essere oggetto di un giudizio sommario in cui non si riconosce, parla di linciaggio morale su Facebook (che non usa) e di caccia alle streghe incontrollabile. Racconta di aver ricevuto, in queste ore, attestati di solidarietà e di fiducia da chi, nella borgata Ottavia di Roma, lo conosce nella sua attività trentennale di allenatore di calcio e gli ha affidato i propri figli. Lui è il referente del centro estivo Ottavia, in via delle Canossiane, che l’altro giorno ha rifiutato Danilo, bambino Down, scatenando la rabbia dei genitori che hanno voluto rendere nota la vicenda.
Quanto racconta su Facebook Andrea Mantovani, il padre di Danilo, è vero, ammette. “Io non me la sono sentita di prendermi questa responsabilità, di gestire la situazione di Danilo, perché serve una preparazione. Ho avuto anche il conforto di psicologi che mi dicono che servono operatori qualificati. Ma non volevo discriminare. Non sono razzista. Mi ritengo una persona onesta intellettualmente. Si mette in discussione la mia moralità, e chi ha tentato di difendermi nel web – perché mi conosce, perché ho cresciuto i loro figli – ha ricevuto insulti. Vorrei che la cosa si smorzasse…”.
Non ha per niente pensato che le sue parole andassero “oltre”, come dice. Anzi, rifarebbe “la stessa cosa”, ma stavolta “mi spiegherei meglio, non ho usato le parole giuste”. “Io non opero nel campo dei disabili, probabilmente è stata mancanza di sensibilità nei confronti del genitore, ma la cosa è stata strumentalizzata”. Cosa temeva che sarebbe successo, se Danilo avesse frequentato il centro estivo come tutti? In quella giornata che è stato ad Ottavia si è rivelato pericoloso per sé e per gli altri bambini? “Assolutamente no”, ma “io devo tutelare i bambini. Penso che anche altre strutture avranno lo stesso problema”. Temeva, il referente del centro estivo, che “riferissero a casa situazioni spiacevoli”. Per esempio, chiediamo cosa avrebbero potuto dire a suo avviso, visto che nell’arco di una giornata ha potuto vedere i comportamenti di Danilo. La risposta non la trova, ma cita un esempio che dovrebbe mostrare come le regole del campus sono uguali per tutti senza discriminazioni: “Alcuni ragazzi dicono le parolacce e io ho intimato di non dirle altrimenti vanno fuori”. (ep) 
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito disabili.com:


L'ITALIA TRA I PAESI EUROPEI CHE SPENDONO MENO PER LA DISABILITA'


Falabella (Fish): "La disabilità e la non autosufficienza sono uno dei primi elementi di impoverimento e di rischio di povertà delle famiglie e degli individui"

Ne avevamo già parlato, ma sugli ultimi dati Istat (rapporto annuale 2014 ISTAT sulla situazione del Paese, ndr) si potrebbero fare diverse analisi molto approfondite, con conseguenti riflessioni. Sul fronte disabilità ci pensa la FISH, Federazione Italiana per il superamento dell'Handicap, che ancora una volta, con dati alla mano, sottolinea il legame purtroppo forte tra disabilità, non autosufficienza e rischio povertà per la popolazione italiana.

L'analisi è quindi una osservazione a tutto tondo che porta Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap, a fare un amaro resoconto dei risultati delle politiche sociali: "Arriva dall'ISTAT il sigillo ufficiale sul disastroso stato delle politiche per l'inclusione e la disabilità in Italia su cui da anni FISH chiede un intervento radicale e di sistema."

E' sul quarto capitolo, quello  che ci restituisce uno spaccato delle condizioni di vita delle famiglie e delle politiche di welfare del nostro Paese, che si concentra la riflessione. Dai dati emerge che tra i 28 Stati membri dell'UE, l'Italia è settima per la spesa in protezione sociale che comprende la spesa in Sanità, Previdenza e Assistenza. Nel 2011, l'Italia ha destinato per questa funzione il 29,7% del proprio Prodotto Interno Lordo, valore al di sopra della media europea, pari al 29% del PIL.

Questi i numeri, ma puntuale arriva l'analisi della Fish, che dichiara: "Sembra una buona notizia ma questa settima posizione è caratterizzata da forti disomogeneità rispetto alle voci di spesa: in pensioni di anzianità e vecchiaia se ne va il 52% contro la media europea del 39,9 e pone l'Italia in cima alla classifica. Il nostro Paese è invece penultimo per la voce "Famiglia, maternità e infanzia" con il 4,8% (la media europea è l'8%). Tradotto: 1,4 del PIL".

Infine il focus sulla disabilità, dove la situazione è decisamente negativa. "Nel 2011, è stata pari in Italia al 5,8% della spesa complessiva in protezione sociale, a fronte del 7,7% della media europea. Si tratta di pensioni di invalidità, contributi per favorire l'inserimento lavorativo, servizi finalizzati all'assistenza e all'inclusione sociale e strutture residenziali. Questo ci colloca tra i Paesi con le percentuali più basse di spesa destinata alla disabilità. A spendere percentualmente meno dell'Italia sono solo Grecia, Irlanda, Malta e Cipro. Prestazioni che pesano solo per l'1,7% sul nostro Prodotto Interno Lordo.
Di questa percentuale l'1 per cento è destinato alle provvidenze (pensioni e indennità) per l'invalidità civile e solo lo 0,7 del PIL è destinato ai servizi per l'inclusione sociale o per strutture residenziali."

Insomma, razionalizzare la spesa non basta. Bisogna aumentare l'intervento economico "per allinearci almeno alla media europea, cioè investire sulla disabilità come minimo un altro mezzo punto di PIL e altrettanto su famiglia, infanzia, maternità.", dichiara la Fish.

Si parlava del legame tra disabilità e rischio povertà. Anche su questo torna la Fish, che ricorda: "I dati di raffronto con l'Europa si sommano a quelli drammatici sull'impoverimento e sulla fortissima sperequazione fra Nord e Sud del Paese. Solo per citarne uno, nell'area disabilità le differenze territoriali risultano insostenibili: mediamente un Cittadino con disabilità residente al Nord-Est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua pari a 5.370 euro, contro i 777 euro del Sud. La FISH entra nel dettaglio dell'analisi dei dati nel proprio sito www.condicio.it.

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito contropiano.org:


Appalti scuola. Lavoratori in presidio al ministero


Estate senza stipendio, anche se con contratto a tempo indeterminato
Sono in presidio questa mattina a Roma, sotto la sede del ministero del Lavoro in Via Veneto, i dipendenti delle imprese che operano negli appalti scolastici i quali, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, non percepiscono né stipendio né disoccupazione o cassintegrazione nei mesi di chiusura delle scuole.
I lavoratori  manifestano per chiedere al Ministro Poletti di adottare provvedimenti veri di sostegno al reddito, per mettere fine alla condizione di estrema incertezza di questi lavoratori e lavoratrici che assicurano l’istruzione, la sorveglianza, le pulizie e l’alimentazione nella scuola d’infanzia ed in quella primaria. 
Nel corso della manifestazione sono previsti incontri in Parlamento con deputati e senatori del Movimento 5 Stelle                                            
“La richiesta che questi lavoratori vogliono portare al ministro -  spiega Emidia Papi, dell’ Esecutivo Nazionale USB -  è di superare le attuali forme di ‘precarietà’ di chi viene coinvolto in processi produttivi con periodi di interruzione del servizio. Va consentito a chi opera in questi servizi, ed ha un rapporto stabile con una singola azienda, di avere le garanzie di un contratto a tempo indeterminato. Ma anche di continuità di reddito – sottolinea Papi – prevedendo nei periodi di sospensione il sostegno dell’indennità di disoccupazione, oggi denominata ASPI, trattandosi di una vera e propria inattività involontaria come per i rapporti a termine”.
“Sarebbe una riforma a costi limitati, che garantirebbe la continuità lavorativa, con conseguente effettiva certezza dei diritti e del reddito, sottraendo i lavoratori ad una condizione ancora più insopportabile in tempi di crisi e rispetto alla quale un ‘Governo del fare’ dovrebbe fare e al più presto”, conclude la dirigente USB.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito disabili.com:


DISABILITA': OCCORRE DIALOGO TRA SCUOLA E TERRITORIO PER PROGETTARE UN FUTURO DI PARTECIPAZIONE


Il numero delle persone con disabilità è in costante aumento ma dopo la scuola sono relegate ai margini della vita sociale e professionale

Come avevamo evidenziato nei giorni scorsi, secondo una recente indagine del Censis, la percentuale di persone con disabilità è pari al 6,7% della popolazione totale, cioè 4,1 milioni di persone. Tale percentuale è destinata a salire ed entro il 2040 giungerà al 10,7%, 6,7 milioni.
Milioni di persone che, dopo la scuola, sono destinate all'invisibilità.

Nel nostro Paese il soggetto centrale della cura è la famiglia. Essa, fino alla minore età, può contare su una delle poche, se non l'unica, risposta istituzionale alla disabilità, cioè l'inclusione scolastica, che pur con tutti i suoi limiti, rappresenta un'importante o forse l'unica occasione di inclusione sociale.

I NUMERI DELLA SCUOLA - Gli alunni disabili nella scuola statale sono quasi 210 mila. Cosa accade nel tempo nelle situazioni di disabilità intellettiva? Nel caso della sindrome di Down, l'inclusione scolastica nella scuola dell'obbligo supera il 97%, ma tra i 15 e i 24 anni la percentuale scende a poco meno della metà. Più del 93% dei ragazzi con disturbi dello spettro autistico frequenta la scuola, ma il dato scende a circa il 67% tra i 14 e i 20 anni, e arriva a meno del 7% tra chi ha più di 20 anni.

I problemi più significatiti, dunque, nel caso della disabilità cognitiva, emergono con il raggiungimento dell'età adulta. Che è di questi ragazzi una volta compiuto il percorso scolastico? Nulla, restano a casa, con le famiglie.
Ma non si era parlato di progetto di vita?

Dopo l'età scolastica, gli adulti con autismo e con sindrome di Down scompaiono nelle loro case, ed hanno ridottissime opportunità di inserimento sociale e professionale. Nel mondo del lavoro, cioè, l'inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% dei giovani con sindrome di Down, dei quali la maggioranza non ha un contratto di lavoro standard. Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali e in oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo. Ancora più grave è la situazione per le persone autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.

DELEGA ALLA FAMIGLIA - I disabili adulti rimangono dunque in carico alle famiglie, con sostegni istituzionali limitati, centrati quasi esclusivamente su un carente supporto economico. Poco sviluppata è inoltre la spesa per i servizi, che rappresenta meno del 6% del totale. Alcuni frequentano i centri diurni, molti altri restano a casa ed i genitori impegnano circa 17 ore al giorno nell'assistenza diretta. Nel tempo aumenta il senso di abbandono e cresce lo sconforto delle famiglie, che lamentano di non poter contare sull'aiuto di nessuno, pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli. Se ancora essi si mostrano fiduciosi quando sono in età scolare, le speranze crollano poi drasticamente nel duro impatto con la realtà che li riguarda in età adulta.

BISOGNA FARE QUALCOSA - La scuola è importante, ma non basta. E' ciò che di buono abbiamo, ma deve preparare al dopo, alla partecipazione attiva, al lavoro, alla massima autonomia possibile. Occorre che quel progetto di vita di cui tanto si parla non rimanga lettera morta negli archivi delle segreterie scolastiche ma diventi concreto programma di sviluppo delle potenzialità, dialogo costante con le risorse del territorio, in un'ottica di integrazione sociale e lavorativa: esperienze sul campo, tirocinio, apprendistato in età scolare? Parliamone, ma facciamo qualcosa!

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito globalproject.info:


Rimini: Educatori sociali e gare al ribasso? Autorganizziamoci

Comunicato ADL Cobas Rimini


6 / 6 / 2014
L'assegnazione dell'appalto per i servizi educativi necessari agli studenti e alle studentesse disabili nelle scuole elementari e medie del Comune di Rimini alla City Service (cooperativa di Busto Arsizio) ha riacceso i riflettori anche nel nostro territorio su un settore lavorativo che negli ultimi anni, in nome dell'austerità (dati Istat: 78 milioni di euro prosciugati dal 2008 al 2012 dalla Troika al portafoglio Italia alias tagli ai servizi sociali e sanitari), sta subendo pesantissimi attacchi senza alcun argine sociale e politico oltreché sindacale.
Un Settore - quello dei servizi sociali - caratterizzato dall'ormai diffusissimo utilizzo dei contratti da socio-lavoratore (che prevedono fra le altre cose l'obbligo delle quote sociali annuali ovvero trattenute che le cooperative fanno direttamente sulle buste paga dei lavoratori), quasi sempre part-time, caratterizzato da bassissimi salari (il CCNL è rispettato dalla stragrande maggioranza delle cooperative del territorio ma applicando il minimo contrattuale ovvero 7/ 8 / 9 euro lordi orari a seconda degli scatti di anzianità e del livello di inquadramento), dalla discontinuità lavorativa, per un personale comunque ad alta e in continua formazione.
E tra il patto di stabilità e i conseguenti tagli ai servizi sociali e l'ossessiva ripetizione del mantra “illibero mercato risolve tutto e si autoregola”, l'unica certezza è il progressivo aumento della precarietà e povertà degli operatori sociali ma anche dei servizi stessi con una drastica riduzione dei diritti sia dei lavoratori e delle lavoratrici che delle persone che hanno bisogno di un “dato” servizio.
Il bando in oggetto prevede, infatti, una clausola sociale per cui solo il 70% degli educatori ed educatrici impiegati attualmente nelle scuole sarà assorbito dalla cooperativa vincitrice (City Service), con la conseguente perdita di posti di lavoro per molti operatori. Ma in ogni caso anche per coloro che saranno assorbiti dalla nuova cooperativa significherà ripartire come neo-assunti e ciò potrebbe comportare l'azzeramento dei livelli di inquadramento e degli scatti di anzianità acquisiti negli anni precedenti e la prospettiva di avere 2 contratti entrambi part-time con 2 cooperative diverse per poi continuare a fare esattamente lo stesso lavoro precedente con maggiore precarietà e un rapporto di lavoro con Cooperative diverse.
Le gare d'appalto anche nel settore educativo e aldilà delle scadenze programmate nascondono – spesso - operazioni truffaldine (molto simili a quelle delle cooperative nella logistica) e gare sempre più al ribasso che tagliano il costo del lavoro e riducono la qualità del servizio educativo.
Stiamo parlando – peraltro - di lavoratori e lavoratrici laureate o con un'alta professionalità maturata attraverso una costante/continua formazione e anni di servizio prestato in Cooperative territoriali che spesso hanno forti legami con la politica (Pd), con le organizzazioni sindacali confederali o sono l'emanazione di interessi particolari (Diocesi).
A decretare la vittoria – da quanto si apprende dalle agenzie di stampa - è stata soprattutto l'offerta economica al ribasso fatta dalla Cooperativa lombarda City Service e a questo proposito fanno riflettere la dichiarazione dell'assessore Gloria Lisi che da questo mondo proviene:
Nel regolamento attuativo imposto dal bando europeo c'è anche il criterio del miglior prezzoe purtroppo la legge impone di seguirlo, anche se l'ambito è molto delicato”.
I vincoli imposti dal patto di stabilità e i sacrifici chiesti dall'UE sono usati spesso come scudo dagliamministratori locali che in questo modo avvallano le politiche di smantellamento dei servizi sociali e del Welfare così come l'abbiamo conosciuto (si veda a tal proposito anche la vertenza degli scorsi anni delle assistenti domiciliari), mentre nel frattempo si destinano risorse per le grandi opere inutili e dannose e per i grandi eventi estivi senza un batter di ciglio.
Come ADL Cobas non solo rifiutiamo categoricamente la logica delle gare al ribasso e delle operazioni truffaldine delle Cooperative Sociali del settore che producono un peggioramento delle condizioni lavorative degli educatori e delle educatrici oltreché della qualità dei servizi (alias delle persone che ne necessitano che sono vite umane e non numeri di qualche statistica) ma crediamo sia necessario aprire un percorso pubblico di riflessione e di mobilitazione di tutti i lavoratori e lavoratrici del settore.
È necessario invertire la rotta affinché siano garantiti salari dignitosi e continuità lavorativa e professionale, insieme a qualità del servizio e alla supervisione necessaria per interventi così importanti e delicati come l'assistenza ai e alle disabili nelle nostre scuole ma non solo.
Per poterlo fare è necessario autorganizzarsi e provare a costruire un orizzonte comune di rivendicazioni e lotte che coinvolga, oltre agli operatori e alle operatrici sociali anche le famiglie e tutte le persone interessate.
Proprio per queste ragioni convochiamo per Lunedì 9 giugno alle ore 20.30 presso la Casa della Pace in via Tonini, 5 (dove ha sede il nostro sportello) un'assemblea per discuterne con tutti gli interessati.
Adl Cobas – Emilia Romagna (RIMINI)
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo dal sito radiocittadelcapo.it:

Sciopero degli educatori. Blitz in Consiglio Comunale

educatori
Bologna, 4 giu. – Senza stipendio per i mesi estivi, senza pasto mentre i bambini mangiano a pranzo, con salari talmente bassi da non poter accedere neanche al “bonus” degli 80 euro. Gli educatori di Bologna, che hanno accolto l’invito allo sciopero di Usb, oggi non sono andati a scuola, dove di solito si occupano dell’affiancamento ai bambini con handicap, ma si sono ritrovati in presidio in piazza Maggiore.
Chiedono al Governo che si impegni per una soluzione che garantisca loro la continuità del reddito, ma si rivolgono anche all’amministrazione comunale. Per questo in alcune decine sono entrati nella sala del Consiglio Comunale con lo striscione “educatori affamati e disoccupati”, interrompendo la seduta. Gli educatori puntano il dito contro il nuovo bando per i centri estivi, che aprendo al volontariato, toglierebbe a loro l’unica opportunità di continuare a lavorare anche d’estate.
Durante il presidio il collettivo Eat the rich ha portato il pranzo ai manifestanti, un modo per ricordare anche che gli educatori, anche quando sono di turno in mensa, non hanno diritto al pasto.

Riprendiamo dal sito disabili.com:


FISH A RENZI: SERVONO AZIONI PER LA DISABILITA' E LA GIUSTIZIA SOCIALE


Tra le richieste della FISH, interventi per rilanciare la spesa sociale, attuare il Piano di azione biennale per la disabilità e ripensare l'inclusione sociale

A margine delle recenti consultazioni elettorali che di fatto hanno premiato e confermato l'opera del premier Matteo Renzi, laFISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap) chiedere al Presidente del Consiglio di apportare alcune modifiche migliorative alle prossime azioni di Governo in un'ottica di rilancio dei servizi e dell'assistenza alle persone con disabilità e fragilità sociale.

Così la Fish in un comunicato stampa:

Calati i toni di una intensa campagna elettorale, FISH ritrova il clima più consono per rilanciare i temi che più le appartengono: quelli delle politiche sociali.
"Ci aspettavamo che un decreto che ha nell'oggetto la giustizia sociale cogliesse l'occasione per un rilancio delle politiche sociali a favore delle persone con disabilità, gli anziani, i minori."

La riflessione è di Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap, a margine del Decreto-legge 66/2014, più noto per essere il provvedimento che ha concesso i "famosi" 80 euro nelle buste paga di chi ha un reddito inferiore ai 24mila euro. Il decreto è in questi giorni all'esame del Parlamento per la conversione in legge.

"È un provvedimento che contiene molti elementi positivi in termini di trasparenza e ristrutturazione della gestione pubblica, che spinge verso una modalità di spesa più razionale, contenendo sprechi e abusi. Ma prevede anche significative restrizioni per Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. Oltre che ai Ministeri."
Il decreto, in effetti, impone risparmi per 2,1 miliardi nel 2014.
Ai Ministeri 200 milioni (300 nel 2015 e nel 2016) vengono "tagliati" direttamente dal decreto-legge riducendo i relativi stanziamenti. I rimanenti 500 dovranno essere recuperati direttamente dagli stessi Ministeri.
Il Ministero dell'Istruzione, ad esempio, restituisce 6,3 milioni per il 2014 e 9,4 milioni per ciascuno dei due anni successivi. La preoccupazione corre all'obbligo di aggiornamento in servizio sulle didattiche inclusive, ottenuto dalle associazioni in sede di approvazione della Legge 128/2013 e che verosimilmente è destinato a rimanere lettera morta.

Ma poi tocca a Comuni, Città metropolitane e Province.
Il decreto impone loro risparmi di 700 milioni per il 2014 e di oltre un miliardo per ciascuno dei prossimi tre anni. Il risparmio dovuto dagli Enti locali sarà calcolato sulla loro spesa nell'ultimo triennio. È un calcolo indistinto, però, che comprende sia voci di ordinaria amministrazione e gestione che servizi sociali come lemense e i servizi scolastici o le rette in struttura per disabili, minori, anziani.
Paradossalmente verrebbero premiati i Comuni che meno spendono in servizi alla persona o che, magari, pretendono una maggiore partecipazione alla spesa.

"Ci sembra prevalga ancora la logica dei tagli lineari. - prosegue Falabella - Non si opera alcuna distinzione fra il tipo di spesa e la qualità dei servizi erogati dai Comuni e dalle Città metropolitane. Vengono messi sullo stesso piano la carta per le fotocopie e i servizi per i disabili o ai minori. Quella che era un'occasione di riqualificare la spesa e per premiare i Comuni più virtuosi in termini di politiche sociali rischia di andare persa se il Parlamento non interviene in sede di conversione in legge."

La FISH chiede, quindi, un intervento correttivo su tali criteri, primo ed importante presupposto per rilanciare in modo efficace la spesa sociale (agli ultimi posti in Europa), per attuare il Piano di azione biennale per la disabilità e per ripensare l'inclusione sociale e il contrasto all'impoverimento senza i quali non vi è giustizia sociale.
  
FISH - Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap
www.fishonlus.it


Riprendiamo dal sito di radiocittadelcapo:


Chiude la scuola: 300 educatori senza stipendio per l’estate

aBologna, 27 mag. – Si sono presentati in Piazza Re Enzo, in una cinquantina, per un presidio organizzato dalla Fp-Cgil. Sono gli educatori della cooperativa Quadrifoglio.  Impegnati durante l’anno nelle scuole di Bologna, restano senza lavoro né stipendio nei mesi estivi. Una situazione che dura ormai da anni e che coinvolge circa 350 educatori (sui 450 che complessivamente lavorano in Quadrifoglio). “Lavoratori precari a tempo indeterminato”, recitava un cartello agitato durante il presidio.
Molti degli educatori hanno infatti un contratto a tempo indeterminato e da settembre a giugno sono pagati regolarmente. Poi chiudono le scuole, e salvo il caso di un centinaio di educatori che seguono bimbi con handicap (questione complessa, “ci crederemo quando lo vedremo”, dicono alcuni), tutti gli altri sono costretti a mettersi in aspettativa e cercare un lavoro. Ad esempio nei centri estivi cittadini, anche se con stipendi molto più bassi e affrontando la concorrenza di animatori sportivi e, da quest’anno, dei volontari.
“Cosa farò a giugno? Non lo so”, rispondono molti di loro. “Se mi andrà bene me lo diranno la settimana prima, e mi dovrò accontentare di 500 euro al mese“, ci racconta un’educatrice.
Al tavolo di crisi chiesto dalla Cgil e tenutosi in Provincia lunedì 26 maggio, il sindacato ha chiesto alle polisportive che gestiranno i centri estivi di assumere per l’estate tutto il personale Quadrifoglio. Un modo per tamponare temporaneamente il problema. “Ci hanno detto di non essere disponibili e di avere i propri educatori – spiega Simone Raffaelli della Fp-Cgil – In realtà stanno già contattando chi ritengono necessario. Purtroppo non tutti riceveranno una chiamata”. La Cgil nel frattempo mette in fila alcune richieste. Innanzitutto, “basta coi bandi che coinvolgono le associazioni e i volontari”, poi, il Comune di Bologna dovrebbe garantire agli educatori di Quadrifoglio “una clausola di salvaguardia in modo da farli lavorare anche nei centri, pure coi bambini non certificati”. Anche perché su mille disabili assistiti durante l’inverno nelle scuole, ragiona Raffaelli, solo un centinaio si iscrivono nei centri estivi.
“Una volta riuscivamo a lavorare nei centri estivi – spiega un educatore – Adesso invece hanno affidato i centri a polisportive e associazioni varie. Si guadagna di meno e non ci sono certezze”.
Per la Cgil c’è un’altra soluzione che potrebbe essere inserita nel bando comunale da 23 milioni di euro che sta per uscire e che riguarderà la gestione triennale dei servizi educativo-assistenziali nelle scuole bolognesi. I centri estivi dovrebbero essere parte integrante di quel bando, spiega Raffaelli, in modo da far lavorare gli educatori tutto l’anno. Nella delibera di giunta approvata dal Consiglio comunale a marzo si parla sì di centri estivi, ma li si comprendono nel maxi bando con la formula: “laddove si ravvisino le condizioni organizzative”. Il margine discrezionale per escluderli dunque c’è ancora, e per questo la Cgil si sta mobilitando.
Intanto Usb, che non ha firmato il protocollo col Comune definendolo carta straccia e ha già manifestato un paio di volte in Comune denunciando il problema, ha convocato uno sciopero per il 4 giugno. L’assessore comunale alla Scuola, Marilena Pillati,  interrogata dall’agenzia Dire sulla questione, ha risposto che il Comune “ha preso un impegno per garantire la continuità educativa dei bambini disabili che si iscrivono ai centri estivi”, anche se questo “dipende anche dal numero delle iscrizioni dei bimbi certificati”. Non è quindi assicurato, anche se i verbali fino ad ora firmati vanno in questo senso, che tutti gli educatori che durante l’inverno seguono bambini certificati avranno la garanzia di un lavoro estivo.
Giovanni Stinco 
link articolo con interviste: http://www.radiocittadelcapo.it/archives/vogliamo-solo-lavorare-300-educatori-senza-stipendio-per-lestate-140706/
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 

Elezioni, seggi inaccessibili ai disabili tra ascensori rotti e cabine strette

A Roma per molti votare è stata un’impresa. Mara Ruggeri: “Ogni volta è una tortura”. “La verità è che non si ricordano mai che esistiamo anche noi. Ogni anno spero che sia diverso ma puntualmente non cambia nulla”

26 maggio 2014
ROMA - Barriere architettoniche, ascensori rotti e cabine elettorali non accessibili con la carrozzina: questa la situazione di alcuni seggi della Capitale dove per molti disabili votare alle elezioni europee è stata un’impresa.
“Ogni volta è una tortura. Non posso entrare con la sedia a rotelle all’interno della cabina”, racconta Mara Ruggeri, 67 anni, affetta da poliomelite. “Alle precedenti votazioni, mi hanno portata dietro un albero per compilare la scheda. Due anni fa, invece, hanno smontato la cabina ma una parete mi è caduta addosso. Umiliazioni che nel tempo si ripetono, nonostante le mie segnalazioni”.
Il seggio di Mara, la scuola di via Palombini nel quartiere di Casal de Pazzi a Roma, è stato segnalato dal comune come una delle sezioni elettorali senza barriere architettoniche. Peccato però che la cabina destinata ai disabili è troppo stretta per permettere l’accesso ad una persona sulla sedia a rotelle. Così, quando alle 16 del pomeriggio Mara arriva in via Palombini, è costretta ad aspettare pazientemente che la presidente del seggio trovi un modo per farla votare tra l’imbarazzo degli altri scrutatori. Alla fine l’unica soluzione è allargare una delle pareti della cabina e togliere il tavolo dove si appoggiano le schede per scrivere il voto. Ma anche così la carrozzina di Mara non entra completamente. La presidente del seggio assicura: “Farò una relazione al comune. Non accadrà più”. E poi si scusa: “Dovevo controllare che la cabina fosse montata con una cerniera apribile”.
Mara racconta: “Molte persone disabili del mio quartiere preferiscono restare a casa. Rinunciano a votare. Ma è un nostro diritto, non un favore che ci viene concesso”. Anche nel resto dei seggi di Roma la situazione non è migliore: barriere architettoniche al liceo Kennedy in via Nicola Fabrizi e al Visconti di piazza del Collegio Romano; ascensori rotti all’istituto Liegro di via Facchinetti. 
Per legge i disabili possono votare in una sezione del comune priva di barriere architettoniche e dove sia allestita almeno una cabina elettorale che permetta l’accessibilità alla carrozzina. Inoltre, la lista dei candidati deve essere affissa ad una altezza che consenta una lettura agevole e il piano di scrittura deve essere posto a circa 80 centimetri. “La verità”, continua Mara “E’ che non si ricordano mai che esistiamo anche noi. Ogni anno spero che sia diverso ma puntualmente non cambia nulla”. 
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

LA MENSA NON UGUALE PER TUTTI: DAL CASO POMEZIA AI TAGLI ALL'ISTRUZIONE


Il caso Pomezia irrompe in piena campagna elettorale: chi vuole il dolce nella mensa scolastica se lo paga, altrimenti niente bignè. La vicenda ha scatenato polemiche soprattutto elettorali con scambi di accuse tra gli opposti schieramenti, evitando di centrare il vero problema. "La mensa scolastica deve diventare un diritto di base garantito a tutti i bambini, secondo standard di qualità certificati e uguali dappertutto. Ad oggi invece ogni comune si regola diversamente sia per le tariffe che per il servizio erogato". A lanciare l'allarme, Save the Children che nei giorni scorsi avviato una petizione online "Illuminiamo il Futuro" rivolta al sindaco di Vigevano "perché sia assicurata mensa gratis ai bambini più disagiati". Secondo l'organizzazione, infatti, Vigevano "si segnala per le peggiori prassi e a cui chiediamo che sia assicurata la mensa gratuita ai bambini più disagiati e poveri".
Mensa e discriminazioni
Su 36 comuni presi in esame dal monitoraggio rispetto ai servizi di refezione scolastica delle scuole primarie condotto da Save the Children, le peggiori prassi arrivano da Vigevano, Brescia e Campobasso, "con le rette tra le più alte d'Italia, nessuna esenzione anche per famiglie in difficoltà ed esclusione immediata del bambino dalla mensa in caso di morosità dei genitori". Genova, Cagliari e Bari, invece, le città che emergono "per l'approccio positivo e inclusivo e per l'applicazione di criteri agevolativi a sostegno delle famiglie più in difficoltà". Differenze che sottolineano una "notevole varietà nei criteri di accesso – spiega Save the Children -, a partire dalle rette: benché tutti i comuni mappati prevedano una modulazione delle tariffe in base al reddito e a particolari condizioni del bambino e della famiglia, si va da una tariffa minima mensile di 5 euro a Napoli, 7 a Salerno fino a 90 ad Ancona, 72 a Vigevano, 66 a Brescia".
Variegato anche lo scenario relativo ai criteri di esenzione dalla tariffa mensile. "A Vigevano, Brescia, Adro, Trento, Aosta, Udine, Padova, Parma, Firenze, Campobasso, Catania, Salerno e Palermo non è prevista l'esenzione dal pagamento della quota di contribuzione al servizio mensa pur in presenza di redditi molto bassi o di situazioni di disagio per le famiglie non prese in carico dai servizi – spiega Save the Children -. Ma anche in quei comuni dove l'esenzione è prevista, né i criteri né la soglia di accesso sono omogenei. Si va da un'esenzione basata su un tetto Isee di 0 euro a Perugia fino a Potenza che prevede un'esenzione completa per i nuclei con Isee fino a 8.000 euro e Trieste fino a 7.250 euro". Tornano, infine, anche i casi di esclusione dei bambini dal servizio di refezione nel caso di genitori morosi nei pagamenti, nei comuni di Vigevano, Brescia, Adro, Crotone, Campobasso e Lecce. "Particolarmente critica la situazione a Vigevano – spiega l'organizzazione -, dove basta che una sola retta non sia pagata perché il bambino venga escluso dalla mensa e dove il debito contratto dai genitori di un alunno viene considerato un "debito familiare", con la conseguenza che tutti i fratelli vengono esclusi dal servizio, anche se la morosità riguarda solo uno di loro". Cattiva prassi, conclude Milano, che "trasforma il pasto da fattore di integrazione a occasione di stigmatizzazione, amplificando la percezione dei divari sociali e il senso di esclusione nei bambini".
Insomma Save the children presenta una situazione più complessa. Dentro ci sono le politiche di tagli negli ultimi anni e i comuni che fanno da sé, a volte con poco equilibrio e in altri casi perché costretti a evitare la bancarotta. È chiaro che sul fronte scuola, educazione ed istruzione servirebbero risposte concrete: bisogna attendere la fine della campagna elettorale e le elezioni di domenica prossima.
G.M. (Fonte: Redattore Sociale)

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito clashcityworkers.org:

Dal precariato al volontariato. Sulla riforma del terzo settore


Il "Governo del fare" dopo aver approvato la prima parte del Jobs Act (Dl 34/14) e incassato il sì al Senato sul Piano Casa (Dl 47/14), si prepara alla riforma del terzo settore.
Vi avvisiamo, ci vorrà una notevole dose di pazienza per leggere questo documento, “Linee guida per la Riforma del terzo settore”: esso ci illumina utilizzando parole roboanti come “coesione sociale”,  “valori etici dell’associazionismo no profit” e del “volontariato”.

Chi, come noi, si dimena quotidianamente tra lavoro a termine, tirocinio, part-time, cassa integrazione, turni massacranti, lavoro domenicale, non può che balzare dalla sedia, scorrendo queste righe:
“Esiste un’Italia generosa e laboriosa che tutti i giorni opera silenziosamente per migliorare la qualità della vita delle persone. È l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo no profit, delle fondazioni e delle imprese sociali”.
Vale però la pena non perdere la lucidità e provare ad arrivare fino in fondo per capire le intenzioni del Governo sul welfare e, in particolare, sull’erogazione dei servizi sociali. Sostanzialmente, il Governo intende fare due cose:

- Favorire il mondo delle cooperative, associazioni, imprese sociali con incentivi economici e con una normativa ad hoc (riforma del Codice Civile e della L. 328/2000) per affidargli una bella fetta di welfare, esternalizzando tutta la gestione dei servizi sociali.
“Assicurare una leva di giovani per la “difesa della Patria” accanto al servizio militare” ossia offrire alle imprese del terzo settore un bacino di lavoratori (100.000 giovani per il primo triennio) sottopagati dallo Stato, quindi dalla fiscalità generale, tramite il “Servizio Civile Nazionale universale”,

Anche questa riforma ha quindi l’obiettivo di comprimere il costo del lavoro e ridurre la spesa pubblica, all’interno di un più ampio piano per l’economia italiana che le classi dominanti stanno portando avanti attraverso il Governo Renzi. Nel nostro lavoro di inchiesta e di mappatura delle lotte sul territorio, più volte abbiamo dato voce ai lavoratori in appalto dei servizi locali esternalizzati e abbiamo dimostrato come il peggioramento del servizio per l’utenza e la riduzione di salario e diritti vadano di pari passo. Abbiamo raccontato come l’apertura delle amministrazioni al volontariato rappresenti una minaccia per i lavoratori e come in ogni cambio appalto vengano messe in discussione, a ribasso, le condizioni di chi lavora.

Ma non ci possiamo accontentare di riportare le vertenze sparse su tutto il territorio, dobbiamo costruire quotidianamente legami tra lavoratori, disinnescando di volta in volta la trappola delle differenze superficiali, siano esse contrattuali, aziendali, generazionali.

Il servizio civile può sembrare ad un giovane “non male” o “meglio di niente”, così come il tirocinio non retribuito o sottopagato può sembrare in ogni caso “un’esperienza che fa curriculum”. Sta a noi spiegare gli effetti dell’ingresso nel mondo del lavoro di manodopera a basso costo su tutta la classe lavoratrice.
Sta a noi creare legami e unità nelle lotte tra questi soggetti.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

SUD TRA SPECULAZIONE E ABBANDONO


Povertà educativa in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Eppure sulle regioni meridionali solo silenzio politico e vecchie rappresentazioni



«È la Campania, seguita da Calabria, Puglia, (ex equo) e Sicilia, la regione con la maggiore 'povertà educativà, cioè dove più scarsa e inadeguata è l'offerta di servizi e opportunità educative e formative per bambini e adolescenti». Lo rivela Save the children, aggiugendo che sono «largamente insufficienti gli asili e le scuole a tempo pieno» e «alto e allarmante il tasso di dispersione scolastica». Con l'aiuto di esperti l'organizzazione ha misurato la deprivazione educativa dei minori in Italia nel nuovo Indice di Povertà Educativa (IPE), mentre lancia la campagna «Illuminiamo il Futuro», in favore dei bambini colpiti dalla povertà. «Una deprivazione educativa - sottolinea una nota - che si somma alla povertà economica che colpisce più duramente proprio i bambini del Sud e riguarda ormai oltre 1 milione di minori in tutta Italia, mentre 3 milioni e 500 mila sono a rischio di povertà ed esclusione. Al polo opposto della classifica è il Friuli Venezia Giulia, seguito da Lombardia ed Emilia Romagna, le regioni italiane più "ricche" di servizi e opportunità educative per bambini e adolescenti». A questa notizia si aggiunge quella relativa a Reggio Calabria: città senza welfare. Senza dimenticare poi, ovviamente, i dati sulla disoccupazione in queste stesse regioni.
Eppure questi non sono temi da campagna elettorale. Non è al centro del dibattito nemmeno il caos sull'accoglienzaa cui sono state abbandonate le regioni meridionali. In questi giorni imperversano solo due rappresentazioni del Mezzogiorno: la fiction Gomorra e la figura dell'ultrà violento. La realtà di milioni di persone che vivono nelle città del Sud è ignorata, come le tante esperienze di eccellenza e di capacità creativa o imprenditoriale. Siamo tornati a una narrazione ottocentesca che pone il meridionale quasi nella scellerata rappresentazione lombrosiana se si leggono alcuni articoli della stampa settentrionale che rischia di sconfinare nel pregiudizio razziale. Eppure la nuova tangentopoli è al Nord, nel grande evento dell'Expo 2015 o la città più inquinata è Brescia che sabato è scesa in piazza contro i livelli di Pcb. 
Occorre equilibrio, occorre mettere al centro la questione meridionale e deve farlo il Sud insieme a quella parte dell'Italia che sa isolare le follie leghiste. La lacerazione territoriale e quella sociale non sono convenienti per nessuno: l'unica conseguenza possibile sarebbe quella di allargare la forbice dell'ingiustizia.

Giuseppe Manzo
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito zic.it:

Educatori in stato di agitazione




Proclamato da Usb Coop Sociali dopo l’inconcludente incontro di oggi in Comune. Il sindacato di base: “Presto ci ritroveremo in assemblea, non si esclude lo sciopero”.

13 maggio 2014 - 21:46

Fumata nera dopo l’incontro di oggi che ha visto gli educatori delle cooperative Quadrifoglio e Dolce, supportati da Usb Coop Sociali, al tavolo di fronte ad una delegazione di funzionari del Comune e del Provveditorato. L’Amministrazione comunale rimane ferma sull’accreditamento dei privati per la gestione dei servizi comunali, a partire dai centri estivi. Usb denuncia il contenuto dell’accordo firmato martedi scorso con i sindacati confederali: la “continuità lavorativa” sarà garantita sui soli centri estivi comunali. Per quelli privati avranno copertura solo i casi più gravi. Gli educatori in agitazione stimano un impiego tra i 30 e 50 lavoratori sui 450 che operano sui casi di disabilità durante l’anno scolastico. Problematico anche il rapporto educativo che rimarrà lo stesso dello scorso anno: un educatore dovrà dividersi su più utenti giornalieri (fino a 3 diversi), con uno spezzettamento dell’orario che comunque risulterà inferiore a quello svolto durante il resto dell’anno. E cosi il reddito.
Uscendo dall’incontro, i lavoratori, tramite Usb Coop Sociali, hanno annunciato lo Stato di Agitazione: “In settimana comunicheremo la data per un’assemblea da cui partire con una campagna cittadina per la dignità del lavoro educativo”. E non si esclude uno sciopero che cadrebbe intorno alla fine del mese.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

CALABRIA SENZA WELFARE: APPELLO NEL NOME DI ANTIGONE


Reggio Calabria, città senza welfare. Il Forum Terzo settore lancia un appello per la "sopravvivenza" a parlamentari e ministri. Pietro Barbieri, portavoce nazionale: "Siamo preoccupati per questa carenza normativa e ci auguriamo che questo appello venga raccolto e ascoltato e che vengano garantite ancora quelle condizione minime di civiltà, rispetto, uguaglianza, solidarietà e dignità"



Il Forum del Terzo Settore di Reggio Calabria il 22 aprile 2014 ha inviato alle istituzioni (parlamentari e Ministri) e ai cittadini un "Appello per la sopravvivenza". Contro un decreto del Ministero dell'Interno del 28 maggio del 1993, che rischia di annullare i diritti più elementari dei cittadini più fragili in quanto non considera i servizi sociali quali servizi indispensabili per i comuni, con la conseguenza che negli Enti Locali in difficoltà economica, finanziaria, o anche semplicemente di liquidità,il pagamento degli stessi non è garantito dalla impignorabilità delle somme ad essi destinate. "Si tratta di un ulteriore fatto gravissimo che colpisce le organizzazioni di terzo settore di Reggio - dichiara il Portavoce del Forum Nazionale del Terzo Settore Pietro Barbieri - già provate in questi mesi e negli ultimi anni da grandi difficoltà che le hanno portate alla drammatica decisione di sospendere molti servizi resi per conto del Comune a causa di ritardi e mancati pagamenti. Siamo preoccupati - prosegue Barbieri - per questa carenza normativa e ci auguriamo che questo appello venga raccolto e ascoltato e che vengano garantite ancora quelle condizione minime di civiltà, rispetto, uguaglianza, solidarietà e dignità."
Il testo dell'appello nel nome di Antigone
"Esistono leggi non scritte ben più importanti dei tuoi decreti! Antigone, donna coraggiosa, così si oppone al tiranno Creonte". Così comincia il testo dell'appello del Forum Terzo settore di Reggio Calabria, firmato dal portavoce Luciano Squillaci. "Ebbene in Calabria, guarda caso proprio a Reggio l'antica Rhegion cuore della Magna Grecia, sta accadendo esattamente ciò per cui Antigone lottò contro l'epica ingiustizia degli "ordini urlati" di Creonte. La differenza è che mentre la fiera Tebana combatteva per dare degna sepoltura al fratello Polinice, contro il volere del nuovo tiranno, a Reggio un decreto ingiusto rischia di "seppellire" i diritti più elementari dei cittadini più fragili e poveri. Ma si faccia bene attenzione: non si tratta dell'ennesima tragedia di una terra martoriata. Non si tratta di un drammatico appello di una città già in ginocchio. Non è dovuto ai soliti problemi locali. Ciò che sta succedendo a Reggio sappiamo per certo che è già avvenuto in altri Comuni (Napoli per esempio), e se non si interviene con immediatezza prima o poi accadrà in ogni Comune che si dovesse trovare ad attraversare una crisi economica, finanziaria o anche semplicemente di liquidità. E tutti sappiamo molto bene che i comuni italiani a rischio in questo momento sono tantissimi, dal nord al sud della penisola".
Il punto riguarda il dispositivo sui "servizi essenziali" erogati dai Comuni: "Stiamo parlando di un Decreto del Ministero dell'Interno, emesso di concerto con il Ministero del Tesoro, risalente al 28 maggio del 1993 e che indica all'art. 1 i cosiddetti "servizi locali indispensabili", quei servizi, per dirla in parole semplici, che non possono essere interrotti perché essenziali per la vita della Comunità. Un Decreto Legislativo il n.504/92 li definisce come 'condizioni minime di organizzazione dei servizi pubblici locali diffusi sul territorio con caratteristica di uniformità'
Il tutto ovviamente ha sottesa una motivazione economica. Qualche mese prima infatti, il 18 gennaio del 1993 un altro decreto, convertito con la legge n.68/93, stabiliva che necessitava individuare i suddetti servizi al fine di determinare la "non assoggettabilità ad esecuzione forzata" delle somme necessarie per garantirli. In altre parole lo Stato, legittimamente, ha inteso sottrarre ai tanti creditori dei comuni (ed anche delle provincie e delle comunità montane) la possibilità di pignorare i fondi necessari per pagare gli stipendi degli impiegati comunali, per le forniture d'acqua, per i cimiteri, per le fognature, per le scuole, per la nettezza urbana, ma anche per gli organi istituzionali, per l'anagrafe, lo stato civile, il servizio statistico. Insomma c'è di tutto, ed anche di più".
"Ciò che manca, guarda caso – continua l'appello - sono i servizi sociali, quei servizi cioè che ogni comune deve garantire, in ossequio alla carta Costituzionale ed alla stessa legge (vedi ad esempio la L.328/00 che richiama espressamente ai livelli essenziali di assistenza). Servizi che, evidentemente, non vengono ritenuti "essenziali" e solo perché un decreto miope e datato, anteriore alla riforma costituzionale del 2001, non li elenca tra quelli che determinano le "condizioni minime". Ed allora dovremmo chiederci quali sono le condizioni minime? Non è forse condizione minima di civiltà il fatto che gli anziani vengano assistiti, che le persone con disabilità possano fruire di trasporto e centri diurni, che i giovani ed i minori abbiano opportunità educative, che vi sia assistenza domiciliare, lotta alla povertà, all'emarginazione, accoglienza di migranti e rifugiati? Forse può non esserlo per gli "ordini gridati" di Creonte, ma certo non può non esserlo per quelle leggi non scritte, che insegnano solidarietà, uguaglianza e dignità. Non sempre le leggi sono giuste e non sempre purtroppo la legalità coincide con la giustizia. Ecco perché, come Antigone, ci troviamo a gridare disperati perché non vogliamo assistere, nel nostro Paese, alla morte definitiva della giustizia sociale. Chiediamo a gran voce, a tutti coloro i quali ne hanno il dovere istituzionale, a partire dai Ministri e dai Parlamentari della Repubblica, di intervenire con immediatezza per eliminare tale indicibile vergogna, inserendo i servizi verso i cittadini più deboli e fragili tra le condizioni minime, essenziali ed irrinunciabili".
Il Forum di Reggio Calabria avanza tre richieste: "Chiediamo a chiunque ne abbia competenza e potere di esercitare il proprio ruolo nel rimarcare l'indifferibilità di quei servizi che rappresentano ad oggi, in ogni angolo d'Italia, altrettanti diritti minimi di cittadinanza, livelli essenziali di assistenza. Chiediamo alla cosiddetta società civile, a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori fondanti della Carta Costituzionale, di esercitare la propria sovranità, sancita dall'art. 1 della Costituzione, pretendendo dalla classe politica dirigente l'inserimento dei servizi sociali tra le condizioni minime di civile convivenza".
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito radio.rcdc.it (Radio Città del Capo):

Bologna. Tra gli educatori dei centri estivi la paura è quella del volontariato


Bologna, 7 mag. – La situazione è la stessa da ormai qualche anno. Finisce la scuola a giugno, e gli educatori che lavorano in appalto per il Comune di Bologna sono costretti a cercarsi di nuovo lavoro. Pena un buco di due mesi in busta paga. C’è chi lo fa rivolgendosi direttamente ai centri estivi che danno ospitalità a bambini dai 3 agli 11 anni dal 9 giugno all’11 settembre, chi continuando a seguire i piccoli con handicap che gli erano stati affidati durante l’anno scolastico. Non tutti riescono però a trovare un’occupazione estiva. La vicenda riguarda circa 400, 450 persone, ma nemmeno i sindacati conoscono il numero preciso perché tra turn over e mini-contratti non è facile monitorare la situazione.
Quello che cambia per queste persone, una volta terminata la scuola e iniziato il periodo estivo, è lo stipendio. “Si passa da 1000, 1100 euro al mese a circa 800“, spiega un’educatrice con esperienza decennale che segue un bambino con handicap. Una somma che però non viene erogata immediatamente nella sua interezza. Nella pratica un educatore può trovarsi a passare dalle 35 ore settimanali di lavoro del periodo settembre-giugno a 20 o addirittura 15 ore nei mesi estivi. La paga scende così a 400 euro, e per le ore scoperte bisogna contare sulla cassa integrazione che però arriva anche con 5 mesi di ritardo e rispetto ad un paga oraria standard di 8,5 euro l’ora l’importo quasi si dimezza. “Il risultato è che bisogna mettere in conto di passare l’estate con uno stipendio che sembra la mancia dei genitori”. Quest’anno poi, a differenza del passato, c’è il rischio – al momento difficile da valutare – di un’esaurimento delle risorse per la cassa integrazione in deroga. “Sappiamo che ci sono soldi fino al 30 giugno, per il dopo c’è il punto interrogativo – spiega Simone Raffaelli dell’Fp-Cgil – La questione è molto complessa e spinosa, e non è certo chiusa qui”. Gli educatori che invece non si occupano di handicap per l’estate sono costretti a chiedere alla propria cooperativa un periodo di aspettativa, e una volta ottenuto possono aprire un rapporto contrattuale con la società  (una polisportiva ad esempio) che gestisce i centri estivi. E anche qui lo stipendio è più basso e con meno diritti. Ancora differente la situazione per i contratti a tempo determinato (un terzo del totale, poco più di un centinaio di persone circa) che sono considerati da molti i migliori, perché l’educatore ha il diritto all’assegno di disoccupazione che spesso è più alto di quanto guadagnerebbe lavorando. Un paradosso.
Quest’anno le cose potevano anche andare peggio. Nel documento di Asp Irides, che per il Comune si occupa della questione centri estivi, non era stato esplicitato l’obbligo della cosiddetta “continuità educativa“, cioè la pratica di non separare il bambino con handicap dall’educatore a lui assegnato da settembre a giugno. Una dimenticanza che è stata colmata martedì 6 maggio con la firma di un verbale di incontro in cui Palazzo d’Accursio si è impegnato a tornare sui propri passi di fronte a Cgil,Cisl e Uil. “Il Comune ha fatto la propria parte”, ha commentato soddisfatto il segretario generale della Fp-Cgil Michele Vannini. Così, per i circa 120 educatori che per la coop Quadrifoglio si occupano di handicap, la situazione è in qualche modo migliorata, o se si vuole è tornata al punto in cui già era nel 2013, anche se molto sarà legato alle scelte che fanno i quartieri nell’abbinamento bambini-educatori.
La grande incognita è però quel 40%, stabilito dal Comune, di quota massima ammissibile di volontari nei centri estivi. Tra gli educatori c’è chi teme che la gestione dei centri possa finire in massa nella mani di associazioni o altri enti sportivi o religiosi capaci di coprire parte del servizio con persone che accettano il lavoro gratuito e che non hanno le competenze educative necessarie, o che al limite si accontentano di un rimborso spese. Una situazione che Usb ha denunciato anche con un presidio e una protesta in consiglio comunale. “Una cosa vergognosa – spiega Marco Martucci dell’unione sindacale di base – Ogni anno ci sono 400 persone in difficoltà”.
Il 40% dei servizi in mano al volontariato, ragionano in molti, potrebbe rivelarsi una forma di dumping capace di rendere ancora più difficile il trovare lavoro in estate. “Ad inizio 2000 – racconta un educatore – i bambini che frequentavano i centri estivi erano tanti, ora sono molti di meno, forse quasi la metà”. Il motivo? “C’è la crisi, e tante famiglie preferiscono arrangiarsi come possono e spendere di meno”. Quello che è certo è che negli anni scorsi in nessun centro estivo si sono visti volontari – “tirocinanti sì, ma quella è un’altra cosa” – e la novità, messa nero su bianco con tanto di tetto massimo, fa paura. La Cgil vorrebbe che il prossimo maxi bando triennale da 27 milioni di euro, che assegnerà i servizi educativi di tutte le scuole di Bologna ad un’unica coop o cordata di coop, inglobi anche la gestione dei centri estivi. “Ma se già ora si parla di volontariato, come possiamo pensare che il Comune vorrà davvero fare una cosa simile?”, si chiede una lavoratrice.
La soluzione, per disboscare la giungla contrattuale che già c’è nel settore, potrebbe essere quella di inserire all’interno del contratto cooperative sociali tutti i lavoratori dei centri estivi. “Lo chiediamo da tempo, questa sarà la nostra battaglia”, promettono in Cgil. “Unificazione di tutti i servizi educativi scolastici cioè assistenza agli alunni certificati, servizi integrativi  pre scuola, post scuola, mensa, e i centri estivi”, chiede da mesi Usb.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

MIGRANTI, CAOS ACCOGLIENZA. AUGUSTA, IL DEPUTATO CHAOUKI: 200 MINORI ABBANDONATI A SE STESSI


Accoglienza e minori stranieri non accompagnati. Il deputato del Pd Khalid Chaouki si è recato ad Augusta e ha visto con i suoi occhi quanto denunciato dal Cicam lo scorso 12 aprile e pubblicato su nelpaese.it .
“Circa 200 minori, alcuni giovanissimi, completamente abbandonati a se stessi. A occuparsi di loro, solo un impiegato comunale con buona volontà, che fa da custode, e un volontario della protezione civile. E' inaccettabile che questo sia il trattamento riservato ai minori accompagnati dalla nostra civilissima Italia”: Khalid Chaouki, coordinatore dell'intergruppo parlamentare sull'immigrazione, esce pieno di sdegno dal centro per minori ricavato in una scuola dismessa di Augusta, visitato in queste ore dopo la prima tappa a Pozzallo.
“La maggior parte dei bambini e dei ragazzi arriva dall'Eritrea, dall'Africa centrale e dall'Egitto. Alcuni sono qui da un mese, dormono in condizioni fatiscenti, nei corridoi, uno attaccato all'altro: non svolgono alcuna attività, né ricevono alcuna assistenza medica, se non qualche visita saltuaria. Mancano docce e perfino l'alimentazione è inadeguata”, riferisce Chaouki a Redattore sociale. “E' un abbandono totale, che non avrei mai immaginato d'incontrare tra i minori non accompagnati. Alcuni di loro non sono ancora riusciti a contattare le proprie famiglie, per comunicare almeno il proprio arrivo. E' inaccettabile – denuncia indignato Chaouki – e mi attiverò subito per capire il ruolo della prefettura e delle autorità governative, che verso i minori dovrebbero manifestare la massima attenzione. Chiederò un intervento immediato, già da stasera o domattina al massimo, perché il governo si dia da fare per superar equesta fase e trovare una collocazione umana e dignitosa a questi ragazzi. Quello che abbiamo visto è intollerabile”.
L'allarme del Viminale poi smentito
Sono 800 mila, "se non di piu", le persone pronte a partire dalle coste nordafricane verso l'Europa. Lo afferma Giovanni Pinto, direttore centrale dell'Immigrazione e della polizia delle frontiere presso il ministero dell'Interno, audito dalle commissioni riunite Esteri e Difesa di palazzo Madama. Secondo Pinto: "Il sistema dell'accoglienza e' al collasso, non abbiamo piu' luoghi dove portare i migranti e le popolazioni locali, non solo quelle siciliane, sono diciamo cosi' 'indispettite' da questi nuovi arrivi che disturbano anche le attivita' ordinarie".
Poi la precisazione. "In Libia ci sono tra i 600 mila e gli 800 mila immigrati: sono presenti ma non pronti a partire: il passaggio presenza-partenza e' una forzatura", precisa Pinto al termine di un'audizione nelle commissioni riunite Esteri e Difesa di palazzo Madama, parlando di dati ricavati da "una stima su basi di fonti di intelligence". "Ci sono delle difficolta', ma la situazione e' sotto controllo. - prosegue - Bisognera' moltiplicare gli sforzi, con l'aiuto dell'Unione europea".
E aggiunge: "La questione e' preoccupante, perche' una buona parte di tale presenza, che e' rilevante, puo' plausibilmente partire" per l'Italia. Dall'inizio dell'anno gli arrivi nel nostro Paese sono stati 25 mila, a fronte di 3.500 dell'anno scorso. "C'e' una preoccupazione ma non un allarme. La situazione e' di recrudescenza ma e' sotto controllo. Non e' che stiamo in mezzo a una strada, non vorrei passi un messaggio negativo, e' un problema serio che stiamo affrontando con impegno", conclude.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

Disabili gravissimi in arrivo a Roma. In 45 iniziano lo sciopero della fame

Usala è sbarcato a Civitavecchia e da domani, insieme ad altri 44, inizierà la protesta. Lamanna: “Non hanno convocato il tavolo interministeriale, non ci hanno fermati neanche stavolta”. Biondelli: “Tutta la mia disponibilità, ma devono calmarsi”

05 maggio 2014
ROMA - “Usala è arrivato stamattina a Civitavecchia e altri disabili stanno raggiungendo Roma da tutta Italia: anche questa volta, il governo ha deciso di non fermarci”: Mariangela Lamanna, portavoce del Comitato 16 novembre, partita anche lei questa mattina presto da Taranto, racconta così i preparativi per il presidio permanente in programma dal 7 maggio davanti al ministero dell’Economia. I membri del comitato hanno atteso fino all’ultimo una risposta, che accordasse la convocazione del tavolo interministeriale per la non autosufficienza, ma “nessun passo concreto è stato mosso dal governo, tutto è fermo al 2011, come 12 presidi fa. In piazza porterò il comunicato congiunto dei tre ministeri (Salute, Economia, Lavoro), in cui i responsabili si assumevano precisi impegni: nessuno di questi è stato ottemperato. Raffaele Pennacchio è morto da 6 mesi e nessun passo avanti è stato compiuto”. 
Le richieste, quindi, sono quelle di sempre, così come i metodi della protesta. “E’ arrivato a 45 il numero dei disabili gravissimi che da domani saranno in sciopero della fame e della sete. Parteciperanno in questo modo alla protesta, restando nelle proprie case ma mettendo in gioco la propria vita. Usala non ha portato con sé le batterie per il ventilatore ed è più determinato che mai a staccare il respiratore, mercoledì mattina. Così come è determinata sua moglie Giuseppina, che alla polizia che la minacciava di arrestarla per omissione di soccorso, la volta scorsa ha risposto: ‘Sì magari, così mi riposo’. E’ questa la tempra delle nostre famiglie. Dall’altra parte, invece, ci sono interlocutori che, pur cambiando, hanno tutti lo stesso difetto: non sanno ascoltare le nostre richieste e continuano a riempirci di chiacchiere, che non siamo più disposti ad ascoltare”. 
Franca Biondelli, sottosegretario delegato dal ministro Poletti anche alle politiche per la disabilità, “ci ha risposto proponendoci un incontro il martedì o il giovedì, ma non è assolutamente ciò che chiediamo”. Dal canto suo, Biondelli conferma a Redattore sociale “la massima disponibilità a incontrarli il 7 mattina, mentre nel pomeriggio dovrò ricevere la delegazione cinese sulla disabilità. Ricordo però che ho appena iniziato questo percorso e che le criticità sono moltissime: a tutte dobbiamo rispondere. Ho già scritto al comitato – sottolinea Biondelli – quando ancora non avevo le deleghe, offrendo la mia disponibilità all’incontro. Mi hanno risposto in modo quasi brutale: non credo sia il metodo giusto, devono calmarsi. D’altra parte – aggiunge Biondelli – io non sono il tipo di politico che loro hanno in mente, con la villa a Taormina e lontano dai problemi: io la disabilità la conosco bene, perché ce l’ho in casa. E so bene quali siano le difficoltà. Del tavolo interministeriale – conclude – non ho notizie, ma confermo tutta la mia disponibilità a partecipare”. (cl)
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

1° maggio: donne, disabili, detenuti, ecco chi ha poco da festeggiare

Sul lavoro le donne sono ancora discriminate, così come le persone disabili. E’ record di disoccupazione per la popolazione giovanile. Non decollano le opportunità lavorative per i detenuti

30 aprile 2014
ROMA - In attesa del tanto sospirato “Jobs act”, il primo maggio sono numerose le persone che hanno poco da festeggiare. E’ una festa a metà, infatti, per disoccupati, per chi ha un lavoro in scadenza perché a tempo determinato, per quei giovani che non riescono proprio ad entrare nel circuito lavorativo, per moltissime donne. Ma è una festa a metà anche per quelle categorie di persone, come disabili o detenuti, che proprio nel lavoro potrebbero trovare un’importante occasione di riscatto e di integrazione. Ecco alcuni dati.
Record disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Secondo l’Istat, a marzo i disoccupati 15-24enni sono 683 mila. L'incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all'11,4%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto al mese scorso e di 0,8 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,7%, sostanzialmente stabile rispetto al mese precedente ma in aumento di 3,1 punti nel confronto tendenziale.
A marzo il numero totale di disoccupati, pari a 3 milioni 248 mila, diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-5 mila) ma aumenta del 6,4% su base annua (+194 mila). La disoccupazione resta quindi ai livelli massimi dall'inizio delle serie mensili (2004) e trimestrali (1977).
Carcere, lavoro sempre più frazionato. Poco più di tredicimila persone in carcere sono impegnate in attività lavorative (21% circa), di cui la maggioranza (11.579) alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria. “Una percentuale decisamente bassa rispetto al passato, ma che sarebbe ancora più bassa se negli istituti non si ricorresse al frazionamento sempre maggiore dei posti di lavoro”, scrive l’Osservatorio di Antigone nel suo decimo rapporto sulle condizioni di detenzione. “Dove un tempo lavorava un detenuto - si aggiunge -, ricevendo un compenso dignitoso, oggi possibilmente lavorano in due, e spesso per periodi tempo molto brevi, in modo da dar spazio a rotazione a più detenuti possibile”. I detenuti che lavorano per datori esterni sono 882 in carcere e 1.266 fuori in semilibertà o in articolo 21, ma sono distribuiti in modo molto diseguale nel paese: il  39 per cento è in Lombardia, il 24,8 per cento in Veneto e il 10 per cento nel Lazio. “Nel resto del paese le aziende in carcere sono pressoché assenti”.
Eppure il lavoro è anche un vaccino contro la recidiva. Secondo i dati del Dap, se sono circa il 60 per cento i detenuti che tornano a delinquere, per quelli occupati mentre stavano scontando la pena, il rischio si dimezza  (recidiva di circa il 30 per cento).
Donne ancora penalizzate. Secondo il Global gender gap report 2012, lo studio sulla disuguaglianza di genere a livello mondiale elaborato annualmente dal World economic forum, “l’Italia si colloca all’80° posto nella classifica planetaria della parità donna-uomo. La situazione di sudditanza della donna è palese in molti settori della vita quotidiana, con particolare riferimento al mondo del lavoro.
Secondo i dati sul divario retributivo di genere resi noti dalla Commissione Europea il 28 febbraio, le donne continuano a lavorare 59 giorni a salario zero.
In alcuni paesi, come l’Italia, l'Ungheria, il Portogallo, l'Estonia, la Bulgaria, l'Irlanda e la Spagna, il divario retributivo tra i sessi è aumentato negli ultimi anni. La tendenza al ribasso può dipendere da alcuni fattori, come l'aumento della percentuale di lavoratrici con un più elevato livello di istruzione e l'impatto della recessione economica, che è stato più forte in alcuni settori a prevalente manodopera maschile (edilizia, ingegneria). Questo significa che il lieve livellamento non è imputabile esclusivamente ad aumenti della retribuzione femminile o a un miglioramento delle condizioni di lavoro delle donne.
Non solo, secondo il rapporto “Noi Italia” dell’Istat, nel 2012 risultano occupate sei persone su 10 in età 20-64 anni, con un forte squilibrio di genere a sfavore delle donne. Il 13,8 per cento dei dipendenti ha un contratto a termine, valore sostanzialmente analogo alla media europea. La quota di occupati a tempo parziale è pari al 17,1 per cento. Entrambe le tipologie contrattuali sono più diffuse tra le donne. Il tasso di inattività è al 36,3 per cento. Pur segnando una riduzione significativa rispetto al 2011, si conferma tra i più elevati d'Europa. L'inattività femminile rimane molto ampia (46,5 per cento), nonostante la forte contrazione rispetto al passato.
Infine le attività domestiche, che per il 70% gravano sulle spalle delle donne (204 minuti al giorno contro i 57 maschili).
Il lavoro dei disabili. L’84% dei disabili italiani non riesce a trovare un lavoro. Nelle liste di collocamento ce ne sono al momento 750 mila, mentre la maggior parte delle aziende preferisce pagare penali che arrivano a 57 euro al giorno piuttosto che ottemperare alla legge 68 del 1999, che ne regola l’inserimento lavorativo. Per questo, la Commissione europea sta valutando la possibilità di aprire una nuova procedura di infrazione nei nostri confronti, dopo quella del luglio 2013. E dei tanti disabili che restano a casa, la quasi totalità è donna.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

COOP FUTURA NON SI ARRENDE: SOCI IN LOTTA PER DIFENDERE I DIRITTI



Salute mentale. A Maropati (Reggio Calabria) a rischio il centro gestito dalla coop sociale: i soci lavoratori in stato di agitazione



Futura è una Cooperativa sociale da anni impegnata nel settore dei servizi socio-sanitari ed educativi: nel comprensorio della piana di Gioia Tauro è un importante punto di riferimento nella promozione e gestione di servizi e strutture socio-sanitarie.
Obiettivo della Cooperativa è quello di operare nell'ambito della sicurezza sociale, promuovendo l'inserimento di minori, handicappati, disturbati psichici, tossicodipendenti, ex detenuti ed anziani, attraverso l'organizzazione e la strutturazione di servizi sociali educativi ed attuando tutte le operazioni necessarie per il pieno recupero dei soggetti alla vita associativa e di relazione. Gestisce una Comunità Terapeutica, Struttura Alternativa dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria. Sorta in seguito alla chiusura dell'ex Ospedale Psichiatrico per la sopravvenuta urgenza e necessità di accogliere nel territorio di origine i degenti in esso ricoverati. Avviata nel 1992 dall'ex USSL 25 di Polistena, ricade nelle competenze della diretta gestione del Dipartimento di Salute dell'ASP 5 e del Centro di Salute Mentale di Cinquefrondi.
Sin dalla sua origine, la Comunità Futura per disabili mentali di Maropati, seguendo i principi ispiratori della famosa legge 180 (detta legge Basaglia) è stata data una organizzazione di gestione mista: la direzione sanitaria, l'assistenza medica, infermieristica e psicologica appartiene all'ASP, mentre l'assistenza sociale, educativa e riabilitativa è stata affidata alla Cooperativa
Il terreno confiscato alle mafie
Alla cooperativa sociale Futura è stato dato in concessione un terreno confiscato alla criminalità organizzata.
La cooperativa intende indirizzare l'utilizzo del terreno all'ottimizzazione dellla piantagione di kiwi già esistente, migliorandone la produttività e finalizzando i propri sforzi all'inserimento lavorativo degli utenti della comunità Terapeutica.
Per facilitare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, è stato avviato un laboratorio agricolo per la coltivazione di prodotti a consumo familiare che, già quest'anno, grazie al lavoro svolto, ha portato alla produzione di patate, legumi, e vari tipi di verdura.
Oltre a ciò, la Cooperativa Futura è entrata in rete con il consorzio Terre del Sole che, con il progetto denominato Giona, mira all'utilizzo ed alla commercializzazione eco solidale dei prodotti ottenuti dalla lavorazione delle terre confiscate.
La lettera
"Desideriamo porre alla vostra attenzione l'esigenza, non più rinviabile di intervenire nella grave ed oramai insopportabile situazione a cui si è giunti nella gestione della Comunità Residenziale per disabili mentali di Maropati, Struttura Alternativa dell'Asp 5 di Reggio Calabria ed affidata in convenzione a questa Cooperativa". Inizia così la lettera del presidente Lorenzo Sibio al Prefetto Claudio Sammartino, al commissario straordinario per la Sanità calabrese Giuseppe Scopelliti e all'assessore regionale al welfare Nazareno Salerno. "Ci siamo affrettati di denunciare alla direzione aziendale dell'ASP 5 di Reggio Calabria, già da tempo, il forte disagio vissuto a causa del mancato pagamento di ben oltre 36 mensilità del 60% della retta di degenza – continua Sibio - e la necessità di addivenire in tempi brevi e responsabilmente ad una soluzione che possa garantire la continuità dell''esperienza del modello d'intervento riabilitativo attuato presso la Comunità di Maropati".
A rischio c'è un'esperienza che dura da venti anni e Sibio esprime forte preoccupazione fino a lanciare un appello finale: "Non si può bruciare anche la speranza di pensare ad un futuro positivo di una esperienza che da oltre venti anni, in un ambito territoriale povero di servizi, a saputo dare risposte di qualità e professionalità, a quanti, ospiti e famiglie, vivono quotidianamente gli effetti devastanti del disagio psichiatrico e pronti ad opporci con tutte le nostre forze a chi pensa, forse , di far finire nel nulla quanto di positivo a saputo esprimere in questi anni la Struttura Residenziale Psichiatrica di Maropati, lanciamo un accorato appello a voi tutti affinché ci si attivi per una soluzione che dia certezze agli assistiti , ai propri familiari ed ai sedici soci e lavoratori impegnati in tale servizio. Preannunciamo, pertanto, lo stato di agitazione dei lavoratori ed in attesa di ricevere risposte serie ed esaustive e non promesse vane come finora ricevute, continueremo a garantire con impegno e dignità, alto il livello di prestazione del servizio".
I soci lavoratori
In una conferenza stampa i 16 soci lavoratori non le mandano a dire e annunciano forme di lotte preannunciate dallo stesso Sibio nella lettera alle istituzioni: "E' vergognoso e oltremodo oltraggioso che il nostro lavoro non venga riconosciuto per quello che merita. Le parole di solidarietà e gli intenti mirati alla risoluzione dei nostri problemi non ci bastano più. Chiediamo e vogliamo certezze sia per quanto già onestamente maturato che riguardo il nostro futuro che è messo in gioco dalle mille promesse sempre disattese. La verità è che il futuro nostro e delle nostre famiglie è messo seriamente a rischio dai mille rivoli burocratici e da delibere regionali che dicono tutto e il contrario di tutto. Adesso basta. Noi lavoratori della Cooperativa Futura, stanchi dei continui rinvii, vogliamo garanzie e risposte certe, sia a garanzia del prosieguo del servizio, che riguardo il recupero delle competenze fin qui maturate. dobbiamo pensare al nostro futuro e a quello dei nostri figli"
I lavoratori confermano la netta condanna verso chi, "pur riconoscendo il nostro ruolo, continua ad essere sordo ai nostri appelli e poi si vanta di avere in Calabria un servizio "serio e importante per il territorio".
Da questa condizione annunciano lo stato di agitazione anche per difendere i diritti degli utenti e delle loro famiglie: "comunichiamo il nostro stato di agitazione permanente fino alla risoluzione definitiva di questa situazione e annunciamo che siamo pronti a forme di lotta pubbliche e forti, perché nessuno si può permettere il lusso di prendere in giro padri e madri di famiglia, utenti e familiari già provati da profondi disagi, lavoratori e lavoratrici che hanno scelto di vivere in questa terra difficile e che per farlo hanno seguito dei percorsi e dei corsi di formazione pluriennali".
 ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Riprendiamo articolo da " La nuova Venezia":
Le lavoratrici dell’Ancora. Assistenza a domicilio rabbia a Ca’ Farsetti

VENEZIA.  Rabbia e incomprensioni ieri a Ca’ Farsetti tra l’amministrazione comunale e le lavoratrici della cooperativa Ancora, in una cinquantina presenti in sala del Consiglio all’incontro durato più di due ore, sull’aggiornamento dei vari servizi assitenziali. Presenti inoltre i sindacati e l’«Associazione disabili». Da un lato il vice sindaco e assessore comunale alle Politiche Sociali Sandro Simionato che ha annunciato come un segnale positivo la nascita in tempi brevi di una nuova Fondazione Onlus per i servizi sociali, risultato dell’unione delle due Ipab IRE e Antica Scuola dei Battuti, che garantirà il superamento del sistema degli appalti. Simionato ha ribadito che «non è stato tolto un euro dai servizi sociali e che il primo compito dell’amministrazione è quello di andare in contro ai bisogni dei cittadini che fruiscono di questi servizi». Dall’altro lato gli operatori di Ancora, sfiniti dalla travagliata vicenda della cooperativa che si aspettavano dall’amministrazione comunale la certezza di venire assorbiti dal nuovo ente e una presa di posizione chiara sulla questione della cooperativa. Secondo le esponenti del «Comitato Indignate Oss» ci sarebbero tutti gli estremi per andare a fondo della vicenda e ridare respiro alle lavoratrici che da tre anni vivono con uno stipendio ridotto dovuto al contratto di solidarietà, accettato per non far licenziare 55 colleghi. La cooperativa Ancora sta anticipando i soldi che dovrebbe dare l’Inps. Le lavoratrici, come Morena Serra e Adriana Prato, sono intervenute per esprimere il loro scontento nel sentirsi abbandonati dal Comune. In sintesi, i 358 dipendenti della coop si dividono in: 233 di assistenza domiciliare, 109 di assistenza scolastica (contratto prorogato sempre con Ancora fino al 31 marzo 2016) e 18 servizi educativi domiciliari, “costretti” a essere assorbiti dalla Codes come soci pur di non perdere il lavoro. L’incertezza per il futuro riguarda i 233, fino al 31 maggio dipendenti Ancora, che non passeranno in automatico alla Fondazione. «Non abbiamo mai lasciato a casa nessuno», ha detto Simionato, « andrò a Roma per sbloccare il contratto di solidarietà». Molte le perplessità: «Il Ministero del Lavoro e l’Inps», ha detto Renzo Scarpa del Gruppo Misto, hanno consegnato un plico di 21 pagine con un elenco di punti critici della cooperativa. Il quadro implica che ci sia una feroce attività di controllo». Vera Mantengoli---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito nuovavenezia.gelocal.it:

Assistenza, nuovo regolamento

Servizio domiciliare per 1.200 utenti, arrivano il buono e la fondazione


Il 10 aprile, appuntamento in Regione per le due Ipab (l’Ire di Venezia e l’Antica Scuola dei Battuti di Mestre) per la conferma dello statuto della nuova fondazione che si occuperà da maggio del servizio di assistenza domiciliare nel Comune di Venezia, che segue 1.200 anziani bisognosi di cure.
«Un numero destinato nei prossimi anni sicuramente a crescere», spiega il vicesindaco e assessore alle Politiche sociali Sandro Simionato dopo l’approvazione, ieri in giunta comunale, del nuovo regolamento che conferma la scelta di affidare il servizio, non più ad appalti, ma alla fondazione che nascerà ufficialmente nei prossimi giorni tra le due Ipab della città che mettono in campo i loro centri servizi per strutturare e migliorare, queste le intenzioni dell’amministrazione Orsoni, il servizio sul territorio comunale tra terraferma, centro storico ed isole.
Ieri la giunta comunale ha approvato il regolamento del nuovo servizio che viene dato in gestione alle due Ipab e che introduce per i 1.200 assistiti il regime del voucher , un buono servizi, che spiega Simionato, «per le famiglie non avrà un valore economico ma di prestazioni che saranno erogate sulla base della valutazione di una commissione che sarà formata da una assistente sociale comunale, dal medico di medicina generale e dall’Asl, valutando caso per caso quali sono le prestazioni necessarie a ciascun assistito. Per i cittadini cambia poco, le pratiche si svolgono attraverso il medico di base e il tetto di reddito Isee è quello fissato dalle norme di settore, ovvero 66 mila euro l’anno».
In pratica, continua a spiegare Simionato, il nuovo regime prevede la stipula di un patto tra utente e servizio per le prestazioni che sono affidate al personale che sarà selezionato dalla fondazione creata dalle due Ipab nei prossimi mesi. Di conseguenza, alle famiglie dei pazienti dell’assistenza domiciliare non verrà più chiesta una compartecipazione economica alle spese per un servizio che il Comune non gestirà più con il regime degli appalti che tanti problemi hanno creato negli ultimi anni, vedi la vicenda degli operatori passati dalla Elleuno assistenza all’Ancora, che entro il 31 maggio concluderà il suo lavoro.
Incerto il futuro dei lavoratori dell’attuale assistenza domiciliare, che accederanno alla nuova fondazione previa selezione. Il regolamento del nuovo regime dell’assistenza domiciliare dovrà andare al vaglio nelle prossime settimane della commissione comunale competente e poi del consiglio comunale per il via libera finale. (m.ch.)
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo articolo da "LA NUOVA VENEZIA" - Giovedì, 03 Aprile 2014: 

Cambia l’appalto ma il servizio è sospeso «Pagare i trasferimenti agli educatori»

«Nessun educatore deve restare a casa. La situazione va risolta e il servizio va ripristinato il più velocemente possibile e va ripristinato il pagamento dei trasferimenti di lavoro degli educatori». Mirko Ferrarese della Cgil Funzione Pubblica di Venezia spiega i motivi della protesta dei diciotto educatori del servizio educativo domiciliare del Comune di Venezia che anche ieri hanno atteso per tutta la giornata comunicazioni sull’andamento del confronto tra la cooperativa Codess, che ha vinto l’appalto che era prima affidato all’Ancora, e il Comune di Venezia. Martedì sera i lavoratori, preoccupati per il loro futuro, hanno presidiato fino a tardi il Municipio di Mestre senza ottenere certezze per il futuro. «La richiesta di diventare soci della cooperativa si è ridotta ad una possibilità concessa con il versamento di un euro al mese, simbolico, quindi», spiega Ferrarese. «Si discute anche sulla richiesta di ripristinare i due coordinatori ma il punto nodale è il pagamento dei trasferimenti che per questi lavoratori, educatori che lavorano con minori in difficoltà in vari punti della città, e non solo in casa, significa perdere anche una giornata di lavoro alla settimana di retribuzione che pesa visto che gli stipendi non superano mediamente i mille euro. Confidiamo che il confronto con Codess porti ad un ripensamento perché noi non intendiamo recedere: i trasferimenti vanno retribuiti». Alla protesta si allinea anche la Cisl che sta seguendo anche questa vertenza . Anche ieri i dipendenti sono rimasti a casa, senza lavorare. Di fatto il Sed, servizio educatori domiciliari, è sospeso in attesa di capire come si evolverà il confronto con la Codess che ha vinto l’appalto e doveva iniziare ad operare nel Comune di Venezia dal primo aprile, al posto dell’Ancora. Cgil e Cisl si rivolgono anche ai piccoli utenti, scusandosi per il disservizio: «Auspichiamo che il servizio riprenda prima possibile perché questi giovani utenti non possono essere lasciati senza l’aiuto, valido, del servizio svolto da educatori laureati e con grande esperienza». (m.ch.)-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito redattoresociale.it:

Zoratti (The special need): "Italia ancora indietro sulla sessualità dei disabili"

Parla il regista della docu-fiction “The special need”, che racconta il viaggio di Enea, giovane autistico alla scoperta del sesso: "Ci sono delle caratteristiche legislative che rendono molto difficile quello che in altri paesi è già una realtà di fatto"

31 marzo 2014
FIRENZE - In occasione della giornata mondiale dell’autismo (2 aprile) esce in tutte le sale italiane il coraggioso film “The special need”, docu-fiction on the road che ha per protagonista Enea, un giovane autistico che ha un desiderio molto speciale: fare l’amore. Il film, opera prima di Carlo Zoratti, racconta un argomento tabù ed è stato accolto da una vera ovazione all’ultimo festival di Locarno. Il 2 aprile il film sarà in tutte le sale italiane. In programma vari eventi speciali. Stasera l’anteprima al Visionario di Udine. Domani alle 21 all’Auditorium Stensen di Firenze, dopo la proiezione del film si terrà l’incontro con i ragazzi down di Trisomia 21, che racconteranno al pubblico le loro esperienze con la sessualità e le lezioni che hanno tenuto su tale argomento. Il regista, classe 1982, racconta il suo lavoro in questa intervista.
Prima di iniziare il film cosa sapeva sul tema che avreste affrontato?Zero! Prima di decidere di affrontare questa storia non ne sapevamo niente. Poi il processo produttivo del film è stato molto lungo, quindi durante questo percorso abbiamo letto, parlato e incontrato così tante persone che siamo diventati via via più consapevoli di quello che stavamo facendo; ma ripeto, è stato un po’ come imparare a costruire un aereo mentre sta già volando. Alla fine penso di essere oggi molto consapevole avendo anche fatto dagli errori che poi sono diventati parte integrante della storia.
Avete mai avuto paura che avventurarvi in un territorio così intimo avrebbe potuto modificare il vostro rapporto con Enea?Durante il periodo di riprese la sensazione più forte che mi ha accompagnato era sentirmi diviso fra due ruoli completamente diversi. Da una parte spinto dall’amicizia che ho con Enea volevo proteggerlo da eventuali situazioni traumatiche. Dall’altra come regista avevo il compito di documentare, quindi il legame etico che mi legava in quel momento ad Enea si modificava di volta in volta subendo forti pressioni.
Per esempio quando Enea rincorre ossessivamente le ragazze in strada noi riprendevamo, ma dentro qualcosa si spezzava. Questo ha messo a dura prova il nostro rapporto con Enea, ma è anche riuscito a renderlo più forte.
Come possono il cinema e l’arte contribuire a superare la barriera di una tematica considerata largamente come un tabù?Lo scopo dell’arte per me è quello di mettere in discussione la moralità. La cosa che mi affascina di più è quando una storia che affronta un tema moralmente discutibile riesce a ribaltare le prospettive precostituite. In Cuore di Tenebra l’obiettivo del protagonista è uccidere il traditore Kurt e in qualche modo tu desideri questo omicidio, desideri anche che sia feroce, perché si tratta dell’aberrazione della natura umana; ma l’autore riesce a ribaltare profondamente tutte le prospettive e allora una storia supera la dimensione del semplice intrattenimento per assumere una funzione sociale.

ll film è stato presentato a Locarno. Qual è stata la reazione del pubblico?   Potentissima. Eravamo in una sala molto grande da circa 2 mila persone ed era piena. Siamo stati presentati alla fine del festival in una sezione, Cineasti del presente, che è anche una sezione in cui si esplora il cinema più audace, che richiede una grande soglia d’attenzione. In un certo senso il nostro film rispetto agli altri sembrava quasi come Tutti pazzi per Mary; forse anche per questo Il pubblico ha reagito con una standing ovationpiena di applausi e abbracci per Enea.

A chi si rivolge il film?A chi non gliene frega niente di disabilità. Alle persone comuni. Ho avuto due target di riferimento: i compagni di bevute di mio zio e mia mamma. Volevo raccontare una storia in cui ci fosse tutta la poesia e l’emotività che ogni mamma ricerca, e insieme volevo indirizzarla a tutte quelle persone che troverebbero una soluzione, alla sessualità e alla disabilità, nel modo più becero e pratico possibile, per potergli far vedere come ci si può relazionare ad una persona disabile e sentirsi alla pari.

Infatti questo aspetto è una delle cose più preziose del tuo film. Al termine del viaggio si capisce che Enea e i suoi compagni in fondo non sono poi così diversi: ricercano tutti l’amore.Sì, essere riuscito a trasmettere questa sensazione è una cosa del film che mi rende molto orgoglioso.

In Italia, sulla traccia delle associazioni costituite in Germania, stanno nascendo progetti di assistenza sessuale per i disabili. Penso agli sforzi del blogger Max Ulivieri, egli stesso disabile. A che punto siamo nel nostro Paese?So di un progetto a Bologna che sta cercando di sviluppare un percorso formativo per coloro che vogliono diventare assistenti sessuali. In Italia però ci sono dei grossi limiti soprattutto in termini legislativi; basti pensare che chiunque abbia dei rapporti sessuali con chi ha una disabilità intellettiva, come Enea, commette un reato molto simile a chi ha rapporti con minori. Quindi allo stato attuale la legge non permette di offrire un servizio del genere. Lasciando da parte poi il discorso sul favoreggiamento della prostituzione; infatti se un ragazzo con una disabilità intellettiva non riesce da solo ad organizzare un incontro, chiunque lo aiuti, o faccia da semplice intermediario, è imputabile di favoreggiamento. Per cui ci sono delle caratteristiche legislative in Italia che rendono molto difficile quello che in altri Paesi è già una realtà di fatto. (Giuseppe Manfrè)
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

DISABILI GRAVI, DELRIO CONFERMA TAGLI. FISH: PRONTI ALLA PIAZZA

In una intervista al Quotidiano Nazionale il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sembra confermare le voci delle scorse settimane: "Tagli alla spesa pubblica inefficiente. Ci sono tantissimi margini di manovra. Pensiamo ai 12 miliardi sulle pensioni di invalidità e accompagnamento spesi dall’Inps". Fish: "opposizione in tutte le sedi possibili e in tutti i modi civilmente ammessi. Non sarebbe un buon viatico, per un Governo che vuole cambiare il verso dell’Italia"



In un’intervista rilasciata ieri al Quotidiano Nazionale, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio ha indicato, fra le intenzioni governative: “Tagli alla spesa pubblica inefficiente. Ci sono tantissimi margini di manovra. Pensiamo ai 12 miliardi sulle pensioni di invalidità e accompagnamento spesi dall’INPS: hanno dei picchi in alcune zone totalmente inspiegabili, se non con il fatto che ci siano degli abusi. Per garantire controlli, equità ed evitare abusi applicheremo l’ISEE.”
L’esternazione conferma l’anticipazione della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap della scorsa settimana che qualcuno aveva definito come "inutilmente allarmistica".

“È alquanto grottesco che si invochi l’equità in un quadro di taglio drastico alla spesa pubblica. È alquanto bizzarro che si evochino controlli come se negli ultimi anni non se ne fossero attuati massicciamente (oltre un milione negli ultimi 5 anni). È alquanto miope che si consideri inefficiente una spesa sociale che è una delle più basse dell’Europa a 25. È di dubbio gusto ricorrere all’ISEE, indicatore che – guarda caso – considera quelle stesse pensioni e indennità come se fossero redditi da lavoro o rendite finanziarie. I linguaggi, gli slogan, i luoghi comuni sono quelli di sempre, quelli già sentiti: le persone con disabilità sono un peso.” Questa la replica di Pietro Barbieri, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. Dai cassetti riemergono vecchi dossier, datate ipotesi di contenimento della spesa, articolati disegni per efficaci soluzioni. Ma non tutto è fondato, documentato, provato: senza dubbio non lo sono le ipotesi già percorse – e abbandonate – dai Governi precedenti. Ieri come oggi si ignora volutamente la spesa che le famiglie e i singoli sostengono a causa della disabilità. Si nasconde un dato comprovato: la disabilità e la non autosufficienza sono il primo elemento di impoverimento per le persone e per le famiglie italiane.”
L’ipotesi che prende corpo è, quindi, che il Governo intenda ridurre drasticamente la spesa per pensioni di invalidità (circa 280 euro al mese) e per l’indennità di accompagnamento (500 euro al mese) riservata – fino a oggi – a persone con grave disabilità, non autosufficienti, allettati, malati oncologici terminali. “Di fronte a questa prospettiva la FISH esprimerà al massimo la propria opposizione in tutte le sedi possibili e in tutti i modi civilmente ammessi. Non sarebbe un buon viatico, per un Governo che vuole cambiare il verso dell’Italia, ritrovarsi le persone con disabilità e i loro familiari in piazza e dover spiegare quale sia il ‘verso’ che intende offrire ai suoi Cittadini più deboli.”
Redazione
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito milanoinmovimento.com:

“Habemus Piattaforma!” Uscita pubblica sui social network della Rete Nazionale degli OPeratori del Sociale


Ce l’hanno fatta! E’ servito quasi un anno, tre incontri nazionali e un fitto lavoro nei coordinamenti locali, ma a ridosso del quarto incontro nazionale degli operatori del sociale, che si terrà a Napoli il 15 e 16 marzo 2014, la piattaforma è pronta.
“Non è stato per nulla semplice” ci racconta al telefono Rosario degli Educatori Contro i Tagli di Casalecchio di Reno, uno dei collettivi che ha voluto fortemente la creazione di un coordinameto nazionale. “Ma il risultato ci soddisfa. Innanzitutto perchè è il lavoro collettivo di colleghi provenienti da diverse realtà quali Torino, Genova, Firenze, Venezia, Casalecchio di Reno, Milano e Napoli che hanno saputo trovare obiettivi comuni partendo dalle loro esperienze senza restare intrappolati nel racconto, spesso fine a se stesso, delle singole lotte” e aggiunge “La piattaforma è uscita come documento in divenire aperto alle integrazione e agli aggiustameti di tiro e sicuramente il confronto con le realtà del sud Italia porterà un contributo interessante”.
Da una prima lettura si capisce che è uno strumento già “pronto all’uso”  per i lavoratori e a questo proposito Rosario ci spiega che la piattaforma è stata pensata anche per agevolare i lavoratori stessi nella comprensione delle questioni “calde” della gestione Welfare. Una sorta di dizionario utile per potersi interfacciare con la controparte avendo le idee un po’ più chiare.
Sotto il titolo:”Per la piena applicazione delle regole legali e contrattuali”  si trovano alcuni punti del CCLN messi in critica o rivendicati.  “Primo passo per poter poi prendere in esame anche gli altri contratti” tiene a precisare Rosario ” Siamo partiti dal CCLN perchè era il contratto che andava per la maggiore tra i lavoratori del coordinamento nazionale”.
Vi lasciamo alla lettura della piattaforma integrale a questo indirizzo: http://retenazionaleoperatorisociali.tumblr.com
Mentre su retenazionaleoperatorisociali.noblogs.org potete leggere la piattaforma a puntate.
Abbiamo chiesto a Cinzia degli EducatoriSenzaDiritti di Monza il perchè di questa scelta: “Quando la piattaforma è stata ritenuta pubblicabile ci siamo resi conto che era un documento molto lungo e articolato. “Chi avrà voglia di leggerselo tutto?” ci siamo chiesti. Così abbiamo pensato di fare una pubblicazione a puntate rispetto a quelle che per noi sono le macro aree”.
Proponiamo di seguito la prima puntata in 4 punti:
Chi siamo, dove andiamo.
Il senso del nostro lavoro.
No alla privatizzazione.
Siamo lavoratori non missionari
Sabato 15 marzo i lavoratori del Collettivo Operatori Sociali di Napoli sono pronti ad accogliere il 4° Incontro Nazionale presso il Laboratorio Occupato S.K.A. con un pranzo per chi arriva dal nord e dalle ore 15 inizieranno i lavori.
Stay tuned
FB:  Rete Nazionale Operatori Sociali
Blog:
retenazionaleoperatorisociali.tumblr.com
retenazionaleoperatorisociali.noblogs.org
Pubblicato da stefania il 5 marzo 2014.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Riprendiamo dal sito nelpaese.it:

DROGHE, ECCO IL MANIFESTO DI GENOVA SULLE ORME DI DON GALLO


Centinaia di iscritti tra operatori sociali e pubblici, esperti, medici, giuristi, associazioni e cooperative sociali a Genova hanno scritto la una nuova Carta per le droghe. Sulle orme di Don Andrea Gallo, sono cinque i punti che saranno presentati al nuovo Governo: a Renzi la richiesta di rispondere entro un mese alla richiesta di depenalizzazione, revisioni delle sanzioni, riduzione del danno e una nuova qualità dei servizi di welfare.


Sulle orme di Don Gallo. A Genova sono arrivati alla spicciolata oltre 300 persone provenienti da tutta Italia: operatori sociali e pubblici, esperti, giuristi, associazioni, cooperative sociali insieme 14 anni dopo. Il Forum promosso dalla Comunità di San Benedetto al Porto è in corso dalle 11 tra il palazzo Ducale e la sede della Regione Liguria in piazza De Ferrari. Tante sono le adesioni tra cui quelle di Legacoopsociali, Cnca, Lila, Cgil.  A salutare i partecipanti sono stati Fabio Scaltritti, presidente della comunità fondata da Don Gallo, il presidente di Cnca Armando Zappolini e il sindaco di Genova Marco Doria. Il primo cittadino ha rivendicato la scelta, come primo comune del Paese, di vietare l'apertura di nuove sale da gioco: la ludopatia è uno dei temi al centro di una nuova politica per le droghe e le sostanze. 
Nel primo pomeriggio sono iniziati i quattro gruppi tematici. Tra i più affollati ci sono quelli del rapporto tra legge e droga e città e i drogati. Al centro ovviamente c'è la sentenza della Corte costituzionale che ha abolito la Fini-Giovanardi. Ora si guarda al nuovo governo e alla costruzione di una proposta che superi il ritorno in vigore della Iervolino-Vassalli: la priorità è superare il proibizionismo e l'approccio securitario. Droghe e dipendenze sono anche al centro della vita della città e del loro governo. Amministratori da Nord e Sud si confrontano sulle pratiche possibili senza risorse per welfare e servizi. In un altro gruppo è proprio il tema dei servizi pubblici al centro del confronto mentre in una sessione chiusa alla stampa sono i drogati a parlare e a raccontare il loro punto di vista. 
Ecco il Manifesto di Genova
"La Corte costituzionale ha proclamato che la legge Fini-Giovanardi è stato il frutto di un atto illegittimo che ha causato vittime, pene e sofferenze, umane e giuridiche, e che ha contribuito in massima parte al sovraffollamento penitenziario e alla costante violazione dei diritti umani all’interno delle carceri del nostro Paese. Un abuso di potere motivato e sostenuto ideologicamente da una direzione del Dipartimento anti-droga che ha impedito ogni discussione e ogni ripensamento critico delle scelte con essa compiute e ha tentato di soffocare ogni esperienza e ogni pratica alternativa. Per questo, oltre i suoi contenuti tecnico-giuridici, la sentenza della Consulta ha un valore simbolico immenso: ora anche in Italia è possibile riprendere il percorso per una legge più umana e più giusta che contrasti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, ma sottragga le persone che usano sostanze alla macchina repressiva e offra loro possibilità di uso consapevole e, quando necessario, di sostegno sociale e sanitario".
"Con questo spirito e in questa direzione chiediamo innanzitutto al nuovo Governo misure legislative urgenti volte a sanare eventuali e probabili disparità di trattamento tra coloro che sono stati condannati sulla base della incostituzionale legge Fini-Giovanardi. In quella sede dovrà essere anche adeguato il reato di “lieve entità” alla rinnovata distinzione, nel trattamento sanzionatorio, tra cd. “droghe leggere” e cd. “droghe pesanti”, con conseguente ridefinizione dei relativi limiti di pena".

"Con altrettanta urgenza, chiediamo al Governo il superamento dell’attuale e fallimentare modello autocratico del Dipartimento anti-droga, da sostituirsi con una cabina di regia che veda coinvolti tutti gli enti e tutte le istituzioni, nazionali, regionali e locali, competenti per una nuova politica sulle droghe, ivi comprese le associazioni del privato-sociale e quelle rappresentative delle persone che usano sostanze, i cui saperi e le cui esperienze costituiscono risorse collettive che i policy makers e i servizi rivolti alle dipendenze devono riconoscere e valorizzare. Che si affidi una Delega politica con l’obiettivo di attuare con urgenza questo cambiamento".

Le 5 proposte
"Nella prospettiva di un radicale mutamento delle politiche sulle droghe nel nostro Paese, a partire dal riconoscimento della soggettività delle persone che usano sostanze e dei loro diritti, proponiamo:
La completa revisione delle previsioni sanzionatorie, penali e amministrative, stabilite dal Testo unico sulle sostanze stupefacenti. I consumatori devono essere liberati tanto dal rischio di criminalizzazione penale quanto dalla soggezione a un apparato sanzionatorio amministrativo stigmatizzante e invalidante.
La prima modifica in questa direzione non può che essere la compiuta depenalizzazione del possesso e della cessione gratuita di piccoli quantitativi di sostanze destinati all’uso personale, anche di gruppo, e della coltivazione domestica di piante di marijuana agli stessi fini. Chiediamo quindi una compiuta regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione a uso personale.
Nel quadro della definizione del patto per la salute, delle sue risorse e della sua governance, chiediamo ilrilancio dei servizi per le dipendenze e di politiche di “riduzione del danno” finalizzate al benessere delle persone che usano sostanze e alla prevenzione dei rischi connessi all’abuso e alla clandestinità del consumo, a partire dall’analisi delle sostanze e dalla predisposizione di forme e luoghi della loro somministrazione controllata.
In questo quadro, particolare attenzione dovrà essere dato alla dimensione della qualità della vita nelle città e all’offerta di servizi e di sostegno ai tossicodipendenti in stato di detenzione. Chiediamo quindi che la morsa del patto di stabilità interno, che sta strangolando gli enti locali, sia derogabile nel perseguimento di politiche finalizzate alla tutela dei diritti fondamentali della persona come sono quelle destinate a sostenere i percorsi sociali di inclusione delle persone che usano sostanze.
Chiediamo quindi al Premier, che è già stato ospite della Comunità San Benedetto, di venire a Genova entro i prossimi 30 giorni per ascoltare i rappresentanti delle realtà Pubbliche e del Privato sociale e delle persone che usano sostanze. In queste due giornate è stato prodotto confronto, dibattito, e sono state individuate proposte programmatiche e pratiche in gradi di riallinearci alle politiche sui consumi di altri Paesi Europei e Internazionali. Vogliamo illustrarle direttamente al nuovo Presidente del Consiglio".
I promotori delle due giornate di Genova organizzeranno , a partire dalla Manifesto di Genova "iniziative di confronto e proposta nei diversi territori del nostro Paese stimolando la modifica di Politiche locali e nazionali e si ritroveranno entro i prossimi 12 mesi per lanciare un nuovo momento Nazionale aperto alla politica e alla Società civile".
G.M.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Riprendiamo dal sito sociale.regione.emilia-romagna.it:

Serve un'intesa quadro per il welfare

Le Regioni hanno approvato un documento di "Intesa quadro per le Politiche Sociali e Non Autosufficienze"
La Conferenza delle Regioni ha espresso l’intesa per il riparto del Fondo Nazionale Politiche Sociali 2014 e del Fondo Non Autosufficienze 2014. Il documento si configura anche come “Intesa Quadro per le Politiche Sociali e per le non Autosufficienze”, atta ad individuare i Livelli essenziali delle prestazioni cui lo Stato deve garantire per competenza adeguate risorse. L’attuale situazione socio economica risente di una crisi che ha fra le diverse conseguenza un impatto forte per le Politiche e i Servizi Sociali.

Il documento
Le Regioni – si legge nel documento della Conferenza - dopo un lungo lavoro di ricognizione e razionalizzazione delle attività svolte a livello locale hanno individuato 5 Macro Obiettivi di Servizio: Servizi per l’accesso e la presa in carico dalla rete assistenziale; Servizi e misure per favorire la permanenza a domicilio; Servizi a carattere comunitario per la prima infanzia; Servizi a carattere residenziale per le fragilità; Misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito. Ambiti che possono rispondere ai bisogni dell’infanzia, alle responsabilità familiari, alle persone con disabilità e a quelle non autosufficienti.

Le Autonomie Locali hanno condiviso la metodologia seguita per l’individuazione dei Macro Obiettivi e insieme alle Regioni hanno ribadito l’esigenza di poter disporre di finanziamenti “certi”, in modo da programmare con respiro la stabilità del sistema sociale e socio-sanitario.
Le richieste delle Regioni
  • Stabilità almeno triennale e incrementale a partire dal 2014, dei finanziamenti statali riguardanti – in senso lato - gli interventi sociali, con particolare riferimento al Fondo Nazionale per le Politiche Sociali e al Fondo per le non Autosufficienze, individuando una dimensione finanziaria accettabile per stabilizzare, almeno ad un livello minimo gli Obiettivi di Servizio, quella del 2009 (520 milioni di euro per il FNPS e 400 milioni per il FNA); ripristinando il FNPS nella sua dotazione originaria (legge di Stabilità 2014).
  • una confluenza temporale nei primi mesi dell’anno, per l'erogazione dei citati fondi, per una  programmazione triennale/annuale dei servizi; la valorizzazione concreta di politiche integrate, anche con l’apporto di altri Ministeri sotto il profilo della Salute (nuovo Patto per la Salute) per tutte le fragilità e per la non autosufficienza, sotto il profilo del Lavoro.
  • la valorizzazione concreta di politiche integrate, anche con l’apporto di altri Ministeri sotto il profilo della Salute (nuovo Patto per la Salute) per tutte le fragilità e per la non autosufficienza, sotto il profilo del Lavoro.
  • il rafforzamento, nel rispetto dei modelli di governance delle Regioni, del confronto e del coinvolgimento delle Autonomie Locali.
  • -------------------------------------------------------------------------------------